Attraversare Bologna e intercettare il negozio Gavina di Carlo Scarpa è un’esperienza di spaesamento, una specie di folgorazione che ci fa tornare ad anni di intensità, potenza e accuratezza progettuale che hanno segnato l’architettura italiana. È un’esperienza che abbiamo ripercorso per festeggiare un ritrovato restauro che si deve alla proprietaria Claudia Canè Draghetti e all’architetta Elisabetta Bertozzi, ma anche ai nuovi inquilini di questo scrigno, il team di Vintage 55 che ha custodito questo spazio a punto da lasciare l’insegna storica Gavina, impressa ancora oggi in facciata. Per capire il contesto di riferimento nel quale nasce il progetto di Scarpa dobbiamo partire da Via Altabella a Bologna verso la fine degli anni ’50, e immaginarci una centralissima e borghese via del centro storico bolognese a pochi passi da piazza Maggiore, dove passeggia un personaggio altrettanto centrale per Bologna e non solo: Dino Gavina.
L’altro negozio di Carlo Scarpa: la rinascita di un progetto dimenticato, a Bologna
Tutti conoscono il celebre negozio Olivetti di Carlo Scarpa in Piazza San Marco. Ma pochi sanno che, nel 1961, l’architetto collaborò anche con Dino Gavina a un altro punto vendita, meno noto ma altrettanto affascinante. Siamo tornati a visitarlo oggi, dopo il restauro e la riapertura.
Foto Guido De Vincentis
Foto Guido De Vincentis
Foto Guido De Vincentis
Foto Guido De Vincentis
Foto Guido De Vincentis
Foto Guido De Vincentis
Foto Guido De Vincentis
Foto Lorenzo Pennati
Foto Lorenzo Pennati
Foto Lorenzo Pennati
Foto Lorenzo Pennati
Foto Lorenzo Pennati
Foto Paolo Monti
Foto Paolo Monti
Foto Paolo Monti
Foto Davide Gallina
Foto Davide Gallina
Foto Davide Gallina
Foto Davide Gallina
Foto Davide Gallina
Foto Davide Gallina
Foto Davide Gallina
Foto Davide Gallina
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- Davide Gallina
- 10 luglio 2025

Gavina (1922-2007) è una figura poliedrica e complessa, un progettista e imprenditore che nel secolo scorso ha creato e delineato la produzione industriale legata al mobile di un intero paese contribuendo a formare i cataloghi e il mito di alcune aziende che oggi annoveriamo tra le grandi del design italiano: Gavina, Simon, Flos, Cassina.
Attento conoscitore del mondo dell’arte, abile riconoscitore di talenti, Gavina col suo spiccato senso imprenditoriale è al centro del nostro racconto come committente di un negozio che vuole immaginare come un epicentro irradiante da Bologna, punto di riferimento espositivo per pezzi che stavano diventando icone di quegli anni e che, ancora oggi, vivono nelle nostre case.
La lezione insuperata del negozio Olivetti in piazza San Marco a Venezia si è da poco compiuta (1958), e nel 1961 Gavina chiede a Carlo Scarpa di riprogettare un intero negozio con facciata a vista su via Altabella, affinché diventasse non un semplice luogo di commercio, ma lo stato dell’arte per spazi dalla vocazione espositiva: carta bianca per un vero e proprio “tempio per il mobile”.
Scarpa in quegli anni è un architetto già riconosciuto e apprezzato, e vede in Gavina un ottimo compagno di strada per poter esprimersi e lasciare un segno. Veneto doc e con un passato che lo fa triangolare tra Vicenza, Verona e Venezia – dove si forma e produce collaborando con i più bravi artigiani del tempo – si cimenta in una realizzazione per un luogo come Bologna che è distate architettonicamente e culturalmente dal suo vissuto.
Arrivando davanti al negozio, ancora oggi si può comprendere come Scarpa interpreti questa commessa e entri nel tessuto bolognese con una forza e una irruenza mitigata solo dai dettagli e dal sapiente uso dei materiali e delle loro finiture. In facciata appare una superfice di calcestruzzo grigia a trattamento orizzontale, in aperto contrasto con le colorazioni del paesaggio bolognese, interrotta solamente da due macroscopiche aperture fuori scala; una circonferenza singola e due fuse in un formale che riporta al simbolo dell’infinito matematico. Le proporzioni sono scarpiane già dall’esterno, andando a esagerare e la lunghezza verso la strada del negozio ma limitando a due le aperture vetrate per concentrare le attenzioni dei passanti che, in questo modo vengono magneticamente attratti all’interno.
In questo primo passaggio è evidente la capacità di Scarpa nel trattare la fusione tra spazio esterno e interno, tanto che cercando la vera entrata nel negozio ci si trova in una piccola porzione dedicata ad una sorta di ingresso casalingo: tra le due vetrate circolari infatti si posiziona una piccola loggia interna, uno spazio d’ingresso che ricorda le aree di approdo introverse per le imbarcazioni private a Venezia, delimitato da un piccolo cancello metallico lavorato maniacalmente come simbolica e reale soglia che ci mette in un limbo, prima di varcare la vera porta di ingresso e approdare nello spazio vero e proprio. In questa bussola, il negozio diventa esperienza sensoriale avvicinando ai dettagli, facendo toccare legni, metalli con finiture e trattamenti superficiali curatissimi.
Entrando, ci troviamo in uno spazio espositivo illuminato dalle grandi vetrine in facciata, e da piccoli spiragli di luce che entrano da angolature e fessure a soffitto. La verticalità del negozio, che in realtà corre parallelo alla strada, è evidente: colone spazientente disegnate e rivestite in legno con segni metallici incastonati, altri segni alle pareti che ripartiscono lo spazio facendoci muovere alla ricerca di segreti nascosti che immancabilmente troviamo, come la fontana nell’angolo più remoto e intimo del negozio decorata da vicini mosaici in pietra dorata. Ogni proporzione che si incontra richiama le proporzioni domestiche dell’abitare, elevate e dedicate all’arte dell’esporre.
Il colore è una seconda cifra di questo lavoro che forse ricorda i primi anni di Scarpa in accademia a Vicenza, il suo interesse per la pittura. Pareti blu cobalto, cementi, legni naturali o con smaltature nere, porzioni arancioni intervallate dal molteplici sfumature di beige e grigio. Di certo viene evocato lo Scarpa sostenitore del fondamentale legame tra architetto e artigiano, in un lavoro a quattro mani su un progetto che, solo in fase di realizzazione, muta al variare delle soluzioni materiche e costruttive. Uscendo, guardiamo ancora le vetrine, e stavolta ci rimandano ai componenti scelti da Scarpa proprio con Gavina per il tavolo Doge, progettato qualche anno dopo il negozio. Ci troviamo spaesati come a rimbalzare fuori da un tempo dove la cura e la maniacalità progettuale segnava un progetto trasformando uno spazio architettonico in un abilitatore di esperienze.