Geert Goiris ha inaugurato la sua intima e immediata mostra fotografica, in programma durante la settimana di Arte Fiera a Bologna. Circondata dal borgo antico che condensa il centro-città, la Hall di Banca di Bologna, a Palazzo De’ Toschi, custodisce la prima mostra in Italia del fotografo e regista belga. Il suo lavoro è stato presentato a Manifesta 5, San Sebastian e da musei internazionali, quali: Boijmans Van Beuningen Museum, Rotterdam; Wiels Contemporary Art Center, a Bruxel; Palais de Tokyo, a Parigi.
A Bologna, Terraforming fantasies si compone di elementi visivi concreti e spettrali, intuibili a partire dal titolo, preso a prestito dall’unica video installazione all’interno della mostra. Il fenomeno denominato “Terraforming” è un neologismo di recente formazione etimologica, largamente utilizzato nelle visioni a lungo termine sul nostro pianeta. Inferenze che vengono proiettate verso il futuro e che predicono congetture riguardanti la nostra specie, auspicando la possibilità di alterare chimicamente l’atmosfera di altri pianeti per renderli simili alla terra: nuovamente in grado di essere colonizzati e di generare vita umana nel Sistema solare.
Nell’enorme sala al secondo piano di Palazzo De’ Toschi, cinque ambienti esagonali, ad immersione (disegnati dall’architetto Kris Kimpe) si presentano come chioschi oscuri all’interno dei quali è possibile entrare, diventando parte integrante dell’esperienza di un allestimento materiale; un percorso architettonico includente, realizzato con pareti che offrono senso di protezione e strutture lignee, sottolineate dalla video-installazione perimetrale e da una proiezione di diapositive (Prelap, 2018). Queste specifiche ambientazioni richiedono al visitatore di colmare il vuoto tra il proprio corpo e la rappresentazione di altri corpi del paesaggio, plasmati da nuvole, prati, colline, distese, architetture dimenticate e puri campi d’intervento del Caso. Paesaggi che spandono dall’Antartico al Deserto dei Dancali in Etiopia.
La mostra rivela una configurazione narrativa e immaginaria che coinvolge visceralmente e dall’esterno il visitatore. La logica che soggiace a questa presentazione risulta positivamente in contrasto, rispetto ad allestimenti più tradizionali, per una mostra fotografica, nella quale chi guarda rimane separato dal lavoro, posto di fronte ad una storia, raccontata attraverso immagini statiche e in movimento; ed è perfettamente aderente al minuzioso lavoro di un osservatore, Goiris, che stabilisce un dialogo tra i flussi fotografici e le sincopate proiezioni video, in modo da trasformare il legame mentale e visivo in un’esperienza fondata sulla percezione.
Una selezione di quindici stampe fotografiche, in diversi formati, così come la proiezione di video e di diapositive, proposte all’interno di moduli, offre un’interazione fisica che porta il visitatore a diventare profondamente conscio della propria misura e della relativa proporzione di essere umano, di fronte a un mondo senza folla. Questo invito ad una maggiore consapevolezza del Sé, assume varie forme negli interventi di Goiris: una costruzione dello spazio che si manifesta come un ostacolo e occludente in Mirror (2013) e in 12 Minutes of Silence (2003); costretta e incapsulata in Overgrown (2014) e in Zverev (2014), oppure organizzata attorno ad uno specifico percorso narrativo sulla base di una scala ridotta o non proporzionata, che comporta per il visitatore un certo movimento scomodo del guardare, in Blast #3 (2001) e in Albino (2003). La limitazione e la modularità dello spazio, in questa mostra, rappresentano un suggerimento ad assorbire la storia precorritrice dello scatto, non solo attraverso gli occhi, ma passando per i sensi, di modo che l’approccio alla narrazione visiva coinvolga tutti gli aspetti di un corpo umano, che solo in due casi compare come oggetto del fotografare, diventando tracciatore privilegiato di fenomeni sociali, biologici, ambientali, psicologici, mentali e storici.
Poco importa se lo sfondo della fotografia sia situato vicino a casa o ben al di là di ogni altrove, Goiris rende ogni luogo misteriosamente sospeso, come se, realmente, provenisse da un altro pianeta. Questa sensazione viene ottenuta attraverso specifiche scelte stilistiche e tecniche: l’artista utilizza principalmente una camera di largo-formato e speciali tipi di pellicole, ortocromatiche e a infrarossi. A Palazzo De’ Toschi, il passaggio irregolare, non lineare attraverso l’allestimento, concepito anche dal fotografo, si rivela uno stimolo per appropriarsi percettivamente della propria fisicità di fronte alla fotografia, con l’intenzione di anticipare un possibile rapporto di empatia o di identificazione con il reale soggetto di video e di fotografie. Il solo fine è quello di mettere il corpo al centro e di renderlo cardine multi-uso di uno spostamento, se non di un cambiamento radicale, dalla nostra prospettiva esistenziale, tanto personale quanto linguistica. Terraforming fantasies non si presta mai a diventare un omaggio a viste panoramiche, ma si trasforma, di volta in volta, nella celebrazione di magnifiche, clamorose assenze.
In Mammatus (2010) e Dead Bird (2008), Goiris prova a sviluppare un sistema che promuove l’osservazione di contrappunti liminali (come le margherite contro una tempesta in arrivo, oppure un titolo disadatto su un giornale), attraverso un percorso materiale e fisico, nonché un discorso per immagini che connette inevitabilità e immanenza. Lo scopo è quello di stabilire una relazione di empatia con un soggetto, e non un oggetto, rivelando le peculiarità e le apparenze esterne, proprie di un corpo attivo che diventa il centro della soggettività, in grado di produrre i propri suoni e dal quale partono le proiezioni dell’immaginario. Un trait d’union reso evidente quando i visitatori rimangono immersi nella videoinstallazione a cinque canali, lavoro che assegna il titolo all’intera personale (Terraforming Fantasies, 2018). Quando gli spettatori guardano ogni singolo schermo, all’interno della saletta ricavata all’interno dei moduli esagonali, quel che lega ogni luogo dei non-eventi narrati cinematograficamente e i materiali che formano l’allestimento architettonico, nel quale si è circondati, diventa trasparente. La scelta di valorizzare territori sconosciuti, attraverso segni del caso, tesori umani che rappresentano la possibilità di una metamorfosi, si presenta come una modalità di indagare i rapporti di forze e le convinzioni assodate sulla nostra Madre Terra, in campo concettuale, politico e sociale.
- Titolo mostra:
- Geert Goiris. Terraforming Fantasies
- Date di apertura:
- Dal 29 gennaio al 24 Febbraio 2019
- Curata da:
- Simone Menegoi e Barbara Meneghel
- Sede:
- Palazzo De’ Toschi
- Indirizzo:
- Piazza Minghetti 4/D, Bologna, Italia