Murakami non è all'altezza del luogo, Koons con il suo megalomane autoritratto in marmo e un incidentale busto di Luigi XIV fatto in occasione di un'altra kitschissima mostra a New York nella metà degli anni Ottanta, dimostrò almeno di conoscere i fantasmi del castello e gli antichi screzi tra regnanti ed artisti: sparito il busto di Bernini e soddisfatto l'ego senza rubare spazio a fiori e argenteria. Ed è purtroppo solo sull'idea di produrre ingenti quantità di inerte paccottiglia contemporanea che lo show di Murakami si fonda. Tutto fluttua e sembra scendere dalle cornucopie dei soffitti restaurati di fresco.
Ed è forse con il denaro risparmiato che si puntellano i muri e si ricomprano i mobili del castello all'asta cercando contemporaneamente di fissare nella mitologia dell'arte di oggi un luogo che inebria e infonde l'idea dell'antico, non la solita cornicetta d'oro, la magia vera della storia che non costa una lira agli amministratori di Versailles, (questa volta paga il Qatar, dove attendono una mostra di Murakami) e fornisce trampolini agli artisti per imprimere stabilmente il loro lavoro nell'immaginario di massa a costo zero. Non sono insomma le corti, che nel passato si accapigliarono per grandi artisti, i Rubens o Van Dick, ma piuttosto odierni cortigiani piazzati a guardia di luoghi pubblici da importanti collezionisti privati che prestano o pre-acquistano le opere importanti di questi momenti di enorme enfasi mediatica del contemporaneo. Detto ciò, i personaggi e personaggini di questa mostra sono murakamiani, usciti dagli studi di Kaikai Kiki Co. Ltd. e preparati per questa trasferta francese, facendo attenzione a mostrare solo quelli perbene, puliti e depoliticizzati. Niente Hiropon con crema, che schizza dai seni e Lonesome Cowboy dalla gioiosa eiaculazione. Solo il Murakami più casto ha raggiunto le sale del castello in versione ceramica o oro e argento e le sue opere fanno bella mostra di sé, ordinate come in un compitino da studente giapponese in gita scolastica il Re Leone con criniera solare per la Sala del trono, i fiori (Flower Matango) – e tanti – per la Galleria degli Specchi… E via così, di sala in sala, fino a un bellissimo e inatteso imponente Oval Buddha per l'esterno. Nella sua presentazione alla mostra, Takashi Murakami si immagina come il gatto del Cheshire, che accompagna lo spettatore/Alice in Wonderland. Senza abusare della cultura popolare giapponese e della sua generosa propensione alle metafore del manga-pensiero, sembra piuttosto di immergersi in una puntata di Lady Oscar La rosa di Versailles, dove la Rivoluzione resterà pur sempre alla porte.
A Versailles – è bene ricordarlo – anche il mobilio scintillante e di grande pregio artistico fu spesso e solo moneta corrente per i momenti di crisi e i muri servirono, allora come ora, ad assicurare lo spettacolo quotidiano del trionfo del potere. In una pagina di pubblicità del Financial Times di sabato scorso la galleria Gagosian con cui Murakami lavora si congratulava per lo show a Versailles: la sua nuova sede parigina aprirà a metà ottobre. Ivo Bonacorsi*
*artista e critico d'arte, insegna drawing concepts alla Parsons School of Design di Parigi, dove abita




