Avevamo tirato le somme quest’estate, raccontando di un mercato dell’arte in frenata, appesantito da inflazione, tensioni geopolitiche e nuove priorità di spesa. Eppure, a leggere i report di vendita, a smentire quel quadro è arrivata l’edizione 2025 di Art Basel. In tempi incerti come questi, non era affatto scontato: eppure la fiera delle fiere ha registrato vendite da capogiro fin dalle prime ore.
Con 289 gallerie provenienti da 42 Paesi e oltre 88.000 visitatori, l'appuntamento svizzero del colosso fieristico ha riaffermato la propria centralità nel panorama internazionale, portando a casa risultati che testimoniano una fiducia rinnovata nell’arte come bene rifugio — almeno per chi può ancora permetterselo.
Tra le tante opere vendute, ce ne sono almeno cinque che, per valore economico e peso simbolico, hanno scandito la narrativa di questa edizione.
A rimettere in moto l’ottimismo ci ha pensato già il primo giorno, quando un dipinto su due tele di David Hockney, Mid November Tunnel (2006), è stato venduto per una cifra compresa tra i 13 e i 17 milioni di dollari dalla galleria londinese Annely Juda Fine Art. Un colpo grosso che ha fatto intendere il tono della settimana: i grandi nomi tengono, e quando la qualità è alta, i collezionisti non si fanno pregare.
Dalla scultura filiforme di Ruth Asawa — venduta da David Zwirner per 9,5 milioni di dollari — a un dipinto di Gerhard Richter a 6,8 milioni, passando per due opere recenti di Dana Schutz, una a 1,2 milioni e l’altra a 850.000 dollari e il dittico di On Kawara da 1.3 milioni di dollari, il ritmo delle contrattazioni ha mostrato come i pezzi delle “blue chip” restino il baricentro del mercato.
Lo stesso vale per Hauser & Wirth, che ha dichiarato di aver venduto due lavori di Mark Bradford a 3,5 milioni ciascuno, uno dei quali è entrato in una nota collezione americana, attirando l’interesse anche sugli altri artisti esposti tra cui Fausto Melotti, Piero Manzoni, Nicolas Party (565.000 dollari) e Flora Yukhnovich (575.000 dollari).
Gagosian, al suo trentesimo anno consecutivo in fiera, ha capitalizzato la solidità del suo roster con uno stand curato per l'occasione da Francesco Bonami, registrando vendite con prezzi oscillanti tra i 30.000 e oltre 5 milioni di dollari per opere di Georg Baselitz, Maurizio Cattelan, Rachel Feinstein, Nan Goldin, Damien Hirst, Jamian Juliano‑Villani and Ewa Juszkiewicz.
Il fronte europeo non è rimasto a guardare. Thaddaeus Ropac, prossimo all'apertura della sua sede italiana a Milano, ha annunciato la vendita del dipinto di Georg Baselitz Hier jetzt hell, dort dunkel dunkel (2012) per 1,8 milioni di euro, oltre a un’opera del 1966 di James Rosenquist (Playmate) venduto per la stessa cifra in dollari a un importante museo europeo, e a un Lipstick (Spread) di Robert Rauschenberg del 1981 per 1,5 milioni.
Anche Xavier Hufkens ha registrato ottimi risultati: un nuovo lavoro di Tracey Emin è stato venduto per 1 milione di sterline, mentre un raro dipinto del 1956 di Alice Neel ha attirato l'attenzione di collezionisti storici.
In questo scenario, è evidente che la differenza la facciano reputazione, le relazioni e la capacità di mantenere alto il livello dell’offerta.
Al di sotto della soglia del milione, il mercato si è mosso con discreta fluidità, soprattutto nella fascia media — tra i 50.000 e i 500.000 dollari — dove molte gallerie segnalano un flusso costante di vendite. Anche in questo segmento, però, a dominare non sono tanto le novità o le meteore speculative, quanto gli artisti già istituzionalizzati o in solida ascesa, spesso presenti in collezioni museali.
Coerentemente con questa tendenza, hanno trovato acquirenti le opere di dimensioni contenute, i lavori su carta e le edizioni rare, preferite da collezionisti più attenti, che oggi sembrano privilegiare acquisti ragionati piuttosto che scommesse veloci. Secondo i galleristi, le vendite più agili si sono concentrate su lavori immediatamente leggibili e coerenti con la poetica dell’artista: un segnale che, anche sul mercato, la chiarezza e la forza del “brand” artistico contano più dell’effetto sorpresa.
Eccezion fatta per gli stand curati con attenzione, particolarmente apprezzati da stampa, visitatori e anche dai collezionisti. Uno fra tutti, quello di sans titre, che ha puntato sull’opera dell’emergente Wei Libo con una scelta precisa e poetica: pochi pezzi selezionati, capaci di restituire uno sguardo coerente sul suo universo creativo, fatto di pratiche artigianali e straordinarie capacità di manifattura. Una scelta coraggiosa, premiata con una dozzina di vendite, oltre alle opere esposte in fiera.
Ma pensare che cifre e volumi di quest’edizione raccontino tutto dell’andamento del mercato sarebbe fuorviante. Come ha ricordato Tim Schneider su Il Giornale dell’Arte durante l’edizione 2024, soprattutto “quando ci sono i fuochi d’artificio, ci vuole un po’ di tempo perché il fumo si diradi”. Basilea offre da sempre una piazza d’osservazione per realtà selezionate e privilegiate, e proprio per questo funge già di per sé da garanzia per il collezionista che sceglie di acquistare in questo contesto.
È importante ricordare che il mercato dell’arte resta un organismo complesso, difficile da decifrare, modellato da cambiamenti lenti, realtà frammentate e dinamiche spesso invisibili a chi si concentra solo sulle transazioni milionarie.
Non tutti comprano allo stesso modo, né tutti vendono con gli stessi obiettivi.