Dicono che anche i presidenti piangano. O, a quanto pare, ricevano schiaffi. Non proprio uno scivolone sull'etichetta di Stato, ma un presunto e rocambolesco schiaffo che la Première Dame francese, Brigitte Macron, avrebbe assestato al consorte Emmanuel, ha inondato i social media di risatine e meme. Un episodio poi smentito e chiarito come un gioco, chissà, ma che ha comunque svelato un'amara verità: la curiosità e l'istinto umano per la rissa, anche quella coniugale, è più potente di qualsiasi protocollo. E, se andiamo a indagare, la storia dell'arte non è da meno.
Curiosamente, questo “schiaffo” presidenziale trova una risonanza in un'opera d'arte ben più antica e dal significato profondamente diverso: la Madonna dello Schiaffo. Questa scultura della Madonna con Bambino, risalente al primo quarto del XIII secolo, conservata nella Cattedrale di Vercelli, emerge nel panorama storico-artistico come un manufatto di notevole rilevanza. Scolpita in un unico blocco di marmo bianchissimo, essa incarna non solo la maestria esecutiva dell'epoca romanica, ma costituisce anche un documento materiale intriso di secoli di devozione e narrazioni popolari, che ne hanno plasmato la percezione e il significato nel tempo.

La sua guancia sinistra, segnata da un livido perenne, non è una semplice imperfezione della materia, ma un'impronta della storia popolare. La tradizione vuole che nel duecento, un uomo ubriaco, accecato dall'ira sacrilega, abbia colpito l'immagine mariana, lasciando un segno indelebile sul suo volto di marmo. Questo non è un mero aneddoto; è piuttosto il risultato di un'ansia collettiva, la cristallizzazione del timore per il sacro oltraggiato e della fede in una reazione divina che si manifesta nel corpo stesso dell'opera. L'arte, in questo senso, diventa uno specchio non solo della bellezza, ma anche delle tensioni morali e delle manifestazioni del divino nel vivere quotidiano medievale.
Allo stesso modo, un'altra leggenda, ambientata nella prima metà del XVI secolo, narra che un giocatore, dopo aver colpito la statua della Madonna nel Duomo di Vercelli, si trovò intrappolato nella chiesa mentre l'effigie iniziava a sanguinare. Successivamente giustiziato, l'evento trasformò il luogo in un santuario, ricercato soprattutto in tempi di peste e sciagure. Non a caso, è proprio durante le epidemie e le calamità, quando la comunità si trova ad affrontare l'ignoto e il dolore, che l'immagine mariana diventa il fulcro della venerazione. La statua, quindi, non è più solo una forma estetica, ma si trasforma in un punto di riferimento psicologico e sociale, un intercessore tra il mortale e il divino, capace di alleviare l'angoscia e rafforzare la coesione comunitaria di fronte alle minacce, un simbolo di sopravvivenza e un catalizzatore delle speranze collettive.

Se il candore della Madonna dello Schiaffo (dalla quale si diparte una congettura ironica sul gesto apocrifo) ci introduce a una riflessione sulla gestualità all'interno di una dimensione domestica e affettiva, un'altra e ben più drammatica configurazione del conflitto si manifesta nell'opera di Georges de La Tour: Rissa tra Mendicanti. Qui, l'analisi si sposta dall'intimo all'universale, dalla narrazione devozionale all'implacabile documentazione del reale.
De La Tour non si ferma alla mera rappresentazione aneddotica. La scena viene argomentata dalla luce, tipica del maestro francese che, anziché illuminare la grazia, ne denuncia l'assenza, scavando impietosamente nella natura dell'esistenza. L'utilizzo del chiaroscuro diviene qui strumento di indagine formale e psicologica. Le masse di luce e ombra non sono giustapposte per creare effetti teatrali, ma si compenetrano e si definiscono reciprocamente, modellando i volumi e i piani in una composizione di rigorosa geometria. I volti vengono plasmati da un'illuminazione direzionale che ne accentua la plasticità, rendendoli quasi scultorei nella loro tragica evidenza. Non è la dolcezza infantile o l'armonia coniugale a essere indagata, bensì la dura lotta per la sopravvivenza, il primordiale scontro per la sussistenza che genera violenza e disperazione.

La composizione, sebbene dinamica nella sua rappresentazione dell'alterco, mantiene una sua intrinseca stabilità attraverso l'equilibrio delle diagonali e la disposizione dei corpi. La Tour non opera un giudizio morale sulla scena; la sua è una lucidità quasi chirurgica, una disamina oggettiva della fenomenologia della disperazione. Egli non si limita a ritrarre la miseria, ma ne indaga le conseguenze comportamentali, esponendo la vulnerabilità e, paradossalmente, una residuale dignità in coloro che sono relegati ai margini della società. La luce che colpisce i volti dei mendicanti non è redentrice, ma rivelatrice, ponendo in evidenza le stigmate di una vita di stenti e le lacerazioni prodotte dalla lotta quotidiana.
Ecco allora che i tre “schiaffi” – quello presunto e ironico nel pettegolezzo, quello simbolico e sacro nella narrazione mariana, e infine quello realistico e disperato nella contesa dei mendicanti – si configurano come nodi concettuali attraverso i quali l'arte indaga la complessità delle relazioni umane. Essi non sono solo gesti, ma significanti, veicoli di una comprensione più profonda della realtà umana. Dalla leggerezza del gossip alla profondità della riflessione teologica, fino alla cruda reificazione della realtà sociale, l'indagine artistica si dimostra uno strumento imprescindibile per decifrare le sfumature infinite che la natura dell'uomo può assumere nelle sue manifestazioni più disparate. La pittura, in questo senso, non è solo mimesi, ma costruzione di conoscenza, un'analisi visiva che ci permette di penetrare le dinamiche intrinseche della vita.