“Può sedersi su quel sacco”: 21 arredi che hanno cambiato le regole del gioco

Fari d’auto che diventano lampade, guanti che diventano poltrone e altri oggetti che hanno messo in discussione lo status quo del design domestico. 

De Pas, D’Urbino, Lomazzi, Joe, Poltronova, 1970

I designer ricorrono al salto di scala per trasporre nell’arredo un oggetto simbolo di un’epoca e di un mondo, il guanto da baseball di Joe Di Maggio. Ne nasce per Poltronova, già produttore dei designer radicali di Archizoom e Superstudio, una poltrona in poliuretano a telaio metallico rivestita di pelle che è già di per sé un’opera di Pop Art, affine ai lavori contemporanei e successivi di Claes Oldenburg.

Giorgio Ceretti, Pietro Derossi, Riccardo Rosso, Pratone, Gufram, 1971

Ceretti, De Rossi e Rosso, nel pieno della stagione che collega la pop art ai radicalismi italiani, ripensano l’atto stesso del sedersi, del rilassarsi, aggiungendo alla collezione dei multipli di Gufram una porzione di prato, componibile a piacere con altre identiche, tra i cui elastici fili d'erba in poliuretano espanso alti quasi un metro ci si può abbandonare con comodità.

Piero Gatti, Cesare Paolini, Franco Teodoro, Sacco, Zanotta, 1962

L'oggetto figlio della contestazione che per eccellenza discute le caratteristiche fino ad allora fondanti della sua tipologia, questa poltrona inizialmente concepita come un sacco in spicchi di vinile riempito di polistirene in pallini, è anche per eccellenza oggetto senza forma: il suo concept infatti, oltre a essere ispirato da un idea di maggiore informalità dello spazio abitato, è quello di una poltrona anatomica che prende la forma della persona, che lo usa come preferisce. Esposta al MoMA di New York nella celebre mostra Italy: the new domestic landscape: del 1972, è parte delle collezioni permanenti del MoMA stesso, del Musée des Arts Décoratifs di Parigi, del Victoria&Albert di Londra, e del Triennale Design Museum.

Marcel Breuer, Wassily, 1926, Gavina (oggi Knoll)

Una poltrona di tubi d'acciaio, striscia di tessuto, e nient'altro: la prima messa in discussione degli assunti sull'arredo fondata su ricerca di produzione la si ha con questo progetto che nel 1926 esce col codice B3 dai laboratori di arredamento del Bauhaus di Dessau, all'epoca diretti da Marcel Breuer. I tubi del prototipo li lavora la Mannesmann, i primi esemplari li produce la Standard a Berlino; ma è nel 1962 che Dino Gavina la rilancia a grande scala sul mercato, realizzando le fasce in cuoio. La produzione continua fino a oggi con Knoll, dopo l'acquisto di Gavina nel 1968.

Fernando & Humberto Campana, Favela, Edra, 2003

Favela è una poltrona che ha forma, ma non ha struttura: questa è costituita da un assemblaggio di listelli di pino (o teak per gli esterni) inchiodati o incollati, tutti diversi tra loro, che creano oggetti unici, tutti diversi tra loro. La metodologia è quella con cui vengono costruite le case negli insediamenti informali in Brasile, e vuole richiamare l’attenzione sull’importanza di diverse tecnologie produttive per il design. (immagine via edra.com)

Ettore Sottsass, Valigia, Stilnovo, 1977

Più che una trasposizione, è direttamente la sovrapposizione semantica di due oggetti (lampada e valigia) a creare questa lampada da tavolo o da terra, che nella sua ironia prelude agli anni di Memphis, mentre consente a chi la usa di trasportare ovunque voglia una piccola isola di luce e una piccola architettura voltata, “facendo casa in ogni luogo” come spesso accade quando si viaggia.

Cini Boeri, Modello 602, Arteluce, 1968

Tubi industriali in PVC rigido: la riflessione di Cini Boeri traspone un prodotto d'uso tecnico nell'ambiente domestico, e ne sfrutta le funzionalità per fargli dare il massimo nel suo nuovo habitat; 602 è infatti una lampada da tavolo orientabile, che è al contempo un lavoro sulla forma nel Moderno e sull’objet trouvé.

Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Toio, Flos, 1962

Una sfida al salotto borghese a suon di objets trouvés: un vero faro da automobile, il passante di una canna da pesca per i fili, una sega a telaio, messe a sistema da uno stelo in acciaio cromato a sezione esagonale. Tutto è in vista, la composizione fa discorso a sé, è sufficiente per creare l'ambiente con la sua forma e la sua diffusione indiretta della luce; più precisamente, per crearlo ovunque, grazie alla sua estrema facilità di spostamento. 

Franco Bettonica, Mario Melocchi, Cuboluce, Cini&Nils, 1972

Col nome di Studio Opi, i due designer rivoluzionano una tipologia ripensando nelle componenti attraverso il filtro metaforico della "scatola di luce". Che da metafora passa a  realtà materiale: una scatola cubica in ABS, materiale di larga applicazione all'epoca — l'intera carrozzeria della Citroën Méhari ad esempio — i cui  interni riflettenti contengono una lampadina che si accende all'apertura del coperchio. In quasi 50 anni di vita ha avuto diverse declinazioni di finitura, e oggi è disponibile con sistemi a led, senza perdere il valore iconico della sua forma che l'ha anche resa parte della collezione permanente del MoMA. (immagine via cinienils.com)

Ingo Maurer, Porca Miseria!, 1994

Porca Miseria! è la letterale materializzazione di un moto di fastidio, di ribellione, che Maurer diceva di aver provato visitando un Salone del Mobile troppo pieno di patinata perfezione. Un'esplosione di piatti rotti, come in un domestico Zabriskie Point, prende allora la scena, e trova il suo nome definitivo nelle esclamazioni che solleva alla sua prima esposizione a Milano. Ognuna di queste composizioni è un pezzo unico realizzato manualmente, e dal 2006 Maurer ne realizzava anche con figure cinesi in porcellana. (immagine via ingo-maurer.com)

Ingo Maurer, Campari Light, 2002

Come già Fortunato Depero nel 1932 aveva intuito ed esplorato la proprietà plastiche e cromatica dell'interazione tra il rosso vivo del Campari e la forma di una bottiglia, con Campari Light si è andati anche oltre: il gioco è quello della ripetizione e combinazione, e il Campari si fa pura luce, creando una lampada a sospensione enormemente popolare il cui principio di per sé semplice è stato molto ripreso negli anni. (immagine Omar Ruzza - opera propria, cc by-sa 4.0)

Ettore Sottsass, Carlton, Memphis, 1981

Da subito assurta al ruolo di icona del mondo Memphis, storica realtà trasversale a tutto (anche alle identità, a partire dalla sua natura di collettivo e di azienda), questa opera di arredo richiede il centro dello spazio come poche altre librerie avevano saputo fare, ironizzando intanto sui materiali pregiati e i riferimenti antichi e novecenteschi, riproducendone le forme e i pattern nei suoi laminati. Il cortocircuito tra oggetto d'arredo e architettura, monumento, è ancora una volta estremamente potente. 

Stefano Giovannoni, Merdolino, Alessi, 1994

Assolvere alla funzione più convenzionalmente indecorosa del design con il simbolo stesso del decoro borghese: ecco un'elegante pianta ornamentale in resina termoplastica farsi scopino per il water, e viceversa. Come altre creazioni di Giovannoni, Merdolino genera al suo lancio grande scalpore, per poi dimostrarsi rapidamente un instant classic di grande successo. (immagine via alessi.com)

Gaetano Pesce, Vaso Amazonia e produzione Fish Design, dal 1994

Bisogna sempre ricordare di non appoggiarsi ad un vaso di Pesce, e non scagliarlo nella speranza di drammatiche frantumazioni. In pieno spirito di contrasto col design del suo tempo, Pesce crea un azienda che lavora la plastica secondo tecnologie note e poco specializzate, affidando all'operaiə (la produzione avviene in Messico) la gestione della colata in stampo di una resina morbida ed elastica, negazione della complicazione tecnologica del design e della staticità dell’oggetto decorativo. Ogni singolo prodotto e quindi unico, e tattilmente ogni volta è una sorpre(immagine da Domus 776, novembre 1995)

Enzo Mari, Putrella, Danese, 1958

Una trave metallica a doppio T, con le estremità leggermente inflesse verso l'alto, è in realtà un vassoio centrotavola che ci racconta anche un'attenzione di Mari per le etiche/estetiche industriali del primo movimento moderno. Ne ha detto Deyan Sudjic: “...decisamente lontano dagli arredi fai-da-te di Autoprogettazione. Nonostante il suo radicalismo, Enzo Mari sapeva come realizzare oggetti in grado di offrire qualcosa fuori dell’ordinario.”

Gae Aulenti, Tavolino con ruote, FontanaArte, 1980

È un esempio di design per intuizione, subito prototipato senza passare per il disegno:  Aulenti vedere i carrelli industriali usati per il trasporto di oggetti in vetro, e sperimenta l'applicazione di rotelle industriali a movimento libero ad una lastra di vetro molato. Un altro instant classic che crea l'incontro di mondi solo apparentemente separati. (immagine via fontanaarte.com)

Méret Oppenheim, Traccia (Table aux pieds d’oiseau), 1939 (oggi Cassina)

Oggi lo si acquista come oggetto domestico, ma il tavolino con zampe d'uccello è un opera surrealista con cui Oppenheim partecipa nel 1939 alla mostra Exhibition of Fantastic Furniture presso la galleria parigina di René Drouin e Leo Castelli. L'arredo classico, il tavolino del salotto, i piedini dei cassettoni in foggia da zampa animalesca: tutto è sbeffeggiato e trasfigurato in una fusione di bronzo lucidato che si regge su flessuose gambe d'uccello, (uccello le cui tracce sono impresse sul piano), unendosi alla squadra di coevi lavori di Marcel Duchamp e Man Ray. (immagine pubblicitaria da Domus 920, dicembre 2018)

Philippe Starck, Juicy Salif, Alessi, 1990

Nel 1988 Starck concepisce quello che in capo a due anni diventerà per antonomasia non solo Lo spremiagrumi, ma L’Oggetto di design, cliché delle cucine da film e da fotografia, immediato successo commerciale ancora in corso. Nei fatti, è uno spremiagrumi in fusione di alluminio le cui linee minimali richiamano un ragno, fatto per versare il succo direttamente nel bicchiere, prodotto anche in serie limitate in bronzo, addirittura oro, per i suoi vari anniversari. (immagine via alessi.com)

Aldo Rossi, Conica, Alessi, 1984

Analogia e salto di scala: Rossi aveva parlato di una sua preferenza per la caffettiera come oggetto da disegnare, in ragione della sua lunga presenza nell’arte e soprattutto delle sue analogie con forme architettoniche. Ed ecco che nel 1979, un anno prima del suo Teatro del mondo a Venezia, Alessandro Mendini, nuovo direttore artistico di Officina Alessi, lo invita a partecipare al progetto collettivo Tea and Coffee Piazza. Rossi propone un vassoio/tempietto che contiene, più che oggetti, delle piccole architetture. A Conica , derivata da quel progetto, seguiranno poi Cupola nel 1988, e altre analogie da tavola miniaturizzate. (immagine via alessi.com)

Pier Giacomo Castiglioni, Livio Castiglioni, Luigi Caccia Dominioni, Phonola 547, Fimi-Phonola, 1940

Il risultato dell'incrocio di traiettorie leggendarie, come quella di Caccia Dominioni e dei Castiglioni, non poteva che esprimere un ripensamento dell'oggetto mediatico popolare per eccellenza a partire dalle sue componenti fondamentali. Abbandonando l'estetica del “pezzo di mobilio”, questa radio economica con corpo in bachelite e metallo porta nelle case italiane un oggetto la cui forma inedita per l'epoca è sviluppata a partire dagli apparecchi telefonici, di grande maneggevolezza e uso intuitivo. (immagine museoscienza.org. Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci, Milano, cc by-sa 4.0)

Richard Sapper, Marco Zanuso, Cubo TS522, Brionvega, 1964

La radio diventa ufficialmente un oggetto di design da mostrare nell'ambiente domestico per la sua forma. E questa forma nasce da un ragionamento sistemico di ridisposizione delle componenti tra due cubi in plastica colorata, chiudibili a formare un comodo e trasportabile corpo parallelepipedo rosso-aranciato, una allegoria astratta di ciò che si potrebbe definire L'oggetto di design degli anni ‘60.  È anch’essa parte delle collezioni permanenti di molti musei nel mondo, tra cui il MoMA di New York.

Non è necessario appartenere a una specifica generazione per avere in mente le disavventure di Giandomenico Fracchia, il vessato impiegato che nell'Italia delle lotte sindacali viene obbligato dal sadico capo a trovare e tenere una posizione su una poltrona sacco, dalla quale pietosamente e irrecuperabilmente si ribalta. Chiaro, c’è tutta la ferocia della satira contro gli abusi di potere classisti, che spesso trovano validissimi supporti nella sfera del design, ma non è difficile leggere anche una diffidenza nei confronti di un game changer, di un oggetto solo apparentemente indecifrabile che intanto stava cambiando le regole del gioco nel suo settore, nella sua tipologia.

Un fotogramma con Paolo Villaggio in "Fracchia la belva umana" film del 1981 diretto da Neri Parenti

La storia del design contemporaneo è costellata di oggetti che hanno trasformato la grammatica dello spazio domestico praticando un’operazione tanto apparentemente semplice quanto radicale: l’estrapolazione di forme e componenti dal loro contesto abituale di funzione o senso, e la loro applicazione in contesti totalmente nuovi, spesso estranei. Un design piuttosto outrageous: guanti che diventano poltrone, fari d’automobile che diventano lampade da interni, fino a sostituire altri oggetti nell’antonomasia tipologica, nel ruolo cioè di rappresentanti di intere categorie di oggetti. 

Un’operazione che associamo spesso al postmoderno, la paperella che diviene casa, tanto cara a Robert Venturi, ma che in realtà è, ed è stata, punto di partenza di tantissime cesure, ridefinizioni spesso di intere epoche: dello stesso Moderno in architettura (Le Corbusier e i miti di automobili e silos), della stagione radicale, del pensiero sistemico sul design, del surrealismo prima di tutti questi.  Esploriamo allora una piccola galleria di questi oltraggi riformatori che hanno discusso e a volte cambiato le regole del loro gioco. Nota a parte: chi scrive, nonostante gli oltre due metri di altezza, sulla poltrona sacco siede sempre comodissimo.

De Pas, D’Urbino, Lomazzi, Joe, Poltronova, 1970 I designer ricorrono al salto di scala per trasporre nell’arredo un oggetto simbolo di un’epoca e di un mondo, il guanto da baseball di Joe Di Maggio. Ne nasce per Poltronova, già produttore dei designer radicali di Archizoom e Superstudio, una poltrona in poliuretano a telaio metallico rivestita di pelle che è già di per sé un’opera di Pop Art, affine ai lavori contemporanei e successivi di Claes Oldenburg.

Giorgio Ceretti, Pietro Derossi, Riccardo Rosso, Pratone, Gufram, 1971 Ceretti, De Rossi e Rosso, nel pieno della stagione che collega la pop art ai radicalismi italiani, ripensano l’atto stesso del sedersi, del rilassarsi, aggiungendo alla collezione dei multipli di Gufram una porzione di prato, componibile a piacere con altre identiche, tra i cui elastici fili d'erba in poliuretano espanso alti quasi un metro ci si può abbandonare con comodità.

Piero Gatti, Cesare Paolini, Franco Teodoro, Sacco, Zanotta, 1962 L'oggetto figlio della contestazione che per eccellenza discute le caratteristiche fino ad allora fondanti della sua tipologia, questa poltrona inizialmente concepita come un sacco in spicchi di vinile riempito di polistirene in pallini, è anche per eccellenza oggetto senza forma: il suo concept infatti, oltre a essere ispirato da un idea di maggiore informalità dello spazio abitato, è quello di una poltrona anatomica che prende la forma della persona, che lo usa come preferisce. Esposta al MoMA di New York nella celebre mostra Italy: the new domestic landscape: del 1972, è parte delle collezioni permanenti del MoMA stesso, del Musée des Arts Décoratifs di Parigi, del Victoria&Albert di Londra, e del Triennale Design Museum.

Marcel Breuer, Wassily, 1926, Gavina (oggi Knoll) Una poltrona di tubi d'acciaio, striscia di tessuto, e nient'altro: la prima messa in discussione degli assunti sull'arredo fondata su ricerca di produzione la si ha con questo progetto che nel 1926 esce col codice B3 dai laboratori di arredamento del Bauhaus di Dessau, all'epoca diretti da Marcel Breuer. I tubi del prototipo li lavora la Mannesmann, i primi esemplari li produce la Standard a Berlino; ma è nel 1962 che Dino Gavina la rilancia a grande scala sul mercato, realizzando le fasce in cuoio. La produzione continua fino a oggi con Knoll, dopo l'acquisto di Gavina nel 1968.

Fernando & Humberto Campana, Favela, Edra, 2003 Favela è una poltrona che ha forma, ma non ha struttura: questa è costituita da un assemblaggio di listelli di pino (o teak per gli esterni) inchiodati o incollati, tutti diversi tra loro, che creano oggetti unici, tutti diversi tra loro. La metodologia è quella con cui vengono costruite le case negli insediamenti informali in Brasile, e vuole richiamare l’attenzione sull’importanza di diverse tecnologie produttive per il design. (immagine via edra.com)

Ettore Sottsass, Valigia, Stilnovo, 1977 Più che una trasposizione, è direttamente la sovrapposizione semantica di due oggetti (lampada e valigia) a creare questa lampada da tavolo o da terra, che nella sua ironia prelude agli anni di Memphis, mentre consente a chi la usa di trasportare ovunque voglia una piccola isola di luce e una piccola architettura voltata, “facendo casa in ogni luogo” come spesso accade quando si viaggia.

Cini Boeri, Modello 602, Arteluce, 1968 Tubi industriali in PVC rigido: la riflessione di Cini Boeri traspone un prodotto d'uso tecnico nell'ambiente domestico, e ne sfrutta le funzionalità per fargli dare il massimo nel suo nuovo habitat; 602 è infatti una lampada da tavolo orientabile, che è al contempo un lavoro sulla forma nel Moderno e sull’objet trouvé.

Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Toio, Flos, 1962 Una sfida al salotto borghese a suon di objets trouvés: un vero faro da automobile, il passante di una canna da pesca per i fili, una sega a telaio, messe a sistema da uno stelo in acciaio cromato a sezione esagonale. Tutto è in vista, la composizione fa discorso a sé, è sufficiente per creare l'ambiente con la sua forma e la sua diffusione indiretta della luce; più precisamente, per crearlo ovunque, grazie alla sua estrema facilità di spostamento. 

Franco Bettonica, Mario Melocchi, Cuboluce, Cini&Nils, 1972 Col nome di Studio Opi, i due designer rivoluzionano una tipologia ripensando nelle componenti attraverso il filtro metaforico della "scatola di luce". Che da metafora passa a  realtà materiale: una scatola cubica in ABS, materiale di larga applicazione all'epoca — l'intera carrozzeria della Citroën Méhari ad esempio — i cui  interni riflettenti contengono una lampadina che si accende all'apertura del coperchio. In quasi 50 anni di vita ha avuto diverse declinazioni di finitura, e oggi è disponibile con sistemi a led, senza perdere il valore iconico della sua forma che l'ha anche resa parte della collezione permanente del MoMA. (immagine via cinienils.com)

Ingo Maurer, Porca Miseria!, 1994 Porca Miseria! è la letterale materializzazione di un moto di fastidio, di ribellione, che Maurer diceva di aver provato visitando un Salone del Mobile troppo pieno di patinata perfezione. Un'esplosione di piatti rotti, come in un domestico Zabriskie Point, prende allora la scena, e trova il suo nome definitivo nelle esclamazioni che solleva alla sua prima esposizione a Milano. Ognuna di queste composizioni è un pezzo unico realizzato manualmente, e dal 2006 Maurer ne realizzava anche con figure cinesi in porcellana. (immagine via ingo-maurer.com)

Ingo Maurer, Campari Light, 2002 Come già Fortunato Depero nel 1932 aveva intuito ed esplorato la proprietà plastiche e cromatica dell'interazione tra il rosso vivo del Campari e la forma di una bottiglia, con Campari Light si è andati anche oltre: il gioco è quello della ripetizione e combinazione, e il Campari si fa pura luce, creando una lampada a sospensione enormemente popolare il cui principio di per sé semplice è stato molto ripreso negli anni. (immagine Omar Ruzza - opera propria, cc by-sa 4.0)

Ettore Sottsass, Carlton, Memphis, 1981 Da subito assurta al ruolo di icona del mondo Memphis, storica realtà trasversale a tutto (anche alle identità, a partire dalla sua natura di collettivo e di azienda), questa opera di arredo richiede il centro dello spazio come poche altre librerie avevano saputo fare, ironizzando intanto sui materiali pregiati e i riferimenti antichi e novecenteschi, riproducendone le forme e i pattern nei suoi laminati. Il cortocircuito tra oggetto d'arredo e architettura, monumento, è ancora una volta estremamente potente. 

Stefano Giovannoni, Merdolino, Alessi, 1994 Assolvere alla funzione più convenzionalmente indecorosa del design con il simbolo stesso del decoro borghese: ecco un'elegante pianta ornamentale in resina termoplastica farsi scopino per il water, e viceversa. Come altre creazioni di Giovannoni, Merdolino genera al suo lancio grande scalpore, per poi dimostrarsi rapidamente un instant classic di grande successo. (immagine via alessi.com)

Gaetano Pesce, Vaso Amazonia e produzione Fish Design, dal 1994 Bisogna sempre ricordare di non appoggiarsi ad un vaso di Pesce, e non scagliarlo nella speranza di drammatiche frantumazioni. In pieno spirito di contrasto col design del suo tempo, Pesce crea un azienda che lavora la plastica secondo tecnologie note e poco specializzate, affidando all'operaiə (la produzione avviene in Messico) la gestione della colata in stampo di una resina morbida ed elastica, negazione della complicazione tecnologica del design e della staticità dell’oggetto decorativo. Ogni singolo prodotto e quindi unico, e tattilmente ogni volta è una sorpre(immagine da Domus 776, novembre 1995)

Enzo Mari, Putrella, Danese, 1958 Una trave metallica a doppio T, con le estremità leggermente inflesse verso l'alto, è in realtà un vassoio centrotavola che ci racconta anche un'attenzione di Mari per le etiche/estetiche industriali del primo movimento moderno. Ne ha detto Deyan Sudjic: “...decisamente lontano dagli arredi fai-da-te di Autoprogettazione. Nonostante il suo radicalismo, Enzo Mari sapeva come realizzare oggetti in grado di offrire qualcosa fuori dell’ordinario.”

Gae Aulenti, Tavolino con ruote, FontanaArte, 1980 È un esempio di design per intuizione, subito prototipato senza passare per il disegno:  Aulenti vedere i carrelli industriali usati per il trasporto di oggetti in vetro, e sperimenta l'applicazione di rotelle industriali a movimento libero ad una lastra di vetro molato. Un altro instant classic che crea l'incontro di mondi solo apparentemente separati. (immagine via fontanaarte.com)

Méret Oppenheim, Traccia (Table aux pieds d’oiseau), 1939 (oggi Cassina) Oggi lo si acquista come oggetto domestico, ma il tavolino con zampe d'uccello è un opera surrealista con cui Oppenheim partecipa nel 1939 alla mostra Exhibition of Fantastic Furniture presso la galleria parigina di René Drouin e Leo Castelli. L'arredo classico, il tavolino del salotto, i piedini dei cassettoni in foggia da zampa animalesca: tutto è sbeffeggiato e trasfigurato in una fusione di bronzo lucidato che si regge su flessuose gambe d'uccello, (uccello le cui tracce sono impresse sul piano), unendosi alla squadra di coevi lavori di Marcel Duchamp e Man Ray. (immagine pubblicitaria da Domus 920, dicembre 2018)

Philippe Starck, Juicy Salif, Alessi, 1990 Nel 1988 Starck concepisce quello che in capo a due anni diventerà per antonomasia non solo Lo spremiagrumi, ma L’Oggetto di design, cliché delle cucine da film e da fotografia, immediato successo commerciale ancora in corso. Nei fatti, è uno spremiagrumi in fusione di alluminio le cui linee minimali richiamano un ragno, fatto per versare il succo direttamente nel bicchiere, prodotto anche in serie limitate in bronzo, addirittura oro, per i suoi vari anniversari. (immagine via alessi.com)

Aldo Rossi, Conica, Alessi, 1984 Analogia e salto di scala: Rossi aveva parlato di una sua preferenza per la caffettiera come oggetto da disegnare, in ragione della sua lunga presenza nell’arte e soprattutto delle sue analogie con forme architettoniche. Ed ecco che nel 1979, un anno prima del suo Teatro del mondo a Venezia, Alessandro Mendini, nuovo direttore artistico di Officina Alessi, lo invita a partecipare al progetto collettivo Tea and Coffee Piazza. Rossi propone un vassoio/tempietto che contiene, più che oggetti, delle piccole architetture. A Conica , derivata da quel progetto, seguiranno poi Cupola nel 1988, e altre analogie da tavola miniaturizzate. (immagine via alessi.com)

Pier Giacomo Castiglioni, Livio Castiglioni, Luigi Caccia Dominioni, Phonola 547, Fimi-Phonola, 1940 Il risultato dell'incrocio di traiettorie leggendarie, come quella di Caccia Dominioni e dei Castiglioni, non poteva che esprimere un ripensamento dell'oggetto mediatico popolare per eccellenza a partire dalle sue componenti fondamentali. Abbandonando l'estetica del “pezzo di mobilio”, questa radio economica con corpo in bachelite e metallo porta nelle case italiane un oggetto la cui forma inedita per l'epoca è sviluppata a partire dagli apparecchi telefonici, di grande maneggevolezza e uso intuitivo. (immagine museoscienza.org. Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci, Milano, cc by-sa 4.0)

Richard Sapper, Marco Zanuso, Cubo TS522, Brionvega, 1964 La radio diventa ufficialmente un oggetto di design da mostrare nell'ambiente domestico per la sua forma. E questa forma nasce da un ragionamento sistemico di ridisposizione delle componenti tra due cubi in plastica colorata, chiudibili a formare un comodo e trasportabile corpo parallelepipedo rosso-aranciato, una allegoria astratta di ciò che si potrebbe definire L'oggetto di design degli anni ‘60.  È anch’essa parte delle collezioni permanenti di molti musei nel mondo, tra cui il MoMA di New York.