Le vacanze di Natale sono il momento ideale per recuperare quello che il resto dell’anno lascia indietro: mostre attesissime, retrospettive imperdibili ed esposizioni internazionali che chiuderanno proprio nelle prime settimane di gennaio, per le quali vale la pena prendere un aereo. Mentre i musei e le istituzioni di tutto il mondo si preparano ad annunciare i progetti per il 2026, il finale di stagione si preannuncia densissimo, e si può approfittare di queste settimane per mettere le ultime spunte sulla lista di mostre da vedere compilata all’inizio dell’anno passato.
10 mostre bellissime che stanno per chiudere
Da Milano a New York, passando per le capitali europee, fino ad arrivare a Shanghai: le vacanze di Natale saranno l'ultima occasione per vedere alcune delle mostre migliori degli ultimi tempi.
Leonora Carrington Palazzo Reale, veduta della mostra. Foto Vincenzo Bruno
Beato Angelico, exhibition view, Palazzo Strozzi e Museo di San Marco, Firenze, 2025. Foto: Ela Bialkowska, OKNO Studio
Installation view, foto Roberto Marossi, Marco De Scalzi. Courtesy Fondazione Nicola Trussardi, Milano
Installation View Foto: Camilla Stephan. Courtesy Louisiana Museum of Modern Art
Lutz Bacher, Foto Christian Oen, Courtesy Astrup Fearnley Museet
Tyler Mitchell, Untitled (Red Steps), 2016 © Tyler Mitchell. Courtesy l'artista e Gagosian
Dirty Looks, Installation view, Barbican Art Gallery © David Parry / Barbican Art Gallery
By ETH-Bibliothek Zürich, Bildarchiv / Foto: Gerber, Hans, via Wikimedia Commons
Alison Saar, Reverie, 2025. Acquerello e grafite su carta, 40,6×50,8 cm. © Alison Saar. Courtesy Studio Museum in Harlem. Foto: John Berens
The Sleeping Gypsy (La zingara addormentata), 1897. Museo d'Arte Moderna, New York. Donazione del sig. Simon Guggenheim; 1939, Immagine © The Museum of Modern Art / Licenza concessa da Scala / Art Resource, New York
James Barnor “Drum” Cover Girl Erlin Ibreck, Kilburn, Londra, 1966, stampato nel 2023 National Gallery of Art, Alfred H. Moses e Fern M. Schad Fund, 2025.26.3 © James Barnor / Courtesy Galerie Clementine de la Feronnière
Louise Bourgeois, The Destruction of the Father, 1947-2017, foto Ron Amstutz © The Easton Foundation Licensed by SACK Korea - 복사본
Centre Pompidou × West Bund Museum Project, Fluxus, by Chance, exhibition view, West Bund Museum, Foto: Alessandro Wang
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- Carla Tozzi
- 07 dicembre 2025
In Italia sono in corso due mostre che rappresentano un unicum: da un lato l’universo visionario di Leonora Carrington a Palazzo Reale a Milano, dall’altro l’incanto rinascimentale del Beato Angelico tra Palazzo Strozzi e il Museo di San Marco a Firenze.
Fuori dall’Italia merita una menzione speciale Minimal alla Bourse de Commerce della Pinault Collection, che resterà aperta fino 19 gennaio 2026: oltre cento opere fondamentali che ripercorrono la straordinaria varietà del movimento sin dagli anni Sessanta, quando un’intera generazione di artisti diede avvio a un nuovo approccio radicale all’arte.
A Basilea, la retrospettiva Yayoi Kusama alla Fondation Beyeler porta in Europa opere mai esposte nel vecchio continente – sculture, dipinti, installazioni e la nuova Infinity Mirror Room pensata per l’occasione, in grado di trasportare lo spettatore nel caleidoscopio del suo immaginario. E poi, se non siete riusciti a vederle durante i mesi estivi, al MACBA di Barcellona la mostra di Coco Fusco I Learned to Swim on Dry Land è in corso fino all’11 gennaio, e al Guggenheim Museum di New York, la retrospettiva Rashid Johnson: A Poem for Deep Thinkers chiuderà la settimana successiva.
Ma non è finita qui: nelle maggiori città d’Europa la proposta è davvero ampia, tra progetti espositivi dedicati alla moda, con Dirty Looks al Barbican Centre di Londra, e all’architettura con la mostra dedicata ad Alvar Aalto a Porto, passando per le fotografie di Tyler Mitchell a Parigi, fino ad arrivare alle opere del Centre Pompidou esposte a Shanghai per la mostra dedicata a Fluxus.
Quali che siano i vostri programmi per la fine dell’anno, Domus ha selezionato una lista di mostre da vedere prima che chiudano, e che vale la pena segnare nelle ultime pagine dell’agenda.
Considerata da Salvador Dalí "la più importante artista surrealista donna", Leonora Carrington è stata una delle autrici più originali del Novecento. Pittrice, scrittrice, drammaturga, nonché pioniera del pensiero femminista ed ecofemminista: la prima retrospettiva italiana nelle sale di Palazzo Reale a Milano celebra la sua vita e la sua arte. Oltre sessanta opere ripercorrono il viaggio di Carrington tra Europa, Stati Uniti e Messico, rivelando un immaginario dove scienza e misticismo convivono, e dal quale riaffiorano le ferite della guerra, gli amori tormentati e le fragilità psichiche, mentre è messo in luce anche il suo profondo legame con l’Italia. Le opere, provenienti da importanti istituzioni internazionali, giungeranno al Musée du Luxembourg nel 2026.
Tra le meraviglie di Firenze, ce n’è una che non sempre è presente negli itinerari di visita della città, ed è un vero peccato: il Museo di San Marco. Qui si trova la più grande collezione al mondo di opere del Beato Angelico, tra i massimi pittori del primo Rinascimento, che lavorò nel convento tra il 1438 e il 1445. Fondazione Palazzo Strozzi, in collaborazione con il Museo di San Marco, celebra Beato Angelico con una grande mostra, frutto di oltre quattro anni di lavoro, che indaga produzione, stile e influenze dell’artista, in dialogo con altri maestri dell’arte italiana come Masaccio, Lippi, Ghiberti e Michelozzo. Tra le due sedi sono esposte oltre centoquaranta opere provenienti da musei internazionali, e tra queste anche la straordinaria ricostruzione della Pala di San Marco, con diciassette delle diciotto parti note riunite per la prima volta dopo oltre tre secoli.
Che cosa accade quando l’arte tenta di dare forma all’invisibile? Il nuovo progetto della Fondazione Nicola Trussardi, che ha scelto come sede espositiva le sale di Palazzo Morando, nasce proprio dalla figura enigmatica della Contessa Lydia Caprara Morando Attendolo Bolognini e dalla sua biblioteca incentrata su spiritismo e alchimia. Curata da Massimiliano Gioni, Daniel Birnbaum e Marta Papini, la mostra esplora pratiche artistiche legate a trance, medianità e automazione psichica, incentrate su temi come mitologia, misticismo e ricerca interiore. Attorno a un raro nucleo di sedici lavori della pittrice svedese Hilma af Klint, ruota un concerto di opere di intellettuali, artiste e artisti storici e contemporanei, tra i quali Georgiana Houghton, Emma Kunz, Judy Chicago, Diego Marcon e Chiara Fumai
Nel 2007 Google avviò una flotta di auto dotate di videocamere, GPS e scanner per mappare ogni strada del mondo. Da allora sono state raccolte oltre duecento miliardi di immagini, percorrendo più di dieci milioni di miglia in cento paesi: è da qui che nasce il progetto Nine Eyes di Jon Rafman, che arriva per la prima volta in un museo con Report a concern – The Nine Eyes Archives. Dal 2008 Rafman ha continuato ad archiviare e interpretare queste fotografie accidentali di momenti bizzarri, poetici o inquietanti, rivelando come la sorveglianza digitale possa trasformare la nostra percezione del reale. In mostra sono presenti scatti di Street View di grande formato, un archivio di più di trecento immagini, uno slideshow e il film You, the World, and I, insieme a nuovi lavori animati con l’AI.
La mostra Lutz Bacher: Burning the Days offre una panoramica ampia e radicale su cinque decenni di ricerca dell’artista, caratterizzati da ironia, riferimenti pop e indagini taglienti su sessualità, violenza, paranoia politica e metafisica. Attiva tra Berkeley e New York, Bacher adottò presto un nome maschile per sfidare l’idea di identità e autorialità. Dagli anni Settanta lavorò con fotografie proprie e trovate, manipolandole, combinandole e trasformando dettagli casuali in rivelazioni, per poi espandere la pratica a sculture, video e installazioni. La mostra, visitabile fino al 4 gennaio, racconta simboli della storia americana ponendoli in dialogo con interrogativi intimi sull’essere artista. Il titolo, tratto dal suo libro incompiuto, evoca un’opera aperta e non finita, costruita per affinità più che per cronologia.
Dopo le tappe di Berlino, Helsinki e Losanna, la MEP di Parigi presenta Wish This Was Real, prima personale in Francia di Tyler Mitchell, figura di punta della nuova fotografia. La mostra attraversa dieci anni di lavoro, tra foto, video e sculture, esplorando i temi più vicini alla poetica dell’artista, l’autodeterminazione e la bellezza delle cose di tutti i giorni. Mitchell nelle sue immagini mescola passato e futuro, con un dinamismo tra utopia, bellezza e paesaggi simbolici, mostrando tutta l’influenza che la “New Black Vanguard” ha avuto sulla sua produzione. Tre le sezioni della mostra: Lives/Liberties, Postcolonial/Pastoral, e Family/Fraternity.
Lontano dall’immaginario patinato della moda, Dirty Looks. Desire and Decay in Fashion esplora come l’estetica del “dirty” abbia ridefinito l’ultimo mezzo secolo di creatività. E come iniziare il discorso se non con gli iconici stivali di Kate Moss e di Queen Elizabeth II, due versioni di un desiderio profondo di tornare a riconnettersi con la terra, o con il fango. Attraverso oltre centoventi opere di oltre di sessanta designer – da Margiela a Rick Owens, passando per Carol Christian Poell e Junya Watanabe – prende forma una vera poetica del “dirty look”, in cui usura, macchie, detriti e decomposizione diventano linguaggi lirici, politici e critici.
In occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Alvar Aalto, la mostra monografica al Serralves Museum di Porto ripercorre l’opera che l’architetto sviluppò insieme alle sue due mogli – prima Aino Maria Aalto, e poi Elissa Aalto – sottolineando come abbiano rivoluzionato il volto umanista del Modernismo, ancorandolo a natura, contesto, materiali e benessere. Dalle icone di Artek ai capolavori architettonici, come la Biblioteca di Viipuri, Villa Mairea, la Baker House,il Kunsten Museum, e la chiesa di Riola, il percorso racconta l’importanza degli Aalto anche nella definizione dell’identità della giovane Finlandia tra le due guerre, ispirati dai viaggi e dal contatto con un ambiente internazionale.
Lo Studio Museum in Harlem ha riaperto da poco i battenti, e con From the Studio: Fifty-Eight Years of Artists in Residence vuole celebrare il successo e l’impatto duraturo del proprio programma di residenze. Con opere appositamente commissionate, lavori dalla collezione e prestiti da amici e familiari, la mostra rende omaggio a oltre cinquant’anni di attività di una piattaforma che ha sostenuto più di centocinquanta artisti di discendenza africana e afro-latina. Ideata nel 1968 e avviata nel 1969, la residenza – pensata da William T. Williams come una comunità intima di scambio – nel corso dei decenni e fino ad oggi, ha favorito un clima di sperimentazione e dialogo con il quartiere di Harlem.
La Barnes Foundation dedica a Henri Rousseau una mostra senza precedenti che riunisce per la prima volta nella storia, le due maggiori collezioni dell’artista: quella del Barnes, la più ampia al mondo, e quella del Musée de l’Orangerie. Con quasi sessanta opere, sono presentati accostamenti mai visti – tra cui The Sleeping Gypsy, Unpleasant Surprise e The Snake Charmer – anche grazie a prestiti eccezionali da musei internazionali. Inoltre, nuove scoperte tecnico-conservative sono al centro del progetto espositivo: dipinti sottostanti, composizioni rielaborate, datazioni riviste e la ricostruzione del contesto di alcune opere concepite per un concorso pubblico. Curata da Christopher Green e Nancy Ireson, A Painter’s Secrets invita a superare il mito di Herni Rousseau come pittore “naïf” per rivelare un artista consapevole, attento al mercato, e capace di creare soggetti che rispondessero ai gusti del pubblico moderno.
Alla National Gallery of Art di Washington D.C. una grande mostra racconta il ruolo decisivo della fotografia nel Black Arts Movement (1955–1985), mostrando come artisti afroamericani e della diaspora abbiano dato vita a una nuova Black aesthetic nel clima delle lotte per i diritti civili. Circa centocinquanta le opere presenti tra fotografie, video, collage e installazioni, di oltre cento autori, tra cui Roy DeCarava, Dawoud Bey, Gordon Parks e Carrie Mae Weems, insieme a contributi dall’Africa, dai Caraibi e dal Regno Unito. Suddivisa in nove sezioni, il progetto espositivo esplora temi come autorappresentazione, comunità, moda, media e ritualità, mettendo in luce immagini che hanno alimentato orgoglio, attivismo e nuove narrazioni della vita nera, dai collage di Romare Bearden alle fotografie di protesta, fino ai lavori di Ulysses Jenkins e Lorna Simpson.
La più ampia retrospettiva dedicata a Louise Bourgeois mai realizzata in Corea si può visitare fino al 4 gennaio all’Hoam Museum of Art di Yongin, con oltre cento opere che attraversano tutta la sua carriera. Dai Personages degli anni Quaranta, alle Cells degli anni Novanta, fino ai lavori tessili e alle gouaches dell’ultimo periodo, il percorso espositivo mette a nudo il cuore emotivo della pratica di Bourgeois. Il titolo, tratto dai suoi scritti, richiama le tensioni tra opposti (madre/padre, conscio/inconscio, maschile/femminile) che alimentano le sue forme ricorrenti. In mostra capolavori come The Destruction of the Father, Jenus Fleuri, Red Room (Parents) e Cell (Black Days), esposti in un allestimento su due piani che separa razionalità e ordine al piano inferiore, da emozione e inconscio al piano superiore.
La mostra Fluxus, by Chance, al West Bund Museum di Shanghai, offre una lettura dinamica e radicale di uno dei movimenti più sovversivi del XX secolo. Fluxus nacque alla fine degli anni Cinquanta dall’incontro di figure che non si consideravano inizialmente artisti: George Brecht era chimico, Robert Filliou economista, La Monte Young musicista, Emmett Williams antropologo, George Maciunas grafico daltonico. Proprio questa eterogeneità generò un terreno fertile per una pratica collettiva, cosmopolita e partecipativa che voleva dissolvere le gerarchie tra artista e pubblico attraverso azioni, giochi, festival, edizioni e riviste. L’esposizione ricostruisce le radici dadaiste del movimento e ne mostra le eredità contemporanee con artisti come Jonathan Monk e Claude Closky.