C’è un’altra Tokyo. Ce ne sono tante, ovviamente, ma questa ha una cosa che alle altre manca. L’incredibile e futuribile stadio disegnato da Zaha Hadid come gioiello della Tokyo olimpica. Per qualcuno è solo “un costoso cumulo di cemento”, ma per molti è un simbolo, un progetto straordinario e disallineato dalla tradizione, che ha liberato potenzialità che altrimenti non si sarebbero manifestate in città. Lo è per Makina Sara, architetta in quella fase della carriera in cui si è a un passo dall’essere proiettati nell’Olimpo delle archistar.
È suo il progetto che segnerà una nuova era di Tokyo. Una torre dell’empatia, basata sul libro Homo Miserabilis: degno di empatia del celebre sociologo Seto Masaki: secondo quest'ultimo, la società contemporanea ha bisogno di strutture simboliche in grado di stimolare l'identificazione reciproca, e propone una "teoria della torre" ispirata alla prigione come spazio di osservazione e riconoscimento delle emozioni altrui. Anche lui deve tanto a Zaha Hadid. “Grazie al genio di Zaha Hadid sono riuscito a portare a termine la mia opera. Se lo Stadio nazionale non fosse stato completato, non avrei concluso il libro”, ha dichiarato ai giornali durante la presentazione del progetto.

Peccato solo che nel nostro mondo, quello stadio non sia mai stato fatto. Ne è stato costruito uno molto più tradizionalista e in linea con la mentalità giapponese, firmato da Kengo Kuma. Ma per Rie Qudan, l’autrice di Tokyo Sympathy Tower, libro che ha vinto il massimo premio letterario giapponese, il premio Akutagawa, in realtà cambia poco. “Non credo che ci siano grandi differenze tra la Tokyo del mio romanzo e la Tokyo reale”, spiega l’autrice a Domus, in una conversazione via mail innescata dal suo editore italiano, L’Ippocampo. “Nessuna delle due città è particolarmente empatica o coraggiosa”, taglia corto. Anche il progetto che è al centro del racconto del romanzo, anzi uno dei suoi molti punti focali in un numero relativamente contenuto di pagine, è in fin dei conti una chimera.
La torre dell’empatia
Rie Qudan racconta a Domus che alla base del suo romanzo c’è un fatto specifico. L’attentato al primo ministro giapponese Shinzo Abe, ucciso nel luglio 2022. L’assassino era un ex militare, che sosteneva di agire per vendetta in seguito alla rovina economica della sua famiglia. L’attentato sconvolse il Giappone, non abituato alla violenza politica. “Oggi a tre anni di distanza dall’evento nessuno ne parla più”, spiega la Rie Qudan. La sua storia aveva colpito l’opinione pubblica giapponese. E c’era chi provava simpatia per lui. “Ma era simpatia, non empatia”, sottolinea Qudan. Di quella vicenda, però, lei ha conservato una domanda: “dovremmo provare compassione per l’attentatore, vista la sua tragica situazione?”.

La visione dell’empatia proposta dal sociologo Sato Masaki e trasformata in architettura dal progetto di Makina è lo scenario visionario di un Giappone diverso. Nel romanzo, a tratti, la figura dell’architetta scivola in smanie da demiurgo. “La democrazia non sa prevedere il futuro. Io invece posso farlo”, dice a un certo punto Makina. In questa visione, Zaha Hadid incarna un ruolo simbolico, viene trasfigurata in una figura che pare quasi divina. “Tu sei il futuro, Makina. Non dimenticare la lezione di Zaha”. L’architetto è una guida per la città. È la persona che vede il domani. Ha una enorme responsabilità.
“Gli errori degli architetti possono infestare il futuro”, si legge a un certo punto. Per prepararsi al romanzo, Rie Qudan si è preparata a lungo. “Sono sempre stata interessata all’architettura” spiega, raccontando come abbia letto molti scritti di molti architetti giapponesi per scrivere Tokyo Simpathy Tower – e ovviamente di Zaha Hadid. “La forte volontà verso il futuro che traspare da questi architetti reali si riflette anche nella personalità della protagonista del mio romanzo”.
Zaha Hadid era nota come ‘la Regina dell’unbuilt’, ossia di quei progetti rimasti per qualche motivo allo stato di idea [...] aveva un talento enorme, ma le sue idee erano così all’avanguardia che non sempre la realtà ha saputo accoglierle.
Rie Qudan
Costruzioni visibili, parole invisibili
Rie Qudan è una scrittrice che costruisce spirali di senso; nelle sue pagine tutto è stratificato, sublimato, risignificato. Dunque si sente nel romanzo “l’influenza che architetti e costruzioni esercitano sulla nostra percezione del mondo”. Ma la scrittrice si è spinta più in là, verso un’orbita di pensiero esterna e collaterale. “Ho anche iniziato a pensare al rapporto tra le costruzioni visibili e le parole invisibili”. E ancora oltre, tracciando una linea ideale che abbraccia insieme architetti e scrittori, ha utilizzato il concetto di “unbuilt”. Un tratto comune tra la carriera della giovane scrittrice giapponese, che oggi ha 35 anni, e Hadid, che quest’anno ne avrebbe compiuti 75. “Zaha Hadid era nota come ‘la Regina dell’unbuilt’, ossia di quei progetti rimasti per qualche motivo allo stato di idea”, si legge nel romanzo. “Hadid aveva un talento enorme, ma le sue idee erano così all’avanguardia che non sempre la realtà ha saputo accoglierle”. Come è successo nel nostro mondo. Dove probabilmente stiamo ancora aspettando che il futuro immaginato da Zaha Hadid diventi per noi comprensibile.
Un altro tema che avvicina Hadid e Qudan è l’intelligenza artificiale. L’architetta anglo-iraniana ha rivoluzionato l’architettura affidandosi ai computer e alla progettazione parametrica. Ancora oggi, Zaha Hadid Architects è uno degli studi più avanti dal punto di vista tecnologico, sviluppando architetture che vivono sia nello spazio fisico che in quello digitale, tra realtà aumentata e mondi virtuali. In Tokyo Simpathy Tower, l’autrice introduce una intelligenza artificiale, un personaggio parlante che ha ammesso candidamente di avere fatto scrivere a ChatGpt, attirandosi ovviamente svariate critiche – se avevate sentito parlare di questo libro prima di leggere questo articolo, probabilmente è proprio a causa del suo uso dell’AI.
“Voglio affrontare l’assolutamente sconosciuto”
Recentemente, l’autrice si è spinta oltre, partecipando a un progetto della celebre rivista giapponese Kokoku, che le ha chiesto un articolo scritto al 95% dall’AI.
Una intelligenza artificiale potrebbe essere la Zaha Hadid del futuro? Qudan ha messo alla prova l’AI, concludendo che l’AI è solo uno strumento: ha provato a farle scrivere “un racconto guidato dal suo desiderio, e non dal mio”, spiega. “Ma purtroppo questo obiettivo non è stato raggiunto”, aggiunge. “L’AI è addestrata per soddisfare i desideri della persona con cui sta interagendo”, e finché sarà così, “resterà solo uno strumento”. Tuttavia, questo esperimento è servito alla scrittrice per rendersi conto di quello che la guida veramente nell’atto creativo.

“Lasciare il mio nome alla posterità non è importante per me”, racconta a Domus. “Ciò che conta davvero, ciò che mi dà la gioia più profonda, è il processo stesso di creare qualcosa, indipendentemente dal risultato”. E quando le chiedo come pensa che reagirà chi la leggerà fuori dal Giappone, dice che non ne ha idea. E sembra che quasi non le importi. “Non voglio scrivere cose che sembrano fatte apposta per essere apprezzate”, dice. Quello che vuole, spiega, dicendo che è quello che voleva anche da bambina, è scrivere. “Voglio affrontare l’assolutamente sconosciuto”. Chissà se un giorno l’ignoto che Rie Qudan scrive diventerà il nostro reale, come lo sarebbe stato quello di Zaha Hadid.
Immagine di apertura: Zaha Hadid, progetto per il New National Stadium, Tokyo, Giappone. Renderings: Zaha Hadid Architects