Tutti vogliono il design italiano. Non è più soltanto un patrimonio degli addetti ai lavori: negli ultimi anni la conoscenza e il riconoscimento dei suoi prodotti storici si sono diffusi a un pubblico sempre più ampio e trasversale. È l’effetto naturale del passare del tempo, che ci consente di guardare a questa disciplina con maggiore distanza critica e di leggerne meglio i movimenti ciclici, i tratti immutabili, le qualità che si sedimentano nella memoria collettiva. Così lampade, poltrone e perfino posate diventano immagini condivise, “icone del design italiano” che raccontano non solo un’estetica, ma un modo di vivere.
A cambiare la prospettiva ha contribuito sicuramente l’importanza globale della Milano Design Week, ma anche i social. E la moda e il cinema hanno avuto un ruolo fondamentale. Come conseguenza di questa nuova consapevolezza, tutti vogliono le icone del design italiano dentro casa loro.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’altra grande tendenza: quella del second hand. Non è soltanto una questione di prezzo, ma il desiderio di riuso e di oggetti che portano con sé un’aura particolare e irripetibile. Mentre imparavamo a riconoscere nomi come l’Eclisse, la Superleggera o Gae Aulenti, imparavamo anche — più lentamente rispetto ad altri paesi europei e al resto del mondo — a comprare vestiti usati. Oggi ci siamo abituati al punto che l’acquisto di abbigliamento di seconda mano è diventato una mania, e la stessa logica ha contagiato mobili e oggetti. Così anche il design italiano è approdato su Vinted, la piattaforma che oggi fa rima con “usato”, soprattutto per i vestiti, ma dove si possono scovare anche pezzi d’arredo e oggetti di culto.
Su Vinted si trovano oggetti immacolati, usati o usurati e, sebbene meno spesso rispetto all’abbigliamento, anche copie e imitazioni. Un occhio attento, però, può imbattersi in rarità, prime edizioni e pezzi fuori produzione. La presenza del design italiano su Vinted è più caotica e disordinata rispetto a piattaforme specializzate come Catawiki o Deesup, dove gli articoli raggiungono prezzi spesso esorbitanti. È la differenza tra partecipare a un’asta privata e rovistare tra i banchi di Porta Portese: meno patinato, ma con la possibilità di scoprire tesori inaspettati.
Il design nato per vivere nelle case rischia di trasformarsi in feticcio da scaffale, un ricordo nostalgico di un’epoca che non c’è più e che proprio per questo ci attrae.
Resta aperta una domanda centrale: questa smania di possedere le icone accresce il valore del design o rischia di snaturarlo? Da un lato, la vitalità di molti oggetti progettati anche cento anni fa conferma il successo dell’intento originario: democratizzare il progetto onesto e intelligente, un principio che accomuna il grande design italiano a quello scandinavo, anch’esso tornato in voga negli ultimi anni. Dall’altro, emerge il tema del formalismo, una minaccia che la moda conosce e fronteggia da più tempo.
Il rischio è che forme nate per essere usate, per dialogare con le persone e servire concretamente la vita quotidiana, vengano oggi trattate come reliquie museali: vendute al miglior offerente, conservate, esposte, come se il loro valore fosse soltanto formale. Così il design nato per vivere nelle case rischia di trasformarsi in feticcio da scaffale, un ricordo nostalgico di un’epoca che non c’è più e che proprio per questo ci attrae.
Per indagare il fenomeno, Domus ha raccolto dieci esempi di oggetti italiani che pochi anni fa non ci saremmo aspettati di trovare su Vinted.
Immagine di apertura: La lampada Nessino di Artemide in vendita su Vinted
