Un incenso, enorme, brucia dentro
una segheria, tra un'effige di Mao
penzolante e una statua di Lenin supina:
icone di un secolo, il Novecento,
che si allunga nel presente. È il
monumento di Daniel Knorr che, assieme
ad altri 33 artisti contemporanei
e a un'ampia selezione di defunti,
ha inaugurato lo scorso 26 giugno
la XIV Biennale Internazionale di
scultura di Carrara: "Post Monument".
A 23 anni dall'edizione del
'73, nel 1996 la Biennale torna finalmente
parte del palinsesto delle
Biennali internazionali. La vicenda
della città che da sempre la ospita,
Carrara, si snoda attorno a due intrecciati
immaginari, quello dell'anarchismo
e quello legato all'estrazione
del marmo. È qui che
nei primi del Novecento le lotte
anarco-sindacaliste dei cavatori, guidati
dall'anarchico Alberto Meschi,
portarono la giornata lavorativa, per
la prima volta in Italia, a sei ore e
mezzo. Ma da queste montagne
squartate e sfogliate, ancora vive nonostante
secoli di escavazione, passarono
anche Michelangelo e Canova.
Qui venne scolpito e trasportato
a mare l'obelisco che nel '32 venne
eretto al Foro Italico di Roma, in
omaggio a Mussolini. Ancora oggi la
città vive nella perpetuazione di un
mito e di uno statement identitario,
che la Biennale ha provato a rimettere
in discussione, interrogando il
topos della forma-monumento per
aprirsi, poi, a domande di ordine più
generale sul futuro della scultura.
Una delle caratteristiche della mostra,
secondo una strategia già seguita
nelle recenti edizioni di Manifesta
e della Biennale di Berlino 2006, sta
nella scelta dei luoghi. Un pulviscolo
di spazi che disegna una geografia
interna ai siti dismessi, legati alla lavorazione
del marmo. Luoghi che
mostrano la vita ma anche il crepuscolo,
avvolto nella polvere bianca
sollevata dai residui della lavorazione,
di un'industria che ha segnato la
storia di una città. Carrara vanta una
fiera tradizione artigianale: scalpellini,
scultori, incisori, quasi sempre
fedeli a un'idea classicheggiante di
scultura, che durante la Biennale,
tuttavia, si sono messi al servizio di
grandi nomi internazionali come
Cai Guo-Qiang, Antony Gormley,
Paul McCarthy.
A loro Fabio Cavallucci,
il curatore della Biennale, ha
rivolto una domanda: quale futuro
per la scultura e il monumento? La
stessa che, poi, è stata posta agli imprenditori,
ai lavoratori del marmo
e all'opinione pubblica locale, che
per mesi si è divisa, per esempio, intorno
alla proposta di Cattelan di so stituire la statua di Mazzini, in piazza
dell'Accademia, con la copia di una
statua di Bettino Craxi rinvenuta in
un laboratorio. Ma nella tarda postmodernità,
dopo il crollo del Muro
e l'abbattimento della statua di Saddam,
che cosa resta del monumento?
Chi ha contribuito a questo immane
mutamento di fase, Mikhail Gorbaciov,
intervistato da Cavallucci sulle
pagine culturali del Times, la pensa
così: "Mai applaudito la distruzione
dei monumenti. È una sciocchezza
antistorica che equivale a pretendere
di cancellare il passato. Il passato
non si cancella nella memoria di chi
lo ha vissuto o subito".
Oggi la forma-
monumento sembra essere
scomparsa a favore delle grandi architetture,
delle opere pubbliche,
dei progetti più ambiziosi di riqualificazione
urbana. Nei Paesi dell'Est,
dov'è ancora viva l'impressione accesa
dall'abbattimento dei simboli
della dittatura, il monumento conserva
la sua dimensione aulica e celebrativa.
Si pensi a Deimantas
Narkevicius, che ha esortato lo spettatore
ad ascoltare la voce di un anarchico
in prigione. Timbri che toccano
il cuore, mentre dall'altra parte
del muro da una finestra filtrava un
raggio di luce. O a Nemanja
Cvijanovic, l'artista croato da sempre
interessato all'esplorazione del
passato socialista, che ha presentato
un monumento in forma di musica:
un carillon amplificato e azionato
dallo spettatore, che rimanda le note
dell'Internazionale. E a raccontare la normalità come atto quotidiano,
i video di Artur Zmijewski, che ha
seguito la giornata di due operai del
marmo.
Più ci allontaniamo dall'Est
Europa, più il monumento viene demonumentalizzato
affermandosi,
semmai, come gesto poetico, antiscultureo.
Come nel lavoro del giovane
Giorgio Andreotta Calò, che ha
estratto con l'antico metodo dei cavatori
un blocco di marmo, monumento
ai caduti delle cave, per poi
installarlo all'interno dell'atmosfera
ascetica di una chiesa del Settecento
abbandonata. Questo sentimento di
catarsi, di risoluzione dell'idea di
monumento, ci porta al lavoro di Rirkrit
Tiravanija, che ha trasformato
una piazza della città in un campo
di relazioni umane: un maxischermo
in marmo, dove da un lato sono
proiettati film storici della lavorazione
della pietra, dall'altro i mondiali
di calcio. Ma osservando la maestà
delle montagne, la spoliazione dovuta
a secoli di scavo, i ravaneti bianchissimi
che riverberano la luce del
Tirreno, qualcuno ha pensato di riportare
a casa ciò che nei secoli è
stato strappato. Cyprien Gaillard ha
infatti deciso di fare omaggio alle
montagne di Carrara, ritrovando
una delle mattonelle di marmo che,
fino all'11/9, rivestivano la lobby del
World Trade Center. Una promessa
che resterà per sempre lì, interrata
nella piazza sul punto più alto della
città, a orientare lo sguardo sul
bagliore forte del paesaggio e della
storia.
Post Monument: XIV Biennale di Carrara
Fabio Cavallucci, curatore della Biennale in corso a Carrara fino al 31 ottobre, ha rivolto agli artisti invitati una domanda: scultura e monumento hanno ancora un futuro?

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- Martina Angelotti
- 28 settembre 2010
- Carrara