Gli articoli più letti del 2020

L’anno è finito. Abbiamo raccolto i 10 articoli che vi sono piaciuti di più.

Gli assoluti: 20 lampade da tavolo imperdibili

Gli assoluti: 20 lampade da tavolo imperdibili

1. Emeralite, Harrison D. McFaddin , 1909 Brevettata nel 1909 dall’americano Harrison D. McFaddin, Emeralite è conosciuta come la lampada del banchiere in riferimento al destinatario del primo modello prodotto. La scelta di materiali e finiture – una base in ottone sostiene un diffusore in vetro prodotto in Moravia – e ancora il decorativismo classicista dei motivi ornamentali contribuiscono a evocare l’elitarismo di questa professione, mentre l’intensità del verde smeraldo riscaldato dalla luce della lampadina è rimasto un tratto iconico nella storia delle lampade da tavolo. Nei decenni successivi, la Emeralite verrà sviluppata in diverse varianti modificando colore e forma del coprilume, per poi uscire di definitivamente di produzione negli anni ’60.  

Ottone e vetro. Dimensioni 16,85 x 21.59 x 44.45 cm.

“Bauhaus Lamp”, Wilhelm Wagenfeld, Carl Jakob Jucker, 1923-24 Prodotta nell’atelier della lavorazione del metallo della celeberrima scuola di design tedesca, la lampada da tavolo nota con il nome di Bauhaus Lamp incarna lo spirito di rinnovamento del movimento grazie all’assenza di ogni elemento decorativo accessorio. Combinazione di forme geometriche nette, mantiene a vista tutte le sue componenti e si distingue per il diffusore sferico in vetro opaco, usato fino a quel momento solo per luci industriali. Una rivoluzione che fa dell’essenzialità delle forme un nuovo parametro del gusto e un impulso alla modernità nell’ambiente domestico.

Ottone e vetro. Dimensioni 16,85 x 21.59 x 44.45 cm

3. Lampada Kandem per il comodino, Marianne Brandt, Hin Bredendieck, 1928 Tra le pochissime studentesse ad avere accesso all’atelier per la lavorazione del metallo del Bauhaus, Marianne Brandt si applicherà con fervore alla progettazione di oggetti capaci di sintetizzare essenzialità e presenza scultorea delle forme. Più di ogni altro progetto, la lampada Kandem da comodino, che Brandt progetterà con l’aiuto di Hin Bredendieck, fa della semplicità delle linee un esempio ante litteram di good design e dell’utilizzo dell’alluminio un primato in un’epoca che privilegiava la presenza di paralumi. La fabbrica Kandem di Leipzig, con cui Brandt aveva avviato una collaborazione che coinvolgeva l’intera scuola del Bauhaus, venderà in pochi anni più di 50.000 esemplari.

Alluminio, stelo regolabile e diffusore collegato con un giunto sferico. Dimensioni 23,5 x 18,4 cm

4. Cocotte, Serge Mouille, 1957 Progettata nel 1955 e messa in commercio nel 1957, Cocotte rimane una delle lampade più celebri firmate dal maestro francese della luce Serge Mouille. Minuta, elegante e discreta, si distingue per la levità del gioco di equilibri tra i piedi, l’inclinazione dell’asta e il diffusore bombato. La lampada è oggi commercializzata da Editions Serge Mouille e prodotta interamente in Francia.  

Metallo e ottone. Altezza 34 cm, profondità 30 cm. Lo stelo in acciaio verniciato nero termina con un giunto sferico in ottone a 270 gradi. Il riflettore in alluminio, verniciato all’interno di bianco per diffondere la luce, si può inclinare di 55 gradi.           

5. Juncker, Afra e Tobia Scarpa, Flos, 1963 Lampada con l’elmetto, Juncker è una delle prime lampade ad introdurre la possibilità di combinare luce diffusa e luce diretta in un unico oggetto. Grazie alla coppia di perni che lo unisce alla base, il coprilume può essere inclinato, modulando la forza della fonte luminosa.

Base in metallo verniciato, diffusore metallico. Altezza 22 cm.

6. E63, Umberto Riva, Bieffeplast/FontanaArte, 1963 Concepita per un concorso lanciato da Artemide che prevedeva l’impiego di materia plastica stampata, questa lampada da lettura nasce con il nome di Brancusi, per poi essere lanciata come E63. La levigatezza delle superfici e il dialogo tra gli spigoli e le curve di base sottolinea il suo carattere scultoreo. Dal 2017 E63 è rieditata da Tacchini, che ne ha implementato una versione in metallo già peraltro prevista tra le opzioni originali previste in fase di prototipazione.

Plastica ABS e metallo per Bieffeplast. Dimensioni 17x 21,7x 43,5 cm.

7. Modello n. 291 Spider, Joe Colombo, O Luce, 1965 Anticipatore instancabile di scenari sociali e tecnologici, Joe Colombo sintetizza nella lampada Spider – declinata anche in versione da terra e da parete – un progetto che si apre agli avanzamenti tecnici dell’epoca come anche alla massima libertà d’uso per l’utente. Il progetto prende spunto dalla disponibilità sul mercato della nuova lampadina ovoidale Cornalux, prodotta da Philips, che si distingueva per una parziale cromatura che permetteva una esposizione diretta della lampadina. Colombo vi costruisce attorno una struttura che del ragno, come il nome stesso suggerisce, riprende la facilità di movimento e indirizzo. Ricavato da un singolo foglio metallico stampato e verniciato, il diffusore può essere regolato a piacere grazie ad un innovativo giunto di plastica che permette non solo di modificarne l’altezza, ma anche di ruotare il diffusore, indirizzando a piacere la sorgente luminosa. Spider ha vinto il Compasso d’Oro nel 1967.

Lampada da tavolo a luce diretta, base in metallo verniciato, asta cromata; riflettore, orientabile e regolabile, in alluminio verniciato. Altezza 40 cm, diametro 18 cm.

8. Eclisse, Vico Magistretti, Artemide, 1966 Lampada trasformista, Eclisse declina il tema space-age tanto in voga nel decennio con una intuizione progettuale discreta quanto astuta. Il paralume sferico in acciaio verniciato nasconde un secondo corpo a scorrimento: quando questo è completamente reclinato nel diffusore, Eclisse proietta una luce diffusa. Al contrario, facendolo ruotare in avanti, Eclisse scherma progressivamente la luce emessa fino a trasformarsi, con il paralume completamente chiuso, in un oggetto misterioso, dai contorni indefiniti. La mimesi con il ciclo lunare le conferisce il valore di una piccola poetica domestica, pur senza intaccare la sua potenzialità funzionale, che la rende perfetta come lampada da comodino per la capacità di regolare a piacimento l’indirizzo della luce. Eclisse ha vinto il Compasso d’Oro nel 1967.

Corpo in metallo verniciato disponibile nei colori bianco, rosso o arancione con interruttore on/off. Dimensioni 12 x 12 x 18 cm.

9. Ruspa, Gae Aulenti, Martinelli Luce, 1967 Variazione sul tema della modularità della luce, Ruspa gioca ancora una volta con la possibilità di ruotare il suo coprilume per schermare parzialmente l’intensità luminosa. Un ulteriore elemento di fascinazione è dato dall’articolazione geometrica dei suoi componenti, che si rivelano complementari: la base, un quarto di sfera, si completa virtualmente con il diffusore, pari a tre quarti della stessa sfera.

Base e diffusore in metallo verniciato, 58 cm di altezza

10. Modello 602, Cini Boeri, Arteluce, 1968 Si ispira a materiali poveri e apparentemente banali la lampada da comodino che Cini Boeri ripensa come un gioco di incastri. Tubi in PVC rigido, di produzione e uso industriale, varcano la soglia dello spazio domestico, dimostrando che è l’intelligenza e il tocco ironico di un progetto, e non necessariamente la nobiltà dei materiali, a fare la differenza. Grazie alla rotazione, la luce diretta può essere indirizzata a piacimento, adattandosi alle esigenze di ogni lettura.

Tubi di PVC, dimmer alla base e illuminazione a led. Dimensioni cm 20,5 x 25, diametro cm 8.

11. Hebi, Isao Hosoe, Valenti, 1970 Un braccio flessibile in metallo protetto da una guaina in materia plastica rende la lampada Hebi – non a caso, “serpente” in giapponese - un campione impareggiabile di flessibilità. Anche il corpo diffusore metallico può essere ruotato di 360 gradi, permettendo di dirigere la luce a piacimento. Ingegnere aerospaziale di formazione, Isao Hosoe firma un oggetto che si modella come in un gioco, e che rappresenta un’indiscussa innovazione tipologica tra le lampade da tavolo. Oltre duecentomila esemplari di questa popolarissima lampada saranno venduti in tutto il mondo.

Braccio flessibile ricoperto di un polimero flessibile, riflettore girevole in alluminio laccato. Altezza 70 cm.

12. Table Lamp, Nanda Vigo, Arredoluce, 1970 Delle grandi sperimentazioni di Vigo nel regno della luce, Table Lamp mantiene il registro minimalista che caratterizza la sua produzione tra gli anni ’60 e ’70, pur giocando con un vezzo decorativo attraverso il dialogo tra i materiali della base e del corpo luminoso, rispettivamente metallo cromato e ottone. La testa, orientabile, può essere fatta ruotare verso l’alto, trasformando la lampada in un inedito faretto.

Metallo cromato, ottone. Diametro della base 15 cm.

13. Lampadina, Achille Castiglioni, Flos, 1972 Lampadina sintetizza la semplicità nuda della lampadina con l’utile accorgimento di associare la base alla funzione di riavvolgitore del cavo elettrico. Senza alcun orpello accessorio e anzi celebrando la bellezza degli oggetti meno apparescenti del quotidiano, questa piccola lampada da tavolo rappresenta un’altra delle iconiche invenzioni di Achille Castiglioni nel mondo dell’illuminazione, pronta a risolvere un problema complesso, quello dell’impiccio del cavo, con una soluzione semplice all’uso.

Base in alluminio anodizzato, porta lampadina in bachelite con verniciatura a liquido per la versione in colore arancio. Lampadina globolux in vetro trasparente con una parziale sabbiatura su un lato della sfera. Altezza 24 cm.

14. Tizio, Richard Sapper, Artemide, 1972 Il nome di questa icona spiega bene le intenzioni di Ernesto Gismondi, patron di Artemide e produttore della lampada: un oggetto che potesse soddisfare “Tizio, Caio e Sempronio”, adattandosi alle esigenze di un pubblico vasto. Sono soprattutto le sue caratteristiche funzionali a spiegarne il successo: con la sua testa e i suoi bracci orientabili bilanciati da contrappesi, Tizio combina un ingombro limitato ad un’ampia libertà di movimento, permettendo di conseguenza di indirizzare a piacimento la luce. La semplicità delle forme si combina con la complessità ingegneristica, come gli oltre cento componenti e l’inserimento del trasformatore alla base.

Alluminio, tecnopolimero. Dimensioni 78 x 66 x diametro 11 cm

15. Valigia, Ettore Sottsass, Stilnovo, 1977 Instancabile viaggiatore, Sottsass opera con Valigia una traslitterazione dell’esperienza della mobilità allineando la forma idealtipica di una valigia ad una lampada mobile. La maniglia posizionata sul diffusore permette infatti di spostarla con facilità, assecondando i desideri mutevoli del suo possessore. La luce, completamente schermata, trasforma lo spazio circostante in un’isola luminosa per lavorare o leggere. Ironica nella forma come nello spirito, Valigia è un preludio alla libertà di espressione a cui Sottsass si consacrerà negli anni di Memphis.

Tubo metallico, lamierino verniciato. Dimensioni 37x 22 x 34 cm.

16. Tolomeo, Michele De Lucchi e Giancarlo Fassina, Artemide, 1987 Incarnazione atemporale della tipologia della lampada a bracci, Tolomeo è uno dei maggiori successi della storia del disegno industriale. Rilettura della lampada a pantografo, sostituisce le molle dei modelli precedenti quali la Anglepoise e la Naska Loris con cavi d’acciaio e giunti che li mantengono in tensione, infondendo un tocco hi-tech. Ha vinto un Compasso d’Oro nel 1989 e nel 2010 è stata tra le prime lampade ad essere dichiarata “marchio di forma” dall’UAMI, l'ufficio dell'Unione europea competente per la registrazione di marchi, disegni e modelli, in virtù dell’iconicità del suo profilo. De Lucchi confiderà in un’intervista di non poter spiegare il successo di questo suo modello, che resta la lampada più venduta degli ultimi decenni.

Base e struttura a bracci mobili in alluminio lucidato; diffusore in alluminio anodizzato; snodi e supporti in alluminio brillantato. Dimensioni 78 x 129 x diametro di 23 cm.

17. Block Lamp, Harri Koskinen, 1996 Block Lamp appare come una lampada congelata: due blocchi di vetro contengono una lampadina con finitura opaca, che rimane ingabbiata all’interno della sua stessa forma ma che diventa allo stesso tempo la protagonista decorativa dell’opera. Accesa, la lampada sembra sprigionare un’aura mistica grazie alla fonte luminosa che sembra scaturita da un blocco di ghiaccio.

Vetro fuso a mano, cavo e interruttore elettrico. Dimensioni 9.5 x 16.5 x 10.2 cm.

18. Elica, Brian Sironi, Martinelli, 2009 Senza meccanismi visibili e senza interruttore, Elica è la prima lampada che si accende con un movimento della mano, inaugurando una nuova forma di interazione, più spontanea e poetica, tra utente e oggetto. È infatti il braccio che, ruotando, ne determina l’accensione e lo spegnimento. Le proporzioni della lampada si rifanno volutamente alla sezione aurea, così da enfatizzare la purezza scultorea dei rapporti tra componenti, mentre la sorgente luminosa è un LED integrato. Elica ha vinto un Compasso d’Oro nel 2011.

Base e braccio in alluminio verniciato, sorgente di luce a LED integrato. Dimensioni 60 x 38 cm.

19. Piani, Ronan e Erwan Bouroullec, Flos, 2011 Piani coniuga all’illuminazione la funzione di svuotatasche grazie ad una base che funge anche da vassoio. La sua apparente semplicità non è l’esito di un freddo incastro geometrico, ma si limita a giocare con le proporzioni dei due piani paralleli, un inedito nel mondo delle lampade da tavolo.

Corpo lampada stampato ad iniezione in ABS. Dissipatore in alluminio pressofuso lucidato. Diffusore in PMMA ottico stampato ad iniezione. Trasformatore elettronico su spina. Dimensioni 26,4 x 20 cm.

20. Filo, Andrea Anastasio, Foscarini, 2017 Il designer Andrea Anastasio rilegge in chiave decorativa una lampada da tavolo, trasformando gli elementi solitamente nascosti in un nuovo primato di presenza e personalità. L’interesse che suscita è dato dalla rottura delle aspettative: due maxi perle in vetro impreviste e un lungo filo arrotolato che, seppure appeso a un gancio o potenzialmente sul punto di srotolarsi, sembra destinato a rimanere dov’è.

Porcellana, cavo tessile, vetro soffiato e metallo verniciato. Altezza 50 cm, diametro base 20 cm, lunghezza del cavo 300 cm.

Le grandi icone della storia del design che hanno innovato la tipologia della lampada da scrivania. Combinando nuove conquiste tecniche e ricerca di forme assolute. Leggi l’articolo completo.

Demolito l’autogrill di Angelo Bianchetti, icona del boom italiano

Immagine archivio Arch. Jan Jacopo Bianchetti

La struttura del Villoresi Ovest, progettata nel 1958 per Pavesi sull’Autostrada dei Laghi, è stata parzialmente demolita: rimangono in piedi i tre archi autoportanti, manifesto di un’architettura avveniristica. Leggi l’articolo completo.

Dieci fumetti che cambieranno il vostro modo di guardare l’architettura

1. L’Eternauta Paolo Bacilieri: Di questi tempi, come non riprendere in mano il capostipite dei fumetti distopici, Enrique? L’argentino El Eternauta, del 1957, di Oesterheld e Solano-Lòpez, anche dal punto di vista architettonico è piuttosto interessante, nella sua ‘brutalistica’ semplicità e immediatezza grafica. La storia inizia, come molti sanno, con una mortale nevicata, in un sobborgo di una grande città, (Buenos Aires), dentro un villino dal vago aspetto tirolese che mi ha sempre colpito per la sua chilometrica “lontananza”, quel vago senso di familiarità e, nello stesso tempo, di remotezza spazio temporale! Anche noi lettori, come l’eternauta, il protagonista del libro, viaggiamo nello spazio e nel tempo con questo capolavoro immortale. Enrique Bordes: Querido Paolo! A Madrid, la prima volta che sono uscito a fare la spesa con la mascherina mi sono sentito un po’ Juan Salvo, il suo protagonista. C’è stato pure un giorno, uno dei primi di confinamento, in cui è sembrato che nevicasse. Non aggiungo altro.

Autori: Héctor Germàn Oesterheld e Solano-Lòpez. Casa editrice: 001 Edizioni. Pagine: 364. ISBN: 978-8871820774

1. L’Eternauta

Autori: Héctor Germàn Oesterheld e Solano-Lòpez. Casa editrice: 001 Edizioni. Pagine: 364. ISBN: 978-8871820774

1. L’Eternauta

Autori: Héctor Germàn Oesterheld e Solano-Lòpez. Casa editrice: 001 Edizioni. Pagine: 364. ISBN: 978-8871820774

2. Asterix e la Zizzania (La Zizanie) PB: A intristire ulteriormente questo frangente, è arrivata la notizia della dipartita di Albert Uderzo, il disegnatore di Asterix, Enrique! Io di solito divido i fumettisti in “archimedici” e “proustiani”. L’opera dei primi sembra una continua invenzione scaturita dal nulla, che si concretizza in veri e propri elementi iconici, come il deposito di Paperon de’ Paperoni, l’astronave di Tin Tin, lo scudo di Capitan America, e così via. I “proustiani”, invece, con le tecniche più diverse, ci riportano a un’epoca e a un tempo perduti, la evocano, riportano in vita il passato, il mito. Vedi gli anni Settanta nei vestiti e nelle poltrone di Valentina, le divise e le armi nelle storie di Corto Maltese, e così via. Forse, la stessa macrodivisione si può applicare anche agli architetti, Enrique? Frank Gehry, archimedico! Aldo Rossi, proustiano! Ebbene, Uderzo è un archimedico di proporzioni giganti, poco importa se le sue storie sono ambientate nella Gallia di 2.000 anni fa. Tutto, nelle sue tavole splendide, è ricreato ex novo: dal villaggio di Asterix e Obelix ai monumenti della Roma imperiale, dai “castrum” romani ai banchetti a base di cinghiale che chiudono immancabilmente le storie, per non parlare di quell’oggetto perfettamente iconico che è il menhir di Obelix! EB: Pure il villaggio dei Galli sotto la lente d’ingrandimento!

Autori: Albert Uderzo e René Goscinny. Casa editrice: Educa Books. Pagine: 48. ISBN: 978-2012101470.

3. Il commissario Spada PB: Capisco e condivido la tua passione per questo grande fumetto, Enrique! Tra i (pochi) vantaggi della mia educazione cattolica, c’era l’abbonamento (che mia madre fece dietro mia insistenza) a Il Giornalino, settimanale che pubblicava fumetti bellissimi, tra i quali appunto Le Avventure del Commissario Spada. Nessun dubbio che anche dal punto di vista “architettonico” le tavole di De Luca siano una miniera di sorprese, vignette sfondate o totale assenza di vignette, decoupage acrobatici, soluzioni visive, tanto incredibili quanto chiare, limpide, perfettamente leggibili anche per un ragazzino veneto dei tardi anni Settanta! In DeLuca tutti gli elementi della grammatica fumettistica sono reinventati e rimodellati in un insieme unico, coerente e riconoscibile. Ma Gianni De Luca rimane per me qui un proustiano al 100%, ci riporta, ci scaraventa anzi, nella “sua” Milano di fine anni Settanta! Nessuno meglio di lui ha saputo raccontare a fumetti quelle auto, quelle pettinature, quei telefoni, quegli androni, quella nebbia. EB: Sono d’accordo! forse possiamo dire che era un archimedico di quella grammatica fumettistica? Di De Luca mi affascina che la prima volta che ha visto Roma, la vide come un grande fumetto!

Autori: Gian Luigi Gonano (Giobbe) e Gianni De Luca. Casa editrice: Mondadori, Prezzo: € 28. Formato: 19,5 x 26,0 cm. Pagine: 704. ISBN: 9788804680956

3. Il Commissario Spada

Autori: Gian Luigi Gonano (Giobbe) e Gianni De Luca. Casa editrice: Mondadori, Prezzo: € 28. Formato: 19,5 x 26,0 cm. Pagine: 704. ISBN: 9788804680956  

4. Italo PB: Italo è il nuovo graphic novel di Vincenzo Filosa, mangaka crotonese a cui già dobbiamo in anni recenti la traduzione e diffusione del Gekiga, il neorealismo giapponese a fumetti, nel nostro Paese e una manciata di GN bellissimi. Italo è un fumetto di forte impatto, disarmante autenticità e grande ricchezza visiva. Seguiamo le vicende di un giovane traduttore, grafico e fumettista in difficoltà. Incastrato tra Milano e la nativa Calabria, tra le difficoltà lavorative e la dipendenza da farmaci, tra il ruolo di figlio e quello di uomo e padre, tra SERT milanesi rivestiti di klinker e “non finito crotonese” (il bianco e nero tenero, preciso e commovente di Filosa riesce a rendere belli perfino gli abusi edilizi calabresi: piano terra e primo piano intonacati e abitati, e piani superiori ancora scheletrici).

Autore: Vincenzo Filosa. Casa editrice: Rizzoli Lizard. Prezzo: 20 €. Formato: 21 x 15 x 1,8 cm. Pagine: 192. ISBN: 9788817139700

4. Italo

Autore: Vincenzo Filosa. Casa editrice: Rizzoli Lizard. Prezzo: 20 €. Formato: 21 x 15 x 1,8 cm. Pagine: 192. ISBN: 9788817139700

4. Italo

Autore: Vincenzo Filosa. Casa editrice: Rizzoli Lizard. Prezzo: 20 €. Formato: 21 x 15 x 1,8 cm. Pagine: 192. ISBN: 9788817139700

5. Non mi posso lamentare PB: Paolo Cattaneo, giovane fumettista genovese ci racconta di Danilo, NMPL è una lunga intima, articolata e disperata lettera d’amore che un giovane padre disadattato e malato terminale, Danilo, scrive a sua figlia non ancora nata, immaginandola già grande. Alienazione, televisione, telefonini, videogiochi, Panda 4x4, mense, parcheggi di supermercati, distributori di benzina, Fiesta e Tobleroni, tralicci dell’alta tensione collassati e squallore assortito d’Italia anni zero, in un preciso, crudele e coloratissimo albo. EB: Non vedo l’ora di finire questo confinamento per averli in mano e leggere quello che Vincenzo e Paolo hanno fatto! PB: Che ne dici Enrique, vuoi continuare tu? EB: D’accordo, Paolo! Proseguo!

Autore: Paolo Cattaneo. Casa editrice: Rizzoli Lizard. Prezzo: 21 €. Formato: 21 x 15 x 1,8 cm. Pagine: 240. ISBN: 9788817139663

5. Non mi posso lamentare

Autore: Paolo Cattaneo. Casa editrice: Rizzoli Lizard. Prezzo: 21 €. Formato: 21 x 15 x 1,8 cm. Pagine: 240. ISBN: 9788817139663  

5. Non mi posso lamentare

Autore: Paolo Cattaneo. Casa editrice: Rizzoli Lizard. Prezzo: 21 €. Formato: 21 x 15 x 1,8 cm. Pagine: 240. ISBN: 9788817139663

5. Non mi posso lamentare

Autore: Paolo Cattaneo. Casa editrice: Rizzoli Lizard. Prezzo: 21 €. Formato: 21 x 15 x 1,8 cm. Pagine: 240. ISBN: 9788817139663

6. 13, Rue del Percebe EB: In questi tempi di reclusione, sono riapparse diverse versioni di un classico spagnolo, con il quale siamo cresciuti di generazione in generazione: 13 Rue del Percebe, di Francisco Ibáñez. Non è un’idea troppo originale: un edificio aperto in sezione diventa automaticamente una pagina comica dove si vede la convivenza tra vicini, sempre più o meno forzata. Ma Ibáñez, per pura accumulazione, l’ha trasformato in uno dei migliori ritratti che abbiamo della società urbana spagnola, forse della città latino-europea. Le prime pagine di questo tipo sono apparse a Londra e a Parigi nel XIX secolo, l’ultima che ho visto, qualche giorno fa, era di Lisbona, e già parlava in modo satirico del confinamento da Coronavirus.

Autore: Francisco Ibáñez. Casa editrice: Bruguera. Pagine: 352. ISBN: 978-8402422705

6. 13, Rue del Percebe

Autore: Francisco Ibáñez. Casa editrice: Bruguera. Pagine: 352. ISBN: 978-8402422705

7. La casa EB: Proseguendo con spazi di intimità e fumetti spagnoli è d’obbligo andare da due dei nostri grandi: Paco Roca e Daniel Torres. Entrambi, nello stesso anno, hanno pubblicato opere che parlano della nostra storia intima attraverso lo stesso titolo: La casa. Quella di Roca è una storia di famiglia, quella di Torres allude a tutta l’umanità, ma nel profondo parlano della stessa cosa, il forte legame della nostra storia con il nostro spazio abitato. Ho intenzione di barare e vorrei introdurre un terzo fumetto con lo stesso titolo: La casa del francese Victor Hussenot, che evidenzia ulteriormente il ruolo del fumetto in questa equazione. Le vignette di Hussenot sono nella sua vera origine: la nostra casa.

Autore: Paco Roca. Casa editrice: Tunué. Pagine: 125. Prezzo: 19,90 €. ISBN: 978-8867901791

7. La casa

Autore: Paco Roca. Casa editrice: Tunué. Pagine: 125. Prezzo: 19,90 €. ISBN: 978-8867901791

7. La casa

Autore: Victor Hussenot. Casa editrice: Warum. Pagine: 108. ISBN: 978-2-915920-70-3

7. La casa

Autore: Daniel Torres. Casa editrice: Norma Editorial, S.A. Pagine: 576. Prezzo: ISBN: 978-8467920758

8. In the Shadow of No Towers EB: Art Spiegelman è uno degli autori che più insiste sull’idea che il fumetto stesso possa essere un tipo di architettura. Nella sua riflessione sull’11 settembre, L’ombra delle torri, forma e sostanza sono affidate a una riflessione unica sul mezzo (con un’ancora nella sua storia) e la nostra reazione come collettivo in tempi di crisi. Adesso, sia nella tua Milano sia nella mia Madrid, stiamo un po’ tutti “aspettando l’altra scarpa”, un’espressione che Spiegelman spiega bene in questo libro su quei tempi after 9-11. 

Autore: Art Spiegelman. Casa editrice: Pantheon Books. Pagine: 48. Prezzo: 33 €. ISBN: 978-0375423079

9. Building Stories EB: Quasi agli antipodi creativi di Ibañez, c’è il grande Chris Ware, un orafo fumettista che, attraverso la sua Acme Novelty Library, ha rivoluzionato il linguaggio. Il suo Building Stories è un capolavoro assoluto, che racchiude vignette e vignette di intimità in una grande scatola – per niente – nera. Devo confessare che, per me, Ware è una divinità, la sua influenza è stata così enorme che certi autori che conosco, un po’ per scherzo, lo vogliono già morto! (Paolo non so se anche tu sei tra questi…)

Autore: Chris Ware. Casa editrice: Pantheon Books. Pagine: 264. ISBN: 978-0375424335

10. Celestia EB: Paolo, riflettendo su questa classificazione degli autori proposta da te, archimedici e proustiani, e sul loro rapporto con l’architettura, credo sia interessante avvicinarsi a ciò che Fior fa a Celestia (che ho scoperto inizialmente sul tuo blog... Figurati ci sono ancora persone che scrivono e leggono di queste cose!). La sua storia comprende due architetture assolutamente iconiche, per Venezia, mai realizzate da Wright e Le Corbusier, due degli architetti più significativi del Novecento. Se non conoscessimo questi pezzi, penseremmo che Fior è un creatore assolutamente archimedico... Quando in realtà è un proustiano travestito. Ricostruendo un passato architettonico mai esistito, Fior proietta una Venezia di fantasia distopica, creando nuove icone per il fumetto. Mi affascina vedere quanti luoghi vengono trasformati e finiscono per avere un’altra vita attraverso gli occhi dei fumetti, proustiani e non. Il Coconino di Herrimann, il Dominion di Seth oppure la stessa città di Palma di Maiorca in Historias del barrio o quella Calabria di Filosa di cui parlavi poco fa. PB: Sì, Enrique, inoltre mi piace pensare a un’altra connessione meno evidente tra fumettisti e architetti: la progettazione di una storia somiglia a quella di un edificio, comincia per entrambi con degli scarabocchi più o meno confusi su carta, piantine, scorci, decoupage, dettagli… Anche noi progettiamo spazi in cui si muovono persone, personaggi umani e non, amano, odiano, muoiono… In una parola vivono.

Autore: Manuele Fior. Casa editrice: Oblomov Edizioni. Pagine: 48. Prezzo: 10 €. Formato: 17 x 24 cm. ISBN: 9-788885-621893

10. Celestia

Autore: Manuele Fior. Casa editrice: Oblomov Edizioni. Pagine: 48. Prezzo: 10 €. Formato: 17 x 24 cm. ISBN: 9-788885-621893

EXTRA: Bacillieradas! EB: Paolo! Avendoti come controparte mi viene da fare una selezione solo con le tue opere e i tuoi particolari approcci all’architettura. Ho intenzione di trattenermi. Forse Tramezzino è il più evidente, con la sua doppia affermazione della vera bellezza di una Milano Moderna e del fumetto-architettura come sostegno della nostra intimità. Ma se oggi dovessi sceglierne tra i tuoi ultimi lavori, conserverei i dettagli dei fumetti Bonelli, per esempio in uno dei tuoi ultimi Dylan Dog (#369 insieme a Ratigher, Giuseppe Montanari ed Ernesto Grassani). Qui le tue preziose vignette quadrate, vere e proprie unità tettoniche dei tuoi fumetti, diventano le piastrelle di un bagno, a testimonianza di qualcosa che amo dire: il fumetto è la nostra seconda pelle. Ma non vedo l’ora di andare a vedere l’ultima cosa che hai fatto con questi Dylan Dog. Paolo, nel pieno di questa situazione così difficile, che bello è stato parlare di queste cose con te!

Autore: Paolo Bacilieri. Casa editrice: Canicola. Pagine: 36. Formato: 30×42 cm. Prezzo: 17 €. ISBN: 978-8899524272

EXTRA: Bacillieradas!

Titolo: Tramezzino. Autore: Paolo Bacilieri. Casa editrice: Canicola. Pagine: 36. Formato: 30×42 cm. Prezzo: 17 €. ISBN: 978-8899524272

EXTRA: Bacillieradas!

Titolo: Tramezzino. Autore: Paolo Bacilieri. Casa editrice: Canicola. Pagine: 36. Formato: 30×42 cm. Prezzo: 17 €. ISBN: 978-8899524272

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Paolo Bacilieri, Dylan Dog #369 (con Ratigher, Giuseppe Montanari ed Ernesto Grassani).

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Comic, arquitectura narrativa

Enrique Bordes

Con un dialogo a distanza, i due fumettisti Paolo Bacilieri ed Enrique Bordes elencano 10 titoli del cuore – da Chris Ware all’Eternauta – dove fumetto e architettura collidono. Leggi l’articolo completo.

Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus

Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Barona, 8FQFC4PX+6Q

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Milano San Cristoforo, 8FQFC4VF+G5

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Milano San Cristoforo, 8FQFC4VF+G6

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Piazza Guglielmo Miani, 8FQFC5P3+VQ

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Morivione, 8FQFC5RR+H9

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Viale Tibaldi, Università Bocconi, 8FQFC5WQ+82

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Piazzale Lodi, 8FQFC6W6+V5

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Piazzale Brescia, 8FQFF4CV+5X

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Piazzale Segesta, 8FQFF4GP+6R

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Chinatown, 8FQFF5HF+HR

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Fondazione Feltrinelli, 8FQFF5JJ+CV

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Viale Melchiorre Gioia, 8FQFF5MW+V2

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Palestro, 8FQFF6C2+PX

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Città Studi, 8FQFF6FF+8J

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Città Studi, 8FQFF6FG+9G

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Piazza Leonardo da Vinci, 8FQFF6HG+JJ

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Città Studi, 8FQFF6MC+PF

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Loreto, 8FQFF6P7+MW

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Piazzale Loreto, 8FQFF6P8+FF

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Lambrate, 8FQFF6PM+6V

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Via Padova, 8FQFF6RF+96

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Stazione Centrale, 8FQFF6V7+77

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Piazza Morbegno, 8FQFF6V8+5H

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Piazza Morbegno, 8FQFF6V8+7G

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Ripa di Porta Ticinese, 8FQFF52F+G9

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Darsena del Naviglio, 8FQFF52H+XC

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Valsesia, 8FQFF447+WH

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Forze Armate - Sella Nuova, 8FQFF457+2M

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Forze Armate - Sella Nuova, 8FQFF457+CH

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Forze Armate - Sella Nuova, 8FQFF457+W4

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Forze Armate - Sella Nuova, 8FQFF465+5J

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Dergano, 8FQFG52M+JQ

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Bovisa, 8FQFG528+9V

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Quartiere Greco, 8FQFG626+VF

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Il viaggio fotografico di Maurizio Montagna nella Milano in quarantena per il Coronavirus Milano Bicocca, 8FQFG676+8V

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In esclusiva per Domus, le immagini lungo la circonvallazione esterna catturano le zone periferiche di una città che conosciamo ma ora non possiamo vedere. Leggi l’articolo completo.

I telefoni che hanno fatto la storia del design

1. Telettrofono, 1871 Chi fu il vero inventore del telefono? Se lo chiedete agli americani vi risponderanno inevitabilmente “Alexander Graham Bell”. Ma per le autorità italiane l’invenzione va attribuita ad Antonio Meucci, l’immigrato italiano che nel 1871 fondò la sua Telettrofono Company e mise a punto i prototipi di quello che si potrebbe definire a tutti gli effetti il primo apparecchio telefonico. Tuttavia la storia è nota: Meucci non brevettò correttamente la sua invenzione, come invece farà qualche anno più tardi Alexander Graham Bell, perdendo così la prelazione sul titolo di inventore del telefono.

2. Il telefono di Graham Bell, 1876 Il titolo viene invece viene generalmente riconosciuto ad Alexander Graham Bell, che nell’estate del 1876 stupì i partecipanti dell’esposizione internazionale di Philadelphia con la “sua” invenzione, brevettata nel marzo dello stesso anno: una  specie di telegrafo per la voce, capace di trasmettere una conversazione a distanza grazie all’elettromagnetismo.   

3. Stowger Potbelly Candlestick, 1905 Nel giro dei vent’anni successivi nasce quella che conosciamo come industria del telefono, con una copertura sempre maggiore del territorio. Una nuova grande innovazione arriva alla fine dell’ottocento, con l’ideazione della selezione automatica del numero de ricevente. La inventò Almon Stowger, un gestore di onoranze funebri di Kansas City che doveva risolvere un problema concreto: l’operatrice della compagnia telefonica dirottava le chiamate dei clienti all’azienda di suo marito, principale concorrente di Stowger. Il primo telefono con la rotella per la selezione automatica, il Candlestick Potbelly, arriverà nel 1905, ma a Stowger si deve anche l’ideazione del design “upright” con microfono e auricolare separati, che rimarrà in voga fino agli anni trenta.

4. Ericsson 1001 (1931) Per il primo telefono con un design contemporaneo bisogna aspettare il 1931, quando l’ingegnere Johan Christian Bjerknes e l’artista e designer norvegese Jean Heiberg creano il modello 1001. Il prodotto era un progetto nato dalla collaborazione di Lars Magnus Ericsson, l’Elektrisk Bureau di Oslo e la Televerket svedese. Il modello 1001 è il primo telefono in bachelite, con una scocca integrale, la rotella di selezione e il campanello per le chiamate in ingresso. Il design era considerato estremamente all’avanguardia per il periodo, tanto che poi si affermerà in tutta europa e “ispirerà” a Henry Dreyfuss il modello 500 della Western Electric. In Europa veniva normalmente indicato come telefono “di tipo svedese”.

5. Ericofon, 1949 Nel secondo dopoguerra spetterà agli svedesi di Ericsson l’onere e l’onore di provare a ripensare, ancora un volta, il design dell’oggetto telefono. L’Ericofon è il primo apparecchio a incorporare la cornetta e la rotella di selezione in un’unica scocca. Oggi esposto al MoMa, l’Ericofon venne soprannominato “telefono cobra”, per la forma simile a quella di un serpente raggomitolato e la testa alzata e pronta a… rispondere alla chiamata.  

6. Princess, 1959 Negli anni del boom il design dei telefoni continua ad evolvere, ma è negli anni ‘50 che si comincia davvero a sperimentare con le forme e con i colori, in un primo assaggio delle variazioni sul tema di stampo optical e modernista degli anni ‘60.
L’emblema di questo spirito nuovo nel design telefonico dei fifties è il Princess. Progettato dallo studio di Henry Dreyfuss, era un modello compatto pensato per “i comodini delle signore”, dove si adattava meglio del pesante e massiccio modello 500.  

Bigrigio, 1962
 L’equivalente italiano del modello 500 della Western Electric in America e dell’Ericsson 1001 è senza alcun dubbio il famoso Siemens S62, il telefono a rotella per eccellenza per tre generazioni di italiani. Il progetto era del designer Lino Saltini per conto di Siemens, ma nei decenni successivi il l’apparecchio fu prodotto anche da FATME, Italtel e Face Standard in vari modelli. Veniva scherzosamente indicato come bigrigio perché la cornetta e il corpo dell’apparecchio erano realizzati in materiale plastico in due tonalità di grigio differenti.

8. Grillo, 1966 Nello stesso decennio in cui iniziò la distribuzione del famoso Bigrigio, la Sit-Siemens affidò a Marco Zanuso e Richard Sapper la commessa per la progettazione di un apparecchio dal design rivoluzionario: il grillo. Era un prodotto audace, che sovvertiva alcuni degli elementi tipici dell’oggetto telefono. La cornetta era pieghevole, ad esempio, e una volta riposto sulla base l’oggetto non tradiva in alcun modo la sua natura di apparato per la comunicazione, se non per il filo. Nel 1967 il Grillo vincerà un meritatissimo compasso d’oro

9. Motorola DynaTac 8000X, 1983-1989 Sebbene alcuni dei telefoni di casa di questa lista erano già degli indicatori di stato sociale (non tutti si potevano permettere un Grillo sul comodino), è solo con l’avvento della telefonia mobile che l’apparecchio telefonico diventerà uno status symbol. L’idea di poter chiamare ed essere raggiungibili sempre, in ogni luogo e qualsiasi momento, si addiceva perfettamente all’estetica iperproduttiva degli Yuppie degli anni ‘80, esattamente come le speculazioni borsistiche e la cocaina. Un’estetica incarnata perfettamente dal DynaTac, il cellularone di Gordon Gekko in Wall Street. Nonostante un prezzo esorbitante (costava circa 4000$ all’uscita nel 1983), fu un enorme successo. Nel giro di pochi anni più di 300.000 americani attivarono un servizio di telefonia mobile e l’unico cellulare disponibile era “il mattone” di Motorola.  

10. Pulsar / 1985 I figli degli anni ‘80, in Italia, hanno imparato a telefonare su due apparecchi distinti. Il Bigrigio di cui sopra, a casa di nonna, e il Pulsar, con il suo design più moderno, che i genitori potevano mettere in casa pagando qualche spicciolo in più alla SIP per il comodato d’uso. Il design incarnava certe linee automobilistiche degli anni ‘80, e così i colori, con una versione bordeaux audace e impossibile da accostare al resto dell’arredamento. Il motivo in cui lo si preferiva al Bigrigio, però, era il tastierino numerico, molto più comodo e veloce della rotella del modello S62.

11. Autotelefono SIP, 1989 Più del cellulare Dynatac, il vero status symbol telefonico italiano di fine ‘80 era il telefono da automobile che si poteva anche trasportare con una tracolla. Il “radiomobile da conversazione”, poi indicato come autotelefono, era molto più affine all’estetica italiana del manager in carriera pre-Mani Pulite, con la Lancia Thema e il vestito Armani.
I modelli di fine anni 80 e inizio anni 90 sono protagonisti di alcuni spot, oggi spassosissimi, che si possono ancora godere su YouTube. Gli autotelefoni più avanzati funzionavano su rete RTMS, basata su ponti radio e celle che permettevano di mantenere la conversazione anche durante l’handover, cioè la transizione del collegamento da una cella alla successiva.   

12. Sirio, 1987 (produzione dal 1990) Solo due anni più tardi, al Pulsar seguirà un altro modello con un nome di ispirazione cosmica, il Pulsar. È forse uno dei design in assoluto più noti tra i telefoni forniti in dotazione dalla SIP. Non è raro trovarlo ancora in molte case italiane in una delle ultime versioni prodotte. Le linee del Sirio (nome che SIP e poi Telecom riproporranno in molte salse differenti) erano più morbide e anticipavano il gusto degli anni ‘90 e i grandi cambiamenti della tecnologia telefonica in Italia nel corso del decennio: la selezione del numero in multifrequenza DTMF,  l’arrivo della teleselezione su tutto il territorio nazionale (vi ricordate quando per chiamare il Bigrigio di nonna non serviva il prefisso?) e soprattutto i primi esperimenti di doxa collettiva applicata al mondo dello spettacolo: il famigerato televoto.  

Motorola StarTac, 1996 La miniaturizzazione del cellulare nei primi anni ‘90 procedeva speditissima. Sarà ancora Motorola a dettare il passo con un altro costoso status symbol: lo StarTac. Lanciato nel gennaio del 1996, era il primo flip phone della storia, una rivoluzione nel design e nell’ingegnerizzazione del telefono cellulare senza precedenti. Lo StarTac era il successore del MicroTAC, modello a design semi-flip del 1989.
Fu uno dei cellulari di maggior successo della sua epoca: ne furono venduti 60 milioni di esemplari.

14. Nokia 8110, 1996 Mentre Motorola sfornava i suoi telefoni rivoluzionari, i finlandesi di Nokia certo non stavano a guardare. L’azienda nel 1996 presentò il modello 8110, che per la sua forma viene ricordato da molti come il Bananaphone. Anche in questo caso, come già per Wall Street e il Dynatac, il cinema contribuirà a rendere questo modello ancora più iconico: l’8110 è infatti il cellulare su cui Morpheus chiama Neo in una famosa scena del film Matrix. Poco più tardi il telefono volerà giù da un grattacielo in un’inquadratura perfetta da far impallidire i più spudorati product placement di Netflix. Nokia lo ha riproposto nel 2018 in una versione modernizzata, 4G e colorata.

15. B&O BeoCom 6000, 1999 Alla fine degli anni 90, mentre il cellulare stava già rivoluzionando il nostro modo di comunicare, le linee telefoniche di casa erano ancora vive e vegete e così i design dei telefoni da mettere in salotto. La vera novità, l’oggetto a cui aspirare era però il cordless, che in fondo non era altro che un cellulare da casa. Uno dei più interessanti del periodo è senz’altro il BeoCom 6000 di Bang & Olufsen, il primo ad implementare in maniera completa il DECT, lo standard di comunicazione senza fili domestica usato dai cordless ancora oggi.
Il design, apprezzato da molti, è oggi un po’ âgée: risente delle linee e dello stile della fine degli anni 90. Lo si poteva certamente accostare bene a un Twentieth Anniversary Macintosh, uno dei pochi design di Jony Ive che non verrà ricordato per aver fatto la storia.  

16. Nokia 3310, 2000 Con il nuovo millennio alle porte e nonostante il crash delle dot com, lo sviluppo di nuovi prodotti nel settore della telefonia mobile subisce un’accelerazione senza precedenti. L’anno chiave è il 2000, in cui viene presentato il Nokia 3310. Di cellulari iconici ce ne sono sicuramente molti, ma tra tutti il 3310 è certamente l’emblema della democratizzazione della telefonia mobile. Dotato di un’ottima qualità costruttiva nonostante il prezzo relativamente contenuto, il Nokia 3310 era considerato un telefono indistruttibile. Spesso cadendo si scomponeva in tre pezzi: il telefono da una parte, la cover posteriore e la batteria da un’altra. Bastava ricomporre il puzzle e il telefono si accendeva come nulla fosse successo.

17. RIM 957, il primo Blackberry, 2000 Sempre al 2000 risale anche il lancio del primo Blackberry, che allora portava ancora il nome dell’azienda canadese che lo aveva inventato e commercializzato. Il Blackberry diventerà un successo planetario e aprirà l’epoca dei palmari, i primi cellulari che aspiravano a metterci in tasca un vero strumento di comunicazione con funzioni da computer, prima tra tutte la possibilità di utilizzarli come terminali per le email. È anche il primo smartphone associato in maniera netta al concetto di dipendenza dagli strumenti di comunicazione: in America nel corso degli anni zero gli fu affibbiato il nomignolo di CrackBerry. Il riferimento era ovviamente alla droga di strada, il crack, perché la possibilità di gestione delle comunicazioni di lavoro da ogni luogo incentivava la naturale tendenza del workaholic americano a sbarazzarsi una volta per tutte del work-life balance. I Blackberry verranno spazzati via dall’iPhone e dagli smartphone, perché RIM sbagliò completamente la propria strategia, continuando a spingere sulle tastiere fisiche.

18. Nokia 9210 Communicator, 2000 Ancora nel 2000, Nokia lancia la sua versione del palmare, con un’altro design tanto improbabile quanto iconico che incarnava perfettamente lo spirito innovativo delle invenzioni dei finlandesi. Era il modello 9210 Communicator: quando era chiuso sembrava un normale telefono, ma bastava girarlo di 90° e aprirlo come un laptop in miniatura per svelare una tastiera e uno schermo che permettevano di controllare e inviare email in tutta comodità.
Anche in questo caso il product placement cinematografico giocherà un ruolo fondamentale: il 9110 è infatti il telefono speciale di James Bond (Pierce Brosnan) in “Il domani non muore mai”.

19. Motorola Razr, 2004 L’ultimo vero “cellulare” dal design iconico prima della rivoluzione degli smartphone è il Motorola Razr, lanciato dall’azienda americana nel 2004. Sottile e stiloso, a partire da quel nome tagliente, il Razr fu lanciato inizialmente come fashion phone destinato a un pubblico ricco ed elitario (costava tantissimo, circa 500$). Motorola però abbassò il prezzo dei modelli successivi con il risultato che al luglio 2016 l’azienda era già riuscita a venderne più di 50 milioni di esemplari. È tornato nel 2019 in versione smartphone con schermo pieghevole, in un’operazione a metà tra nostalgia e innovazione.

20. iPhone, 2007 La presentazione dell’iPhone nel gennaio del 2007 e il lancio, poi, a giugno dello stesso anno, fanno della prima metà del 2007 uno dei momenti storici più rilevanti nella storia della telefonia. Sull’iPhone, sul suo design, sulla rivoluzione tecnologica, culturale e sociale che ha innescato si potrebbero scrivere interi trattati. Impossibile, insomma, sintetizzare dieci anni di evoluzione della tecnologia degli smartphone in una singola didascalia. Ci limiteremo a ricordare perché quel dispositivo fu rivoluzionario, con le parole di Steve Jobs, durante la presentazione del gennaio 2007.
“Well, today, we’re introducing three revolutionary products. The first one: is a widescreen iPod with touch controls.The second is a revolutionary mobile phone. And the third is a breakthrough Internet communications device. So, three things: a widescreen iPod with touch controls; a revolutionary mobile phone; and a breakthrough Internet communications device. An iPod, a phone, and an Internet communicator. An iPod, a phone … Are you getting it? These are not three separate devices, this is one device, and we are calling it iPhone. Today, Apple is going to reinvent the phone, and here it is.”

21. HTC Dream, 2008 Anche per l’altra parte della barricata, quella dei telefoni Android, ci limiteremo a citare l’HTC Dream, il primo smartphone dotato del sistema operativo di Google. In risposta al lancio dell’iPhone, Google fu veloce a rivedere le specifiche del suo sistema per integrare il supporto al touch screen, ma il primo modello porta ancora i segni dell’era pre-smartphone, con una tastiera fisica e una rotellina di selezione. Fu comunque uno smartphone storicamente rilevante, con un design iconico e antesignano di alcuni elementi di design (come i tasti di controllo) che faranno parte del linguaggio della UX di Android per molti anni ancora. L’HTC Dream è importante soprattutto perché testimonia come, a differenza di altre aziende come RIM e Microsoft, Google capì immediatamente la portata storica dell’iPhone. È per questo che oggi il duopolio iOS-Android domina il settore.

Dall’invenzione a fine Ottocento fino alla rivoluzione smartphone, passando per i telefoni da auto e i cellulari: la storia di un mezzo che ha unito le nostre vite attraverso i modelli indimenticabili. Leggi l’articolo completo.

Le 5 Panda 4x4 elettriche e “sartoriali” di Garage Italia

Pandoro di Garage Italia

10 oggetti in estinzione dalle nostre case

Il telefono fisso Grillo di Marco Zanuso e Richard Sapper del 1965

Superati dall’innovazione tecnologica, o semplicemente dall’evolvere dei nostri modi di abitare, certi oggetti potrebbero ancora però trovarsi nelle nostre case, e vivere una vita ritirata. Leggi l’articolo completo.

2020, l’estate nomade: nuova mitologia del camper-van-furgonato

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Camper-van-furgonato

Foto Fabio Petronilli

Case mobili su quattro ruote, adattate spesso da vecchi veicoli, simbolo di un diverso modo di vivere – e di passare le ferie. Tra paesaggi inviolati e isolamento sociale. In Italia è sempre più difficile. Succede, per esempio, in Sardegna. Le foto.  Leggi l’articolo completo.

Dieci film che parlano di architettura selezionati da Adam Nathaniel Furman

Io sono l’amore, Luca Guadagnino, 2009 L’edificio che accompagna gli interni di questa pellicola, Villa Necchi Campiglio, cattura l’animo e i sentimenti dei personaggi che lo popolano, così come l’atmosfera del loro mondo, con tutti gli eco e le perdite voluttuose che ne fanno parte. Nessun altro film è stato in grado di evocare così perfettamente la decadenza milanese contemporanea, messa in scena così finemente negli spazi progettati da Piero Portaluppi all’inizio degli anni ’30.

Parasite, Bong Joon Ho, 2019 Miglior film agli Oscar 2020, la tragedia che si consuma nell’intrecciarsi delle vite private di due famiglie sud-coreane prende la forma di una tra le più perfette comparazioni tra la finta raffinatezza architettonica e le conseguenze pretenziose e diaboliche del privilegio della società delle classi più abbienti.

La finestra sul cortile, Alfred Hitchcock, 1954 Il capolavoro americano con James Stewart e Grace Kelly è ancora oggi una delle più profonde indagini di brivido e paura, agitazione e mistero sulla prossimità nell’ambiente urbano, dispiegata alla perfezione in una trama squisita del grande regista.

Beetlejuice – Spiritello Porcello, Tim Burton, 1988 Secondo film realizzato dal regista celebre per le sue ambientazioni gotiche e fiabesche, Beetlejuice (ovvero succo di scarafaggio) è una brillante interpretazione del mito della casa stregata, oltre che un fantastico modo per ridimensionare alcune pretenziosità architettoniche e sociali. Il tutto realizzato in una maniera stilistica veramente brillante.

Ocean’s 13, Steven Soderberg, 2007 George Clooney torna per la terza (e ultima) volta nei panni di Danny Ocean per una sofisticata commedia criminale in cui l’architettura parametrica arriva al grande schermo passando per Las Vegas: che sia forse il migliore ed unico luogo destinato ad essa?

Shining, Stanley Kubrick, 1980 Questo film ha reso terrificante stare in qualsiasi hotel di campagna della fine del Diciannovesimo secolo. Tratto dal romanzo di Stephen King, più che una storia del terrore è un thriller fantastico di parapsicologia nel quale Jack Nicholson si è cimentato in una delle sue performance più assolute in uno spazio, quello dell’Overlook Hotel, diventato a dir poco iconico. Chi ha potuto guardare con gli stessi occhi i lunghi corridoi degli hotel dopo aver visto Shining per la prima volta?

High-Rise – La rivolta, Ben Wheatley, 2015 La vita di un giovane medico in un grattacielo londinese a metà degli anni ’70 racconta il sogno utopico del brutalismo, che traduce in una megastruttura il microcosmo della società che lo abita, quasi del tutto isolata dal resto della città. Tuttavia i problemi di una piccola società sono gli stessi di quella allargata che però, compressa, diventano ancora più terribili. Ed è tutta colpa dell’architetto.

Arca russa, Aleksandr Sokurov, 2002 Film fantastico o viaggio nel tempo, questo racconto di Sokurov si svolge in un’unica sequenza ininterrotta “come se fosse un solo respiro”, grazie ad una sola ripresa durata un’ora e mezza. Ma la storia di Arca russa è anche la metafora di un tesoro architettonico nazionale come incarnazione di una stessa nazione e della sua storia: in questo film meravigliosamente sognante, che si sviluppa camminando attraverso le stanze e i corridoi dell’Ermitage, tutta la storia russa è delicatamente ed elegantemente dispiegata davanti agli occhi dello spettatore.

Il disprezzo, Jean-Luc Godard, 1963 Nella cornice di un film imperniato sul rapporto classicità-modernità, non poteva esserci match migliore per la incredibile casa Malaparte che una scorbutica Brigitte Bardot intenta a prendere il sole sul suo tetto, salirne i gradini e guardare fuori dalle sue finestre.

Locke, Steven Knight, 2013 In questo film non si vede mai un edificio, dal momento che il personaggio principale è da solo in macchina tutto il tempo, ma il dramma è incentrato su una vasta gettata di cemento di cui egli è responsabile, alla base di un enorme nuovo edificio. Nello svolgersi della trama seguiamo questo progetto con teso stupore, ascoltando tutti i dettagli tecnici su come un compito così arduo per un costruttore debba essere portato a termine, mentre il protagonista corre per affrontare un terribile dilemma personale.

L’architetto londinese che ha fatto della libertà la sua cifra stilistica, sceglie dieci film con protagonisti gli spazi, tra grandi classici, riferimenti pop e qualche chicca per veri cultori.  Leggi l’articolo completo.

Le luci di San Siro si spengono per sempre?

Roberto Conte, San Siro, Milano, 2020. Foto Roberto Conte

Lo stadio che siamo abituati a chiamare “la Scala del calcio” sembra destinato a scomparire. Roberto Conte lo fotografa un’ultima volta per Domus.  Leggi l’articolo completo.