Se una villa incastonata tra dolci colline soleggiate del sud della Francia a pochi minuti dalle spiagge è un invito a immaginare una fuga “catartica” dal tourbillon quotidiano, il fatto che l’abbia progettata uno dei pionieri del Movimento Moderno rende la fantasia ancora più allettante: è il caso di Villa de Mandrot (detta anche L’Artaude), a poca distanza da Tolone, estremi occidentali della Costa Azzurra, che Le Corbusier progettò per l’amica e mecenate Hélène de Mandrot e che oggi è in vendita per chi vuole (e può permettersi di) acquistare un pezzo di storia dell’architettura.
Hélène de Mandrot incontrò Le Corbusier al primo congresso dei CIAM che tenne nel suo castello di La Sarraz, Svizzera, nel 1928 e l’anno successivo gli commissionò il progetto di una casa vacanze: un incarico che offrì al maestro svizzero l’opportunità di sperimentare, in un contesto mediterraneo, il lessico compositivo da lui codificato nei “cinque punti dell’architettura” (pilotis, pianta libera, facciata libera, finestre a nastro e tetto-terrazza, di cui la coeva Villa Savoye è manifesto), e di "ibridarlo" con i codici espressivi del vernacolo provenzale.
La casa di 200 mq, situata su un lotto di 2.450 mq punteggiato da lavanda, cipressi e limoni, è caratterizzata da un impianto ad “L” che abbraccia una terrazza panoramica a sud e si dispone su due livelli, di cui uno seminterrato. Una piccola dependance distaccata dal corpo principale chiude idealmente il perimetro, evocando la geometria di un patio mediterraneo. Negli esterni, il volume scatolare si apre in generose vetrate verso il paesaggio a sud, mantenendo un carattere più introverso sul fronte retrostante a nord, interrotto solo da finestre alle estremità e da alcune aperture che illuminano il seminterrato. Negli interni, il piano terra comprende un ampio soggiorno con camino, una cucina con zona pranzo, una camera da letto principale con bagno privato e un'altra camera da letto o studio con un secondo bagno. Al livello inferiore, in una superficie abitabile di 80 mq si collocano un laboratorio, una cucina e un bagno, oltre ad una cantina e un garage.
Un calore domestico che riscalda anche la più efficiente delle ‘machines à habiter’.
Se l’impianto planivolumetrico chiaro e funzionale tradisce la firma razionalista, la scelta di materiali e tecniche costruttive tradizionali colloca l’opera in un contesto culturale fortemente radicato nel Genius Loci. Sfumata l’ipotesi iniziale di impiego di moduli prefabbricati in acciaio, l’involucro esterno è caratterizzato, anziché da una trama strutturale puntiforme e da un involucro immacolato e rarefatto (come nella Villa Savoye), da murature continue in pietra locale a vista, che conferiscono un’insolita gravità alla composizione, interrotte solo dagli ampi (e immancabili) squarci vetrati.
All’interno, spazi inondati di luce (come nella migliore tradizione modernista) sono animati da vibranti contrasti materici tra le porzioni murarie in pietra a vista, le pareti intonacate e i toni morbidi e caldi del pavimento, del camino in laterizio, del soffitto in legno e degli avviluppanti tendaggi.
Un calore domestico che riscalda anche la più efficiente delle “machines à habiter”.
