Architettura parametrica

La diffusione dei software di progettazione digitale è la condizione necessaria, ma non sufficiente, per l’affermazione di una corrente architettonica che vuole materializzare la complessità del mondo contemporaneo.

Zaha Hadid Architects, stazione di Napoli Afragola, Napoli, Italia, 2017. Foto © Marco Introini

Immagine di apertura: Zaha Hadid Architects, stazione di Napoli Afragola, Napoli, Italia, 2017. Foto © Marco Introini. Da Domus 1015, luglio-agosto 2017

All’11. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, nel 2008, Patrick Schumacher (1960) presenta il Parametricism Manifesto, che descrive la progettazione parametrica come l’avanguardia “egemonica” del primo decennio del XXI secolo. Per Schumacher, il Parametricismo è uno stile e “un programma di ricerca, basato su di un paradigma parametrico”.

La nozione di parametro, però, fa il suo ingresso nel mondo dell’architettura (nel campo della teoria e in quello della progettazione) molti decenni prima. Si basano su valutazioni parametriche tanto i modelli di corda utilizzati a fine Ottocento da Antoni Gaudí (1852-1926) per i calcoli strutturali della cripta della Colonia Güell (1898-1914), quanto alcune proposte sperimentali, non realizzate, di Luigi Moretti (1906-1973), per il quale il riferimento alla logica matematica è il fondamento di un’architettura al passo con la modernità. Progetti di grande audacia ed espressività strutturale, poi, come quelli di Félix Candela (1910-1997), Pier Luigi Nervi (1891-1979) e Frei Otto (1925-2015), sono spesso descritti come parametrici in riferimento soprattutto alla centralità dei calcoli ingegneristici nella loro concezione. 

Negli ultimi decenni del Novecento, la diffusione del disegno e della modellazione digitale è all’origine di una stagione particolarmente ricca di sperimentazioni parametriche. Schumacher, però, sottolinea che i software sono unicamente strumenti, che non conducono automaticamente chi li utilizza nell’ambito del Parametricismo: “In sé stessi, gli strumenti della progettazione digitale non sono sufficienti a spiegare la transizione dal Modernismo al Parametricismo. Lo dimostra il fatto che molti architetti tardo-modernisti utilizzano correntemente strumenti parametrici, ma in modi tali da conservare l’estetica modernista, (…) ad esempio usando la modellazione parametrica per assorbire e celare la complessità”. Al contrario, secondo Schumacher l’architettura parametrica del terzo millennio deve farsi carico di supportare, organizzare e mostrare l’estremo e “liquido” (à la Zygmunt Bauman) dinamismo della contemporaneità.

Dal 1988, Schumacher collabora con lo studio Zaha Hadid Architects, di cui è direttore dal 2016. Proprio Zaha Hadid (1950-2016), architetta e designer irachena, naturalizzata britannica, è universalmente considerata come la più originale e prolifica interprete dell’architettura parametrica. Fortemente influenzata dalle avanguardie novecentesche, dall’Astrattismo al Suprematismo, Hadid è inquadrata nella corrente decostruttivista dalla grande mostra organizzata nel 1988 al MoMA di New York (Deconstructivist Architecture, a cura di Philip Johnson e Mark Wigley). Nei suoi tre decenni di carriera esplora le potenzialità di un’architettura che rinuncia alla composizione trilitica e statica degli elementi (solette, muri, pilastri, aperture), così come alle tradizionali sequenze di spazi concatenati. Nei suoi progetti, come la Vitra Fire Station di Weil am Rhein (1990-1994), la stazione d’interscambio modale di Hoenheim-Nord a Strasburgo (1999-2001), il Museo MAXXI di Roma (2010) e l’Acquatics Center di Londra (2007-2012), vuoti fluidi s’insinuano all’interno ed attorno ai volumi architettonici, che assumono configurazioni talvolta geometrizzate, e in altre occasioni più propriamente organiche.

Peter Eisenman, Ciudad de la cultura, Santiago de Compostela, Spagna, 1999-in corso. Foto © Iñigo Bujedo Aguirre
Peter Eisenman, Ciudad de la cultura, Santiago de Compostela, Spagna, 1999-in corso. Foto © Iñigo Bujedo Aguirre

Dagli anni ’80 ad oggi, molti “decostruttivisti” sono stati associati all’architettura parametrica, e hanno anticipato più o meno fedelmente con le loro realizzazioni le tesi del manifesto di Schumacher: Coop Himmeb(l)au, Peter Eisenman (1932), ad esempio con il progetto per la Ciudad de la cultura a Santiago de Compostela (1999-in corso), Frank Gehry (1929), ad esempio con il progetto per il Guggenheim Museum di Bilbao (1991-1997), e Daniel Libeskind. Ricerche come quelle di Diller & Scofidio + Renfro, Future Systems e Morphosis, tra tante altre, possono essere avvicinate allo stesso filone, non tanto per una comunanza stilistica, ma perché ambiscono a mettere sistematicamente in crisi, attraverso il digitale, i principi concettuali, spaziali e formali che furono propri della modernità architettonica.

Molti di loro lavorano a cavallo tra architettura, progettazione urbana e design, nella convinzione della validità dell’approccio parametrico a tutte le scale della progettazione. Per Schumacher, è possibile “applicare il paradigma del design parametrico senza limitazioni, penetrando in tutti gli angoli della disciplina. Una variazione sistematica, adattiva, una differenziazione continua (anziché una banale varietà), e una figurazione dinamica, parametrica, può riguardare tutti gli incarichi di progetto, dall’urbanistica fino al livello del dettaglio tettonico, dell’arredamento e del mondo del prodotto”.

Nelle parole di Patrick Schumacher:

Il Parametricismo è il nuovo grande stile dopo il Modernismo. Il Postmodernismo e il Decostruttivismo sono stati episodi transitori che hanno condotto a questa nuova, lunga ondata di ricerca e innovazione
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