Marin County Civic Center, l’opera postuma di Frank Lloyd Wright in California

Sessant’anni fa, il grande complesso pubblico progettato dal maestro della Casa sulla cascata, iniziato dopo la sua morte, faceva il suo debutto sulle pagine di Domus.

L’opera di Frank Lloyd Wright nei suoi ultimi due decenni di carriera è densissima e complessa dal punto di vista delle posizioni tanto progettuali quanto più in generale culturali che assume e di cui diventa riferimento: approfondisce le contaminazioni estetiche e sostanziali delle decorazioni, nel dare identità alla modernità dei suoi edifici; traccia – sperimentandoli – molti principi di quella che ormai viene collettivamente riconosciuta come architettura organica; propone anche una visione alternativa alla città densa, rappresentata dalla Broadacre City del 1938. 

Proprio da questa visione, che fonde insediamento umano e topografia del territorio, con architetture dal linguaggio quasi alieno dove convergono i decori dell’America primordiale della Ennis House, Art Nouveau, Déco, il paesaggismo delle Prairie Houses e della Kaufmann Fallingwater House e l’organicismo del Guggenheim di New York, Wright aveva derivato molti dei tratti per il suo ultimo progetto americano, un ineditamente grande complesso di servizi pubblici e istituzionali vicino a San Francisco, assegnato nel 1957 e iniziato nel 1960, un anno dopo la sua morte. Nel settembre 1963, all’apertura della sua prima porzione completata, Domus presentava sul numero 406 questa architettura destinata a consacrare un immaginario estetico irripetibile – sarebbe infatti divenuta anche l'ambientazione di film di fantascienza come Gattaca del 1997.

Domus 406, settembre 1963

L’ultima opera di Wright costruita negli Stati Uniti

Wright’s “breath-taker”, così è chiamata una delle ultime opere di Frank Lloyd Wright, inaugurata da pochi mesi: il grandioso Centro Civico della Contea di Marin, vicino a San Francisco, in California.

È un progetto di Wright del 1956, di cui venne iniziata la realizzazione, benché Wright fosse già scomparso, nel 1960, in seguito ad un referendum indetto fra la popolazione della Contea: iniziativa che suscitò molte polemiche. È tuttora ben discutibile se si possa realizzare un’opera di tali dimensioni dopo la scomparsa del suo autore, usando i progetti esecutivi stesi dai suoi più vicini collaboratori. Questa traduzione di una idea in realtà, senza più la presenza dell’autore, è un’impresa ottimistica e devota che purtuttavia rischia di non giovare.

Domus 406, settembre 1963

Qui, la evidenza che prendono i particolari decorativi, condotti con scrupolosa accuratezza (per non sbagliare) – colori e fregi (celeste, rosa, oro) che forse meglio appartengono alla convenzione grafica del disegno che non alla realtà architettonica – offusca a prima vista il valore sostanziale dell’opera.

Il progetto prevedeva due ali, allungate a ponte, che collegavano un elemento centrale, posto su una collina, a due alture vicine, raggiunte scavalcando due autostrade: una straordinaria architettura inserita con coraggiosa naturalezza nei dolci rilievi del paesaggio ondulato, dandogli un nuovo profilo. (È la idea wrightiana della città dagli ampi spazi ondulati, Broadacre City, 1938).

Domus 406, settembre 1963

Finora, si son costruite soltanto la rotonda e un’ala. Ma l’effetto è già raggiunto. Il gioco degli archi nella lunga ala – quattro ordini di archi sovrapposti, con ritmo sempre più fitto dal basso verso l’alto – la ha fatta paragonare suggestivamente all’acquedotto romano. In realtà qui gli archi (come nel progetto wrightiano della chiesa della Annunciata a Milwaukee) sono soltanto l’espressione, calligrafica, della continuità degli spazi interni, sempre percorribili (come nei chiostri dei monasteri, dove i percorsi a porticato rappresentavano delle vere “passeggiate architettoniche”). E qui sta l’invenzione di Wright: l’intera percorribilità interna ed esterna dell’edificio, in una fluidità continua di spazi e di visioni, idea già espressa nel negozio Morris e nel Museo Guggenheim. Balconate continue corrono all’esterno e all’interno, affacciate, queste ultime, sui patii centrali, da cui si percepiscono le dimensioni e la forma intera dell’edificio. La strada stessa, che si inserisce nell’edificio e lo attraversa, dà, a chi arriva in automobile, prima la totale visione dell’architettura esterna, e poi, nell’attraversarla, la visione, dal basso all’alto, di tutte le gallerie interne dei vari piani.

Domus 406, settembre 1963

Ultimi articoli d'archivio

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram