Idea della voce

Le recenti interviste di Hans Ulrich Obrist a Dario Fo, Alberto Garutti, Luca Cavalli Sforza e Franco Vaccari, protagonista della mostra Addio Anni 70 a Palazzo Reale, offrono lo spunto per una riflessione sull'importanza della tradizione orale.

Linguaggio e pensiero sono i due protagonisti di Idea della prosa (1985), di Giorgio Agamben. Il testo è una raccolta di una trentina di concisi trattati filosofici. La forma della prosa di questi trattati è mutevole, e si rifa in modo più o meno esplicito alle forme brevi della tradizione filosofica ellenica (favola, racconto breve, apologo, aforisma). Lontano dall'impostare monolitiche dimostrazioni, Agamben sembra di volta in volta ricercare la forma più appropriata per porre un tema all'attenzione del lettore, risvegliarne l'interesse, far cogliere gli aspetti essenziali dell'idea esposta. Potenzialmente infinite sono queste idee: Idea della cesura, Idea della vocazione, Idea dell'amore, Idea della vergogna, Idea della gloria, Idea della morte... Si ha la precisa sensazione di come questa raccolta, seppur breve, abbia una formula aperta, e potrebbe potenzialmente coprire tutti i campi del sapere e dell'esperienza.

Quasi per analogia si potrebbe descrivere la pratica curatoriale di Hans Ulrich Obrist. Aperta, incrementale, multiforme: progetti editoriali, mostre itineranti, maratone, interviste, quest'ultime riconducibili al suo The Interview project. Voce e accumulazione sono i due elementi fondanti di questo progetto, iniziato da Obrist a metà anni Novanta. Le molteplici idee di mondo raccolte dal curatore svizzero, che stanno ormai raggiungendo nel loro complesso dimensioni enciclopediche, non assumono la forma del saggio critico argomentato, ma quella del dialogo, tra l'intervistatore e un eterogeneo elenco di pensatori e professionisti. Dialogo che nelle intenzioni dell'intervistatore non dovrebbe possibilmente essere un evento unico, ma svolgersi nel tempo, ripreso nell'arco di diversi anni. Anche se le interviste trascritte nelle corpose pubblicazioni di Obrist mantengono inalterato il loro ruolo di testimonianza, è grazie solamente alla fisicità della voce e del corpo degli interlocutori che si dispiega in tutta la sua efficacia la forma del dialogo.
In apertura: Franco Vaccari, <i>Esposizione in tempo reale n. 4: Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio</i>, XXXVI Biennale di Venezia (sala personale), 1972. © Franco Vaccari. Qui sopra: Luca Cavalli Sforza durante un suo viaggio fra una tribù di pigmei. © Arnoldo Mondadori Editore
In apertura: Franco Vaccari, Esposizione in tempo reale n. 4: Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio, XXXVI Biennale di Venezia (sala personale), 1972. © Franco Vaccari. Qui sopra: Luca Cavalli Sforza durante un suo viaggio fra una tribù di pigmei. © Arnoldo Mondadori Editore
Il 1° aprile 2012, nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano, Obrist ha intervistato quattro ospiti: Dario Fo, Alberto Garutti, Franco Vaccari e Luca Cavalli Sforza. Quest'anno tutti loro sono stati o saranno protagonisti di importanti mostre in città: Cavalli Sforza al Museo di Storia Naturale, Dario Fo a Palazzo Reale, Alberto Garutti al PAC, Franco Vaccari a Palazzo Reale nell'ambito di Addio Anni 70. Arte a Milano 1969 / 1980, un progetto di Francesco Bonami con Paola Nicolin. L'insieme dei loro interventi ha composto un quadro vario di poetiche personali, costruzione di un metodo operativo, rapporto con la politica e la società civile.
Alberto Garutti, <i>Credo di ricordare</i>, 1974
32 fotografie in bianco e nero. Courtesy Galleria Diagramma, Milano 1975
Alberto Garutti, Credo di ricordare, 1974 32 fotografie in bianco e nero. Courtesy Galleria Diagramma, Milano 1975
Dario Fo ha fin dall'inizio reso esplicita la rilevanza della voce, e con essa della tradizione orale, nel discorso sociale. Ha ripercorso i suoi esordi, la sua giovanile pratica di fabulatore, di cantastorie sul treno che lo portava quotidianamente a Milano, sperimentando in prima persona i modi ed i tempi più efficaci per superare la prima soglia di diffidenza con il pubblico. Pur toccando diversi aspetti della sua formazione, dalla pratica della pittura, del disegno e della scenografia, sempre più strettamente legati alla scrittura, all'incontro con Franco Parenti e la stesura delle prime sceneggiature, il discorso di Fo ha assunto un tono chiaramente politico. A partire da temi odierni e globali, come le ragioni della crisi economica odierna, si è via via arrivati a luoghi ed esperienze specifiche, italiane e milanesi. L'occupazione della Palazzina Liberty abbandonata, dal 1974 al 1979, con l'appoggio sempre più convinto dei cittadini e la collaborazione di artisti come Sebastian Matta, l'impegno in prima persona nel costruire una pubblica opinione consapevole, rispetto a terribili stragi come quella di Piazza Fontana e alle seguenti pratiche di depistaggio, i lavori sulle stragi stesse (come Morte accidentale di un anarchico), la candidatura a sindaco di Milano, la volontà di aprire una nuova scuola per la città.
Due fotografie della folla assiepata davanti alla Palazzina Liberty per uno spettacolo di Dario Fo e Franca Rame.
Foto di Enzo Jannacci alla Palazzina Liberty. Archivio Franca Rame Dario Fo
Due fotografie della folla assiepata davanti alla Palazzina Liberty per uno spettacolo di Dario Fo e Franca Rame. Foto di Enzo Jannacci alla Palazzina Liberty. Archivio Franca Rame Dario Fo
Tanto l'intervista di Fo è ruotata intorno a una dimensione pubblica, anche di scontri e tensioni, quanto quella di Alberto Garutti ha rivelato una dimensione più intima, di velato scetticismo rispetto all'esasperata tensione politica degli anni Settanta. Questo per alcuni aspetti può essere conseguenza di una differenza generazionale, mentre per altri è riconducibile ad una specifica poetica, già rivelatasi nel primo lavoro esposto da Garutti nel 1975 nella galleria Diagramma di Luciano Inga Pin, Credo di ricordare, composto da 32 foto in b/n, raffiguranti la stanza dove viveva l'artista e una serie di oggetti, e tutti i singoli oggetti fotografati poi individualmente. Garutti, architetto di formazione, intende l'opera come esperienza conoscitiva. Al pari di Gino De Dominicis e di Emilio Prini, dimostra una certa insofferenza verso la costruzione di un catalogue raisonné, e sviluppa una ricerca sul tema dell'errore, del dubbio e dell'imperfezione (a partire dagli Essais di Michel de Montaigne). Nel lavoro di Garutti si riconosce una chiara processualità ed una forte spinta etica, coesistono una riflessione sul paesaggio domestico, sulla casa, e la contemporanea apertura verso una dimensione pubblica dell'arte: uscire da gallerie e musei, per non correre il pericolo di chiudersi in un'isola di autoreferenzialità. L'importanza del coinvolgimento e dell'accettazione dell'opera da parte dei cittadini è evidente in opere come quelle realizzate a Peccioli o alla Casa Masaccio di S.Giovanni Valdarno negli anni Novanta, o la più recente stanza di Bolzano. Garutti considera il dialogo prolungato nel tempo un elemento imprescindibile, e gli interlocutori sono molteplici: curatori e scienziati del CESI (per una recente mostra al MAXXI di Roma), comuni cittadini e galleristi. Mentre Fo critica aspramente il sistema dell'arte, includendolo in una più ampia accusa al capitalismo contemporaneo, Garutti riconosce come legittime le pratiche del mercato, della vendita, dello scambio in ambito artistico, e ironicamente ne sottolinea l'attualità fin dal titolo in un lavoro complesso come Campionario, che mescola luogo, mercato dell'arte, relazioni sociali e committenza.
Alberto Garutti, <i>Campionario</i>, 2008. Stampa digitale, misure variabili.
Courtesy Galleria Massimo Minini
Alberto Garutti, Campionario, 2008. Stampa digitale, misure variabili. Courtesy Galleria Massimo Minini
Franco Vaccari è noto per le sue sperimentazioni nel campo della poesia visiva e per l'attenzione verso diverse forme di poesia anonima (come i graffiti sui muri delle città, a cui ha dedicato il primo libro, Pop esie del 1965), scoperte dopo una fondamentale esperienza di attraversamento e osservazione degli spazi pubblici. Vaccari è un'artista laureato in fisica. Questo ha influito notevolmente durante la sua carriera, sia dal punto di vista biografico (dopo la laurea il lavoro mattutino presso un centro di ricerca gli ha permesso di dedicare molti pomeriggi alla lettura di testi di ogni genere, fra cui La via dello zen di Alan Watts) che teorico. Dalla fisica derivano alcune sue tematiche ricorrenti e strettamente interrelate, come il concetto di feedback e quello di tempo reale: quest'ultimo si differenzia dalla performance in quanto non è un processo lineare, una prestazione di cui è già dato il canovaccio, ma si struttura nel tempo inglobando elementi casuali, senza tendere ad un obbiettivo a priori. Così come per Alice nelle città (1974) di Wenders, film senza storia, dove il viaggio diventa l'elemento chiave. Le esposizioni in tempo reale, ad oggi una quarantina, necessitano dell'intervento del pubblico, pratica oggi ormai abusata ma innovativa negli anni Settanta. L'interesse da autodidatta per la psicanalisi e la psicologia ha portato Vaccari a lavorare sul tema dell'inconscio tecnologico (studi raccolti nel libro Fotografia e inconscio tecnologico, del 1979) e ad interessarsi all'attività corporea nel processo di produzione dei sogni. Questi diventano interessanti in quanto occasione di produzione di immagini necessarie, rispetto alle immagini arbitrarie, indotte dai desideri e dalla volontà dell'artista. Il suo album e diario dei sogni, che tiene da molti anni, assume poi una dimensione metaforica, rituale, una forma di attraversamento di quella "palude del dubbio" che ogni artista incontra durante le prime fasi della carriera. Viaggio e rito sono i due elementi su cui è incentrata la mostra presso la Galleria 2000 a Bologna nel 1971. Lo spiazzamento, l'occultamento dell'autore sono al centro del reportage Città vista a livello di cane, del 1968, e della sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1972, dove i visitatori incontravano una parete vuota, una cabina photomatic e l'invito in quattro lingue a lasciare una traccia fotografica del loro passaggio, a pagamento. Sorprendenti sono ancora i video Cani lenti del 1971 (girato in Super 8, i cani sono ripresi al rallentatore, il loro passo coincide con la battuta di un pezzo dei Pink Floyd), trasposizione artistica del principio di indeterminazione di Heisenberg, e Mendicante elettronico, influenzato dalle teorie di McLuhan, presentato a Graz nel 1973 nell'ambito del Trigon.
Frame da <i>Cani lenti</i>, 8 mm, b/n e  sonoro dai Pink Floyd, 12’. 1971 © Franco Vaccari
Frame da Cani lenti, 8 mm, b/n e sonoro dai Pink Floyd, 12’. 1971 © Franco Vaccari
Luca Cavalli Sforza è genetista di fama mondiale, formatosi prima a Pavia con Adriano Buzzati Traverso e, in seguito, a Cambridge con Ronald Fisher. Cavalli Sforza ha iniziato a partire dal 1952 un'analisi statistica di dati demografici, incentrando le sue ricerche nell'Alta Val Parma. Forte della conoscenza del greco e del latino, ha potuto accedere alle informazioni contenute nei libri parrocchiali, dove la Chiesa raccoglieva i nomi dei battezzati, la genealogia delle persone. A questo ha affiancato poi la raccolta dei campioni di sangue di settantacinque villaggi di montagna. Incrociando competenze di genetica, demografia, antropologia, Cavalli Sforza ha costruito delle vere e proprie cartografie genetiche, aiutato dalle prime tecnologie di calcolo moderne (negli anni Cinquanta ha avuto a disposizione per i suoi studi il primo computer presente nelle università italiane). Anche in seguito al suo spostamento a Stanford negli anni Settanta, ha via via esteso la ricerca sulla specie umana ad altre discipline, come l'archeologia e la linguistica, fino a studiare gli aspetti ereditari del comportamento. L'efficacia di questo metodo di lavoro è stata poi amplificata dalle sue frequenti esplorazioni e viaggi, indispensabili per testare sul campo le ipotesi fatte, e per dare a loro volta impulso ad estendere e affinare gli strumenti di ricerca. Rimasto sottotraccia durante le interviste a Garutti e Vaccari, il tema del maestro, delle figure di riferimento, è tornato con Cavalli Sforza al centro della discussione, così come lo era stato con Dario Fo e le sue paradossali citazioni dalle frequentazioni con Manzù: "Gli antichi ci copiano tutto".

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