Man walking down the side of a building

Ripreso alla Fondation Cartier, Man walking down the side of a building, un lavoro del 1970 di Trisha Brown, ne ha nuovamente sottolineato la pratica artistica concettuale ben oltre la danza.

Bandaloop Company, Man walking down the side of a building, Fondation Cartier 2016
Le recenti riprese alla Fondation Cartier, nel quadro del Festival d’Automne, (la prima volta fu nel 1973) di alcune creazioni storiche di Trisha Brown, dislocate e programmate in vari musei della città, sono state un’occasione più che mai necessaria per riconsiderare la mole del lavoro di questa artista. Il suo tocco unico è capace di relazionare la pratica coreografica con idee estremamente attuali, in una miriade di figure che oltrepassano la specificità della danza.
L’utilizzo critico della performance ha fatto di questa artista non solo un’icona della danza americana, ma ne ha radicato la pratica all’intersezione di discipline diversissime: dall’arte visiva all’architettura. La quasi totalità dei suoi concetti sono diventati cardini fondamentali nel ripensare la relazione del corpo con lo spazio. In particolare la ripresa di un lavoro impegnativo del 1970, Man walking down the side of a building, riproposto come baricentro  della sua ricerca, ne ha nuovamente sottolineato gli elementi di rilevanza nella pratica artistica concettuale.
Tutte le pieces di Trisha Brown sono imprescindibili per delineare una corretta storia della coreografia contemporanea. Lo sviluppo della danza postmoderna, pur citandola in continuazione e incorporandone intere fasi e frasi del repertorio, spesso dimentica di citarne gli episodi fondanti. Fortunatamente oggi, la Trisha Brown Dance Company ritorna spesso in luoghi altri e in spazi differenti e non teatrali. Ed è proprio in questi contesti che è possibile misurare i suoi apporti essenziali e le sue idee pivotali come la sua particolarissima gestione dell’uscita dalla dimensione della scena. La pratica di Trisha Brown ha non solo voluto misurarsi con l’impianto di idee minimali, ma le ha utilizzate con una mente attenta e rilassata, lavorando alla costruzione di una differente coscienza del corpo. Non la ricerca affannosa della tecnica e dei suoi problemi di trasmissione ma piuttosto la propulsione ai massimi livelli dell’idea di una non- danza. Rigore assoluto ancorato nella prossemica del gesto quotidiano. Il movimento nello spazio interroga tenacemente la contemporaneità.
Bandaloop Company, Man walking down the side of a building, Fondation Cartier 2016
Bandaloop Company, Man walking down the side of a building, Fondation Cartier 2016

Il programma parigino creato con la direzione artistica di Carolyn Lucas e Diane Madden ha riletto retrospettivamente l’impagabile sobrietà di gesti e spazi immergendo il lavoro di Trisha Brown nell’originalissima sonorità della mostra “Le Grand Orchestre des Animaux”, che è visibile fino a gennaio negli spazi della Fondazione. Un programma deambulatorio tra esterno e interno nella concretezza dell’ambiente sonoro disegnato da Bernie Krause, musicista e ricercatore bio-acustico americano. La prossimità di questo contesto punteggiato di ambienti sonori in via di disparizione immerge in una luce differente persino  la “brevissima” discesa dell’edificio di vetro e acciaio di Jean Nouvel.

La distanza dalla stessa “passeggiata” in bianco e nero sulla facciata di una palazzina in mattoni di SoHo, la si misura in decenni e tecniche di ripresa ma resta un evento. Un’idea radicale che scatena una marea di pensieri: sulla legge di gravità, sulla statica, sull’equilibrio. Un modo per sottolineare la capacita di Trisha Brown di ingenerare micro-rivoluzioni con semplici dispositivi. Il rivolgere e stravolgere l’attenzione dello spettatore verso spazi inusuali che altri artisti non avevano ancora investito. Trisha Brown ha spesso riguadagnato questa centralità per spazi che vivevano nell’indifferenza dello sguardo. Ha ripercorso e fatto ripercorre di volta in volta le prospettive inedite che potevano offrire alla sua danza i soffitti, i muri, gli angoli e perfino i tetti o gli spazi di raccordo.

Bandaloop Company, Man walking down the side of a building, Fondation Cartier 2016
Bandaloop Company, Man walking down the side of a building, Fondation Cartier 2016

Dalla complessità coreografica di un hangar di Newark fino alle strutture variabili dei tetti della downtown New York. Ora il suo repertorio può citare tutte queste “uscite”, dalle più urbane a quelle nella natura. Siamo di fronte a uno sterminato canovaccio per improvvisazioni, concetto centrale nella danza di Anna Halprin di cui Trisha Brown fu allieva o di Simone Forti con il quale divise la complicità degli esordi. Una ricerca che nutritasi e sopravvissuta allo shock dei primi happening, al teatro di Robert Whitman, ne ha incorporato stabilmente le vicende. Una missione demistificatoria dell’idea di spettacolo che parla e descrive un mondo fatto di luoghi danzabili e che include l’ipotesi di venire letto in termini “fisici” e di assemblaggio. Non esiste sofisticazione per una ricerca estremamente suggestiva che riduce la distanza tra i ballerini e il pubblico e ci invita a moltiplicare i punti di vista. Concetti, questi, attraversati dai tanti artisti, come Robert Rauschenberg, con cui Trisha Brown ha intessuto indimenticabili collaborazioni.

Anche dai lavori più semplici presentati in questo programma la specificità di cortissimi come Sticks IV, II (1973) o nei Leaning Duets (1970), della durata di tre minuti, è facile astrarre il suo interesse per l’instabilità delle situazioni.

Bandaloop Company, Man walking down the side of a building, Fondation Cartier 2016
Bandaloop Company, Man walking down the side of a building, Fondation Cartier 2016
Trisha Brown ha qualche volta evocato l’idea di essersi sentita osservata nelle sue operazioni come in una visione al microscopio. Nel percorso eccezionale di questa mostra alla Fondation Cartier, dove la danza dei microorganismi marini in una bellissima installazione dedicata al plancton ostenta un’eleganza inaudita, la qualità della sua ricerca si rivela amplificata nel rigore astratto e ha trovato una consonanza inusuale. Persino nella casualità del decoro delle installazioni sonore, diventa leggibile la contrapposizione alla lezione del binomio Merce Cunningham–John Cage depositario di una visibilità più potente, in voga agli esordi della carriera della coreografa. La Trisha Brown Dance Company continua a ridefinire gerarchie. Le due sessioni nello spazio parigino si sono rivelate  piene di risonanze indimenticabili. Una dislocazione temporanea tra  architettura, corpo, luogo e movimento.
Se il metodo per fare fluire l’energia attraverso la danza ha percorso tutte le direzioni più inusuali, è perché non si è arreso ai limiti delle costrizioni fisiche ed è entrato in una dimensione concettuale. Il lavoro di Trisha Brown si avvicina pericolosamente ai gesti dell’architettura di cui misura i gesti di sfida e ne rende praticabili porzioni di spazio, presentandoli al suo pubblico come superfici inedite.
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