Wright-mania: perché le serie tv non sanno resistere a Frank Lloyd Wright

Dalla quinta puntata di The Bear all’architettura fittizia di The Studio, il maestro dell’architettura americana torna protagonista sugli schermi.

Nella quarta stagione di The Bear, la pluripremiata serie ambientata nel mondo della ristorazione di Chicago, Carmen “Carmy” Berzatto (Jeremy Allen White) guida fino a Oak Park per visitare la prima casa progettata da Frank Lloyd Wright a Chicago. Era il 1889, e Wright aveva solo 22 anni.

Un’altra serie, però, ha fatto di più: The Studio, la comedy satirica sull’industria hollywoodiana, ambienta gran parte della storia in un edificio di Wright che… non esiste. La sede dei Continental Studios, la casa di produzione guidata da Matt Remick (Seth Rogen), è ospitata in un’architettura fittizia ispirata alla vera Ennis House di Los Angeles. Un omaggio tanto più potente proprio perché inventato.

Seth Rogen, Evan Golberg, The Studio, 2025. Courtesy Apple TV+

Non che Wright manchi sullo schermo: la Ennis House compare nel Blade Runner dell’82, in molti film di David Lynch e si dice abbia ispirato il palazzo di Meereen in Game of Thrones. Anche il Guggenheim di New York e il Marin County Civic Center compaiono rispettivamente in The International (2009) e Gattaca (1997).

Con The Bear e The Studio, però, le cose si fanno più interessanti. Nel quinto episodio di The Bear (“Replicants”) le mura della celebre casa-studio di Wright, oggi un museo aperto al pubblico, fanno da sfondo a uno dei momenti di svolta dell’intera serie. Carmy decide di passare a un menù fisso. Ok, sembrerà una cosa da niente, ma per uno chef è una scelta epocale. In questo cambio di rotta, l’architettura di Wright ha un ruolo sacrale. 


Carmy ferma l’auto davanti alla facciata della Frank Lloyd Wright Home and Studio e la visita come un turista qualsiasi mentre — alternate alle riprese — scorrono fotografie d’archivio della casa, tra cui alcune dei figli e della prima moglie di Wright insieme a un albero di Natale addobbato al centro del salone. In sottofondo So Long, Frank Lloyd Wright dei Simon & Garfunkel che Paul Simon nel 1970 scrisse in omaggio all’architetto (in realtà non sapeva pressocché nulla di Wright, ma questa è un’altra storia). 

Per Carmy, talentuoso e tormentato chef di Chicago, l’architettura di Wright è un modo per aprire gli occhi su un altro lato della sua città che, nella frenesia delle grandi cucine, aveva dimenticato: Chicago vista dalle vetrate dello studio di Wright è lenta, storica, durevole e catartica. 

Christopher Storer, The Bear, quarta stagione, 2025. Courtesy Fx

In The Studio, invece, l’aura sacrale di Wright si dissolve nell’ironia. L’edificio immaginato come “tempio del cinema” — che nella finzione Wright avrebbe progettato nel 1927 — somiglia alla Ennis House ed è stato ricreato sovrapponendo la sua facciata al Warner Bros Television Building di Burbank. Gli interni, costruiti sul set e ritoccati in CGI, sono stati ideati dalla scenografa Julie Berghoff come un mix tra Wright, architettura precolombiana e Hollywood anni ’40-’50.

All’inizio della prima puntata il protagonista entra nello studio e oltrepassa una guida che sta raccontando la storia dell’edificio ai visitatori. Con la sua assistente commenta: “A temple of cinema, huh? And they want me to make movies out of wooden blocks”. Nel corso di tutta la serie si vedrà un contrasto estremo: tra l’industria del cinema - la settima arte ormai poco artistica  - e la monumentalità del lavoro di un vero maestro. 

Seth Rogen, Evan Golberg, The Studio, 2025. Courtesy Apple TV+

Per Carmy, lo chef prodigio che è fuggito da New York, Frank Lloyd Wright è la rinuncia all’ossessione performativa del fine dining, dove ogni piatto deve stupire, per abbracciare un calmo equilibrio, lo stesso che prova quando visita il numero 951 della Chicago Ave in Oak Park. Per Matt Remick – funzionario del cinema con ambizioni artistiche - l’architettura fittizia di Wright è invece il simbolo di ciò che intorno a lui non va, di quello che, in un certo senso, aspirava a essere e non sarà mai: indipendente. Soprattutto, è una finzione hollywoodiana.