Il design è diventato la cosa più cool in circolazione?

Tra collaborazioni con celebrities, interesse di grandi maison di moda e presenza ubiqua su Instagram, il design attraversa un momento di grandissimo hype. Ci domandiamo, però, fino a che punto questo grande sdoganamento pop faccia bene al settore.

Tutti lo cercano, tutti lo vogliono: il design è diventato la disciplina più pop e desiderata del momento. 

Nell’Ottobre 2019 la popstar americana Frank Ocean condivideva su Instagram una foto della sua abitazione. Impossibile far sfuggire agli occhi dei più attenti e appassionati un sinuoso divano Dune, modello del 1970 di Pierre Paulin in colorazione teal. La foto, subito ripresa da GQ, introduceva non solo il pezzo d’arredo, ma un intero gusto per il design modernista e radicale a un bacino di pubblico altrimenti acerbo e vergine alla tematica. Addirittura AD faceva rimbalzare la notizia, certificando lo sposalizio di due mondi, apparentemente distanti ma oggi più simbiotici che mai. 

Prima di lui, già Kanye West aveva utilizzato degli arredi di Paulin per la presentazione della sua collezione di abbigliamento Yeezy Season 3 nel 2016.

È, inoltre, notizia delle ultime settimane la collaborazione tra un altra star del rap a stelle e strisce, A$AP Rocky con Gufram per reimmaginare il classico Cactus di Drocco e Mello. E ancora, l’ambasciata – ostentata sui social, ça va sans dire – di Kim Kardashian presso lo studio di Tadao Ando, anticipando un imminente sodalizio tra i due.

Frank Ocean fa sfoggio sui social del divano Dune di Pierre Paulin presente nella sua abitazione.
Frank Ocean fa sfoggio sui social del divano Dune di Pierre Paulin presente nella sua abitazione.

La riscoperta dell’ambiente domestico

A rafforzare questo legame, secondo molti, ha contribuito anche il lockdown. L’imposizione della vita tra le quattro mura ha portato a rivalutare il fondamentale valore estetico e progettuale dello spazio domestico. Con esso, l’improvviso cambio repentino di scenari narrati sui social: dalla mondanità della vita collettiva agli interni della propria abitazione. La stessa diva dell’hyperpop Charli XCX aveva scelto di ritrarsi in intimo in un autoscatto nel letto per la copertina del suo album pandemico "How I’m Feeling Now".

Lo confermava, allo scorso Fuorisalone, Alessio Ascari presentando la sua ultima creazione editoriale, Capsule – diramazione dedita al design della rivista d’arte e street culture Kaleidoscope –, raccontando come lo stimolo creativo fosse derivato dalle vecchie riviste di settore e libri sulla disciplina acquistati e consultati tra le mura domestiche durante il lockdown. 

L’influenza della street culture

Il mondo della street culture, parallelamente a quello dell'haute couture, è stato quello più desideroso di confrontarsi con la tematica del design e, anche, dell’architettura.

Basti pensare al progetto “Trapchitecutre” di Forgotten Architecture, che poneva in dialogo artisti trap italiani con edifici brutalisti sul territorio nazionale. E come dimenticare la foto, diventata virale su Instagram solo pochi mesi fa, in cui la modella Emily Ratajkowski posava sotto l’autogrill Motta di Limenella, Padova, progettato da Pier Luigi Nervi e Melchiorre Bega a metà anni ‘60.

Il forte potenziale iconografico di filoni come quello del brutalismo o delle sedute figlie del design radicale, unito al ritorno di fiamma della tematica dell’archivio, ha senza dubbio stuzzicato un pubblico nuovo, quello dedito alla moda, allo street style e al reselling. 

Impossibile non notare come il design abbia saputo sconfinare dalle sole riviste di settore, diventando un hot topic anche per testate di streetstyle come NSS, Hypebeast e Highsnobiety, e nutrendo – in un momento certo non idilliaco per l’industria – la nascita di un nuovo progetto cartaceo dedicato, Door di Repubblica.

Lo confermano, inoltre, la collaborazione “The Right Chair” tra Cassina e il negozio di streetwear One Block Down per ripensare la sedia Leggera di Gio Ponti. O, ancora, i sodalizi stretti durante il recente Fuorisalone milanese dal magazine Highsnobiety, autorità in fatto di streetwear, con molteplici realtà cittadine, dal sopracitato One Block Down e Campari, al Bar Basso, con cui ha realizzato una capsule collection per celebrare i 55 anni dalla nascita del Negroni Sbagliato.

Highsnobiety ha celebrato in chiave streetwear l'heritage del Bar Basso e a 55 anni dalla nascita del suo Negroni Sbagliato. Foto: Highsnobiety.
Highsnobiety ha celebrato in chiave streetwear l'heritage del Bar Basso e a 55 anni dalla nascita del suo Negroni Sbagliato. Foto: Highsnobiety.

Maria Cristina Didero, critica di design e curatrice, fa notare che la desiderabilità del design, specialmente radicale italiano, si deve ricondurre alla sfera del desiderio, che lo accomuna alla cultura degli oggetti-feticcio e status symbol di cui la street culture si fa ambasciatrice.

“Ci sono alcuni oggetti che per forma e destinazione d’uso possiedono un appeal particolare su di noi. Due icone come il Pratone di Ceretti, Derossi e Rosso o il divano Bocca di Studio 65 per Gufram possono suscitare emozioni diverse in chi li guarda e contribuire all'attrazione del possesso.

"Alcuni pezzi di design radicale italiano sembrano appartenere al mondo del surrealismo. Hanno un appeal evergreen, che gli consente di avere una ragione d’essere anche se decontestualizzati dal loro originale periodo storico, in virtù del fatto che sono stati creati per restituire determinati valori e ideali – che dovrebbero essere davvero eterni."

Il design come validazione culturale

A tratti, il fenomeno sembra suggerire come l’annosa ricerca della collaborazione con la storica casa di design o la replica di modelli iconici diventi un tentativo, da parte di due settori progressivamente ibridati come l’alta moda e lo streetwear, di abbandonare definitivamente le connotazioni di frivolezza ad essi associate da un determinato pubblico apocrifo per elevarsi a vere autorità del design a 360 gradi. Un processo che passa oggi, inevitabilmente, attraverso il mecenatismo.

Si guardi a Diesel che non poteva certo esimersi dal partecipare alla manifestazione. Diventato demiurgo di zeitgeist sotto la direzione creativa di Glenn Martens, la diramazione Living del brand di Renzo Rosso ha recentemente lanciato una collezione di interni con Moroso.

Uno degli arredi presentati da Diesel Living e Moroso alla Milano Design Week 2023. Foto: Strategic Footprints.
Uno degli arredi presentati da Diesel Living e Moroso alla Milano Design Week 2023. Foto: courtesy Strategic Footprints.

Nell’antologia “Fashion and Art” (Bloomsbury, 2012) la storica della moda Valerie Steele sostiene che “l’arte e generalmente percepita come qualcosa che trascende lo status di bene di consumo – in contrasto con la moda che sembra crogiolarsi nella sua natura commerciale.” Di conseguenza, secondo Steele, se l’arte è spesso accostata al “genio maschile”, la moda “per lungo tempo è stata associata alla vanità femminile – anche in periodi in cui il vestiario maschile era tanto stravagante e modaiolo quanto la sua controparte femminile.”

Adam Geczy e Vicki Karaminas, curatori della pubblicazione in questione, proseguono poi suggerendo che per due secoli moda e arte (che possiamo estendere al design) hanno “mantenuto un rapporto competitivo di odio-amore,” che sta ora scemando in favore di un approccio complementare. I due teorici sostengono che la perfromance è l’elemento cardine per la rinnovata affinità delle due discipline.

“A$AP Rocky con il suo Cactus customizzato per esempio proviene da un mondo totalmente differente da quello del design radicale, ovviamente, ma con Gufram e si è avvicinato a narrazioni dall'alto tasso mitologico. È come se ci fossero elementi invisibili che collegano questi mondi. Si crea dunque una chimica che funziona”.

Didero poi passa ad altri casi di nomi celebri dello starbiz che si sono confrontati con il design. “Jay-Z ha fatto cose nel mondo degli interni, ma penso anche a Brad Pitt che fa workshop di architettura. La casa è dove si trascorre più tempo, ecco perché rappresenta le persone più di un paio di jeans o delle scarpe indossate. Molte di queste figure stanno maturando, evolvono nei gusti e capiscono ciò,” riflette la critica.

Lo suggerisce anche il percorso di maturazione estetica e musicale di figure chiave della cultura in questione. Oltre al già citato Frank Ocean, anche Tyler, The Creator ha più volte messo in luce la sua ricerca sul design, tanto negli interni del negozio e dei pop-up del suo brand Golf Le Fleur, che in quelli domestici e nel suo parco auto.

All’ostensione social del lusso indossato, viene ora accostato quello degli interni, inseguiti come realtà Instagram-friendly. Capita così di imbattersi, scrollando il feed di Instagram, in influencer Gen Z su divani Dune rivestiti in tessuto Gucci, o distese infinite di selfie in specchio Ultrafragola di Ettore Sottsass Jr. 

Lo storico Cactus Gufram progettato da Drocco e Mello è stato recentemente rivisitato dal rapper statunitense A$AP Rocky. Foto: Gufram.
Lo storico Cactus Gufram progettato da Drocco e Mello è stato recentemente rivisitato dal rapper statunitense A$AP Rocky. Foto: courtesy Gufram.

Hype, fino a che costo?

C’è da domandarsi se, in fin dei conti, il design ne esca più come interlocutore attivo o martire di questa euforia. 

Emerge, inevitabile, il tema della democratizzazione del design non come concetto virtuoso vicino a una filosofia propria all’autoprogettazione di Enzo Mari, alla scuola scandinava del dopoguerra o a William Morris, bensì come democratizzazione dell’illusione dell’accesso al lusso.

Se pensiamo alla recente Design Week, a fare notizia, in alcuni casi, non sono stati tanto i progetti esposti quanto il fatto che la visita risultasse sold out da giorni o accessibile solo dopo lunghe code, anche di un paio di isolati.

La borsa disegnata da Gaetano Pesce per Bottega Veneta. Foto: Bottega Veneta.
La borsa disegnata da Gaetano Pesce per Bottega Veneta. Foto: courtesy Bottega Veneta.

Ne è esempio su tutti la collaborazione tra Gaetano Pesce e Bottega Veneta, i cui poster omaggio abbandonati nel cestino di una bicicletta sharing diventavano, nella notte, ambita e insperata preda potenzialmente speculativa degli ultimi flaneur del Fuorisalone. 

Rimane da decifrare se l’interesse verso l’opera di Pesce fosse mossa più da doverosa riverenza nei confronti del redivivo designer italiano (che si è conteso con Highsnobiety lo scettro di onnipresenza al Fuorisalone) o da un vago e confuso desiderio di ostensione, dal mettere le bandierine social sui must-see della Design Week. Di percepire il proprio posizionamento sulla scala socioculturale tutto d’un tratto elevato in virtù dell’aver frequentato – ma non necessariamente posseduto – un fenomeno facente capo a uno dei brand più gettonati del momento. Come se il condividere un qualcosa – sia esso un’opera d’arte, un prodotto commerciale o una canzone – sui propri account social equivalesse, in un fenomeno parzialmente iscrivibile entro la cultura NFT, a ribadire lo status sociale, in bulimica evoluzione, dell’individuo anche in assenza di un vero e proprio possesso materiale.

“Oggi il binomio moda-design viene sfruttato da praticamente tutti i marchi, a differenza di una decina di anni fa dove a farlo erano davvero in pochi, penso a Louis Vuitton o a Fendi a Design Miami,” spiega Didero.

Il rischio di questo fenomeno, sottolinea in conclusione Didero non senza perplessità, è di condurre a progetti in cui viene smarrito l’aspetto principale del disegno, ovvero quello produttivo e progettuale, per concentrarsi invece su marketing e la comunicazione. 

Immagine di apertura: Il Cactus Gufram in collaborazione con A$AP Rocky. Foto: courtesy Gufram.

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