di Carla Rizzo
L’ “essere così nomadi tra un luogo e l’altro, tra un lavoro e l’altro” è la cifra della vita di Gaetana Emilia Aulenti, “la Gae”: lei ne farà una vera e propria bandiera, scegliendo fieramente di “non voler essere specialista di qualche cosa”, e si dedicherà all’architettura, al teatro, al design con la stessa caparbia determinazione che per lei è insita, fra l’altro, nella “condizione femminile”. Passerà dalla provincia di Udine dove nasce nel 1927, a Biella, e poi a Firenze, per arrivare a Milano, dove si laurea al Politecnico di Milano nel 1953, e a tutto il mondo, che disseminerà di progetti. Con la stessa caparbietà attraverserà anche 10 anni – dal 1955 al 1965 – di Casabella-Continuità con Ernesto Nathan Rogers, unica donna nel gruppo di uomini suoi discepoli, godendo di un punto di osservazione privilegiato sul panorama architettonico, urbano e soprattutto critico dell’Italia di allora.
È così che prende forma una figura poliedrica e fondamentale, celebrata dalla Triennale di Milano con la grande retrospettiva “Gae Aulenti” (1927-2012), e ora col volume La Gae. The Life and Times of Gae Aulenti (Electa, 2025) curato da Giovanni Agosti con l’Archivio Gae Aulenti, ed è così che anche Domus la vuole celebrare, nella complessa molteplicità del suo lavoro, tra grandi piani urbani, design del prodotto, spazio scenico e dimensione domestica.
Punto di partenza: la XIII Triennale di Milano, dedicata al “tempo libero”. Nella sezione italiana, Aulenti e Carlo Aymonino sono incaricati di allestire la sala immediatamente successiva a quella de Il tempo delle vacanze: oltrepassato il claustrofobico tunnel di automobili imbottigliate tra gommoni sui tettucci e asfissianti pile di valigie, ecco che L’arrivo al mare offre al visitatore un consistente assaggio di quel senso di dilatazione che sempre accompagna le ferie estive, la distanza fisica e mentale dalle fatiche della quotidianità.
La straniante moltiplicazione delle Due – picassiane – donne che corrono sulla spiaggia, esplode come la più infantile manifestazione di gioia, il gesto liberatorio nell’atto dell’Arrivo, la corsa verso la tanto agognata meta: il mare. Una scelta figurativa dove la risemantizzazione del dipinto di Picasso del 1922 è aggraziata e mai stravolgente, piuttosto accoglie le due bagnanti in nuovi e imprevisti scenari.
Diversa esposizione quella degli showroom Fiat (1969-70) a Torino, Roma, Zurigo, Vienna e Bruxelles: ne nasceranno un esperimento di manuale per l’arredo dei concessionari Fiat nel mondo, e una collaborazione, quella con la famiglia Agnelli, che contribuirà ad aumentare il prestigio internazionale della Gae, senza farle mancare qualche critica per il suo modo – ancora una volta una sua scelta – di stare “dentro”, e non necessariamente “contro” (per dirla con Pier Vittorio Aureli) quel sistema borghese capitalista, di cui la Casa torinese rappresentava senz’altro la più alta immagine.
Io non voglio essere specialista di qualcosa. Penso che questa sia una condizione femminile, questa scelta che ti fa preferire le cose più nel profondo invece che in superficie, che ti fa preferire, per esempio, il sapere al potere.
Gae Aulenti
Gli showroom hanno dietro un pensiero innovativo, sono spazi che partecipano attivamente alla messa in scena del prodotto, e coinvolgono il visitatore in un’esperienza dinamica, cifra più autentica dell’oggetto esposto: l’automobile. Percorsi a galleria, pedane inclinate e sistemi di illuminazione confondono la esposizione e strada, generando, proprio in Triennale, un senso di spaesamento tra interno ed esterno, in uno spazio complesso e ambiguo che prende un ruolo di primo piano.
Per gli Agnelli, Gae Aulenti realizzerà nel 1969 anche il progetto di un appartamento a Milano, la cosiddetta Casa del Collezionista, e ritorna il concetto della fruizione scenica e di uno spazio completamente organizzato intorno a una collezione di opere d’arte.
L’arredo scompare, i divani e le poltrone si fondono con la moquette, nella cromia e nella matericità; ciò che invece resiste – come il grande tavolo con il in lamiera sorretto da azzurri tronchi di cono – lo fa proprio per dialogare con le opere, esaltandole. Fra un Duchamp-Villon, un Magritte e un Lichtenstein, lo spazio della casa si presta questa volta a silente supporto di un’orchestrata scenografia.
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"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
In questo disegno l'alloggio appare come «spaccato» sull'asse del soggiorno e del prisma della galleria — galleria che si vede in prospettiva nella pagina a fianco, percorsa dai «moutons» di Lalanne e centrata sul disco colorato di Noland. (Sulle pareti della galleria sono evidenti gli apparecchi per la illuminazione e la tonodiffusione, ripetuti in tutto l'alloggio: disegnati da Gae Aulenti, sono composti da una sfera metallica contenente il proiettore e da una mezza sfera grigliata contenente l'altoparlante; entrambi i corpi sono aggiustabili, su calamite, per orientare i suoni e la luce).
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
In questo disegno l'alloggio appare come «spaccato» sull'asse del soggiorno e del prisma della galleria — galleria che si vede in prospettiva nella pagina a fianco, percorsa dai «moutons» di Lalanne e centrata sul disco colorato di Noland. (Sulle pareti della galleria sono evidenti gli apparecchi per la illuminazione e la tonodiffusione, ripetuti in tutto l'alloggio: disegnati da Gae Aulenti, sono composti da una sfera metallica contenente il proiettore e da una mezza sfera grigliata contenente l'altoparlante; entrambi i corpi sono aggiustabili, su calamite, per orientare i suoni e la luce).
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
"Casa per un collezionista": l'appartamento milanese della famiglia Agnelli concepito da Gae Aulenti
Domus 482, gennaio 1970
Oltre a questi esperimenti, nei primi anni ‘70 la Gae si immerge nei temi della domesticità, e mette a punto i caratteri che aveva già esplorato nel 1963 progettando la Villa nel Bosco. Disegna per sé una villa a Capalbio nel 1971 (senza poi realizzarla), poi la Villa a Parma per Clemente Papi (1973), e una per Plàcido Arango Arias a Formentor, in Spagna (1974, non realizzata) sempre con lo stesso trattamento a nuclei sfalsati, gerarchizzati intorno a patii e corti; la villa che nel 1973 realizza a Pisa per Enrico Bombieri presenterà poi un’originalità ancora più spinta.
Con questa “casa a muri paralleli”, Aulenti esplora le potenzialità del muro come elemento guida della genesi spaziale. L’intera struttura infatti scaturisce dallo sfalsamento e dalla giustapposizione di un complesso sistema di filtri e diaframmi murari paralleli, fra i quali si insediano i diversi ambienti, e un sistema di aperture che contribuisce a espandere i punti di vista all’interno: si rovescia qualsiasi principio di rigida simmetria, per una costante ricerca di nuovi sistemi di organizzazione spaziale, che a suo modo verrà trasposta anche alla scala urbana.
Con gli anni ‘70 si apre infatti la stagione dei grandi piani urbani, e a Cinisello Balsamo, nello stesso anno del progetto di Pisa, Aulenti propone un insediamento residenziale con servizi scolastici, dove nuovamente organizza l’impianto secondo gli assi paralleli delle residenze – vere e proprie fasce “murarie” abitate – con innesti diagonali per i servizi, il tutto saldamente tenuto insieme da una griglia di travi e pilastri che conferisce ai disegni prospettici del progetto la sensazione di una progressione spaziale senza fine.
Poi, il Musée d’Orsay, apice e vera sublimazione della carriera di Gae Aulenti, nella costante perseveranza del suo lavoro, portato avanti nei limiti di quanto venisse concesso a quell’unica donna che “sempre facendo finta di nulla” si ostinava a praticare un mestiere sostanzialmente “da uomo”. Vincitore del concorso indetto nel 1980 a Parigi per trasformare la Stazione d’Orsay – abbandonata dagli anni Trenta – in museo del XIX secolo, il progetto prevede da un lato il restauro dell’edificio esistente, dall’altro la chiara indipendenza di tutti i nuovi interventi, e soprattutto, come nelle Casa del Collezionista, sarà il percorso delle opere a determinare l’architettura. Il cantiere dura sei anni, e nelle parole della stessa Gae è “una lotta continua”, a cominciare dal far convivere le inevitabili vibrazioni del ferro della stazione con le opere d’arte che “nelle vibrazioni non possono stare”.
Come tutte le grandi scommesse (e come già era accaduto al cugino Beaubourg, seppur diversissimo nelle premesse e nei risultati) una volta inaugurato l’Orsay non piace a tutti, ma “se piaci a tutti” diceva la Gae “c’è qualcosa che non va”. Eppure ancora oggi in quelle scelte sobrie e rispettose, in quella valorizzazione delle collezioni garantita dai materiali voluti dall’architetta, come la pietra calcarea chiara (perfetta per esaltare al massimo la luce naturale proveniente dalla volta originaria della stazione, combinata al progetto di illuminazione interna curato da Piero Castiglioni) risiede la profonda intelligenza del progetto.
Altra naturale conseguenza dell’architettura di Aulenti, il suo avvicinamento al teatro: per lei è semplicemente un altro possibile luogo di sperimentazione del linguaggio e della costruzione dello spazio; anzi, sarà forse proprio in questo contesto, almeno in Italia, che riuscirà a esprimersi nel modo più libero.
L’incontro e la collaborazione con Luca Ronconi, già dal 1974, si riveleranno fondamentali per lo sviluppo di una nuova idea di scenografia possibile, dove appunto lo spazio scenico è essenzialmente spazio concreto, non più un contenitore da decorare, ma una struttura fatta di pieni e vuoti, di luci e ombre, di ritmo e pause, proprio come lo spazio dell’architettura. Per La fiaba dello Zar Saltan, andato in scena nel maggio 1988, Aulenti fa arriva a trasfigurare questo spazio scenico-architettonico, rappresentando simultaneamente le tre dimensioni, e una molteplicità di punti di vista.
Se piaci a tutti, c’è qualcosa che non va.
Gae Aulenti
Le torri della città fortificata dello Zar sono viste dall’alto, come il fondale della scena, rappresentato da un mare in tempesta anch’esso visto dalla prospettiva “del cielo”. Dal prologo all’epilogo, si susseguono atmosfere ovattate o abbaglianti, e una tensione irreale, fiabesca, è costantemente suscitata dalla presenza di elementi fluttuanti a mezz’aria, il cui culmine arriva proprio nella scena finale dove i commensali di una tavola imbandita e sospesa al centro dello spazio, siedono e banchettano intorno a essa sfidando qualsiasi legge di gravità.
“Minore” ma solo per dimensione, infine, la scala del design. Il Tavolo con ruote prodotto per FontanaArte nel 1980 sintetizza ancora una volta quella convivenza di rigore e gioco che, in modo sempre originale, non ha mai abbandonato la personalità e l’opera della Gae. Con un’operazione apparentemente elementare, ma frutto di un pensiero raffinato e ingegnoso, Aulenti prende i carrelli usati in fabbrica per il trasporto delle lastre in vetro e li rilegge, inserendo ruote industriali con forcelle di metallo sotto un piano in cristallo, e producendo il consueto effetto straniante, e geniale, a lei caro fin dai tempi dell’Arrivo al mare da dove questo racconto è cominciato.
Così, per continuare a celebrare oggi l’opera della grande maestra, non sembra affatto improprio prendere ancora in prestito le parole di Manfredo Tafuri che, con il sofisticato acume dello storico, ne definì l’architettura come una sinfonia perfetta di «geometrie estenuanti» e «rarefatte eleganze».
Immagine di apertura: Foto Gorup de Besanez, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons
