Quella strana casa nera scomparsa dalla realtà, ma non da Google

La Haus in Schwarz era nel cuore del Tirolo: una casa interamente nera, inquietante e radicale. Demolita anni fa, è sopravvissuta nei meme e su Google Maps.

Per mesi, forse anni, quel piccolo edificio nel quartiere Möhringen di Stoccarda era diventato una tela condivisa. Scritte colorate, murales variopinti, segni sovrapposti nel tempo: sembrava uno di quei casi in cui l’abbandono genera una nuova forma di vita visiva, libera e collettiva. Poi, all’improvviso, il silenzio. Niente più colori. Nessuna traccia delle opere precedenti.
Solo nero.
Molto nero.
Totalmente nero.

Dal tetto all’antenna, dalle finestre alle fondamenta, la casa era stata ricoperta da una vernice opaca che ne annullava ogni dettaglio trasformandola in un buco visivo nel tessuto della città, una sagoma muta in mezzo agli altri edifici. Qualcosa di strano doveva essere successo. Un’azione drastica per fermare il caos visivo? Una censura urbana? Un’esigenza di pulizia?

Niente di tutto questo.
Anche quella, sorprendentemente, era street art.

L’annerimento rende l’edificio anonimo, ma lo trasforma in un modello.
Erik Sturm e Simon Jung, Haus in Schwarz, 2008. Courtesy the artists.

Haus in Schwarz, “Casa in Nero”, è un intervento di Erik Sturm (alias Wasser, alias Eiche) e Simon Jung (Saimen), realizzato nel maggio 2008 con il supporto della Fondazione Karin Abt-Straubinger. In quattro giorni e con 500 litri di vernice nera opaca, i due artisti trasformano un edificio destinato alla demolizione in una scultura urbana silenziosa e radicale.

“L’annerimento rende l’edificio anonimo, ma lo trasforma in un modello. Di notte sembra sparire, si fonde con l’oscurità,” spiega Sturm. L’effetto è magnetico: l’edificio, svuotato della sua identità, diventa puro volume, presenza astratta. Un gesto funebre ma preciso: un’architettura vestita a lutto, il suo.

Simon Jung è un artista attivo principalmente a Francoforte. La sua ricerca si muove tra pittura astratta e urban art, dando vita a opere segnate da gestualità, stratificazioni e sperimentazioni spontanee. Il suo linguaggio visivo fonde elementi del graffiti writing con componenti grafiche, generando composizioni che nascono tanto da indagini analitiche quanto da processi intuitivi.

Erik Sturm, invece, concentra la propria pratica sull’esplorazione dei fenomeni urbani, indagando materiali e processi che riflettono l’attività umana e il suo impatto globale. Il suo approccio – vicino a un’archeologia del presente – si fonda su un’osservazione prolungata e sul contatto diretto con i contesti. Il suo studio si trova nel cuore del cantiere Stuttgart 21, da cui trae tracce, oggetti e materiali che diventano parte integrante delle sue opere. 

Dopo una breve parentesi in cui, nel 2009, l’edificio viene temporaneamente trasformato dalla legittima proprietaria in una galleria d’arte, la “casa nera” viene infine demolita. Eppure, Haus in Schwarz non è scomparsa del tutto: per anni, la sua immagine è rimasta visibile su Google Street View, come un blocco scuro che interrompeva la continuità delle facciate, una presenza fuori dal tempo, rimasta indietro.

Non si trattava solo di un errore, né di una curiosità isolata. È qualcosa che accade spesso su Google Maps: un sistema pensato per restituire il mondo in modo navigabile e che finisce inevitabilmente per catturarne anche gli scarti, i ritardi, le assenze, che insegue la realtà con continui aggiornamenti ma finisce per costruire un archivio frammentario, dove passato e presente convivono.

Oggi anche la traccia è stata aggiornata, sostituita dall’immagine del museo che ha preso il posto di quel profondo buco nero. Ma la casa nera non si può cancellare e ancora riaffiora in forma di meme: questo ci fa pensare che non ce la leveremo più di torno.

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