“Seasons” è la mostra di Maurizio Cattelan che inaugurerà il 7 giugno alla Gamec, la Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo. In esposizione, cinque opere, tra lavori realizzati ex-novo per la città e icone chiave dalla sua produzione passata. È la mostra del più celebre artista italiano vivente, colui che, più di chiunque altro, incarna il paradosso dell’arte contemporanea.
Il critico d’arte Stefano Chiodi apre La bellezza difficile – libro del 2008 – con una riflessione spietata: nell’arte italiana, dagli anni Novanta in poi, cambia tutto: al centro c’è l’impotenza. Gli artisti che ora fanno i numeri entrano nei luoghi dell’arte in punta di piedi – incarnano tutto il contrario degli attributi che la storia sembrava aver loro assegnato: originalità, drammaticità, mascolinità e, soprattutto, potere.

Maurizio Cattelan è, per Chiodi, un passaggio obbligato in questo cambio di paradigma. Un bambino in giacca e cravatta che rivendica di non poter essere come i grandi; un artista che sottolinea continuamente di non farcela (più). Come in La rivoluzione siamo noi (2000) dove si ritrae come un pupazzo appeso a un attaccapanni con indosso il celebre abito di feltro grigio di Joseph Beuys, oppure in Senza Titolo (2001), quando la sua testa spunta da un buco nel pavimento di un museo. Cattelan sembra ripeterci incessantemente: io non dovrei essere qui.
Maurizio Cattelan – padovano, classe 1960 – è l’artista italiano più conosciuto dalla scena internazionale, ma non riesce (oppure non vuole) essere artista – almeno nei termini in cui il mondo pensa l’artisticità. E questa ambivalenza è centrale nella mostra che ha appena inaugurato alla Gamec di Bergamo.

“Seasons” è il titolo del progetto espositivo, articolato in quattro tappe attraverso la città lombarda. Si comincia nella Sala delle Capriate del Palazzo della Ragione, nel cuore di Bergamo Alta: un piano nobile di uno dei più antichi palazzi comunali d’Italia, che ospita, tra l’altro, affreschi del Bramante. Il Salone scelto da Cattelan è quello dove si amministrava la giustizia: dove ci si sente soli, schiacciati dal peso del potere. A quel peso l’artista risponde con November (2023), una statua di un senzatetto scolpita nello stesso marmo razionalista che, anche nella “città dei Mille”, porta con sé tracce del passato mussoliniano.
Nella sede storica della Gamec trovano posto due lavori. Il primo, Empire (2025), realizzato appositamente per la mostra curata dallo stesso Cattelan insieme a Marta Papini, è un mattone in terracotta su cui è incisa la parola “impero”: simbolo di dissidenza cristallizzata, di una rivoluzione nominale che non si compie mai. Il secondo è una rilettura del 2021 della controversa scultura Him: l’Adolf Hitler bambino inginocchiato in preghiera, questa volta con il volto coperto.
L’aquila di Cattelan è un aninale diverso, meno divina, meno imperiale, più fragile. Come spesso accade nella sua produzione, è più vicina al pavimento che al cielo.

Fuori dal museo, un’opera “pubblica” completa e aggiorna il monumento a Garibaldi nella rotonda dei Mille. One (2025) è “l’uno”, il bambino che sorprende alle spalle l’unificatore d’Italia. Finge di avere una pistola in mano e non si capisce se la stia puntando per gioco o perché non sa davvero che farsene dell’eredità simbolica ricevuta dalle generazioni precedenti.
A fare da filo conduttore tra le cinque opere è la figura dell’aquila, protagonista anche della locandina della mostra. Cattelan l’ha ritrovata proprio negli archivi della città: si trattava di un monumento commemorativo di un discorso tenuto da Mussolini nel 1919 agli operai di Dalmine, comune alle porte di Bergamo. In qualche modo, questa aquila fa da eco a una delle più celebri mostre di Cattelan, quella al Pirelli HangarBicocca di qualche anno fa, che aveva letteralmente riempito di piccioni – un animale sempre più popolare nell’arte contemporanea.
L’aquila di Cattelan è un aninale diverso, meno divina, meno imperiale, più fragile. Come spesso accade nella sua produzione, è più vicina al pavimento che al cielo. L’ultima opera del percorso - installata nell’ex Oratorio di San Lupo grazie alla collaborazione con la Fondazione e il Museo Diocesano Adriano Bernareggi - vede l’animale simbolo di natura incontaminata, di conquista montana e di imperialismo sfrenato, abbattersi a terra, ad ali aperte, davanti alla città. La citazione a Marcel Broodthaers e al Département des Aigles (il Dipartimento delle Aquile), la sezione più nota del museo fittizio con cui l’artista belga occupò la Salle de Marbre del Palais des Beaux Arts di Bruxelles, per denunciare i rapporti tra arte, potere e mercato, è evidente.

L’intervento di Cattelan è la quarta tappa di un più ampio programma culturale che, dal maggio 2024, accompagna la Gamec in una fase di transizione: cambia la sede fisica dell’istituzione e, con essa, anche la sua direzione curatoriale. “Pensare come una montagna” porta l’azione del museo fuori dagli spazi canonici per irradiarsi nella provincia bergamasca, con un’attenzione particolare al territorio alpino. Tanto che, finito con Cattelan, è possibile vedere a che punto sono i lavori di ricostruzione dello storico bivacco Aldo Frattini a Valbondione, riprogettato da EX. Andrea Cassi e Michele Versaci: per un po’, sarà la “casa in alta quota” del museo.
Chiude la mostra una campagna di affissioni stradali, che coinvolge anche i portali del “muro rosso”, l’opera lunga più di un chilometro di Jean Nouvel che delimita il Parco Scientifico e Tecnologico Kilometro Rosso di Bergamo.
Immagine di apertura: Maurizio Cattelan, One, 2025. Courtesy Gamec
- Mostra:
- Seasons
- Dove:
- Bergamo
- Date:
- 7 giugno – 26 ottobre 2025