Le Grand Restaurant

Per i suoi dieci anni di attività, il centro d'arte contemporanea Le Plateau si regala una nuova provocazione di Michel Blazy: un laboratorio-ristorante che ospita due avventori e una colonia di mosche che si nutre di sangue fresco.

Le Plateau, il centro d'arte contemporanea che a Belleville tutti considerano oramai come una Kunsthalle, festeggia i suoi dieci anni di attività. Questa zona di Parigi è ormai diventata – a pieno titolo – uno dei punti caldi per la ricerca artistica contemporanea con un'altissima frequentazione di pubblico. Gallerie private e istituzioni pubbliche non temono più il confronto qualitativo con le altre aree della città, più visibili soltanto grazie a un marketing istituzionale decisamente più aggressivo.

È davvero una provocazione, quindi, questa che lo spazio espositivo si offre (davvero difficile pensarla altrove). Per il pubblico è la ciliegina bella e curiosa con cui aprire la stagione e decorare la sua torta di compleanno: Michel Blazy e il suo Le grand Restaurant. Artista atipico, rivelato da una personale al Palais de Tokyo, Blazy propone un'opera globale e inedita che è un colpo paradossale di grande qualità. La metafora del cibo – e quella della sua decomposizione – fatta di alimenti quotidiani con i quali ha per tanti anni nutrito la sua pratica pittorica e scultorea si è oramai evoluta in direzione antropologica.

L'estraneità dei suoi sontuosi ambienti coperti di muffe, dove le tracce di nutrimento diventavano per lo più disegno e materia inattesa, improvvisamente concorrono non solo alla decorazione di questo spazio, ma funzionano realmente come alta capacità del vivente di generare alimenti molto più che molecolari. E ciò è vero per il pubblico che visita la mostra e ne perpetua lo sviluppo, ma anche per tutte le altre specie che partecipano al ciclo del vivente in un gargantuesco festino-laboratorio.

In apertura e qui sopra: Michel Blazy, Le Grand Restaurant, 2012. Photo Martin Argyroglo

Una maniera di rivelare e validare, con lo humour che contraddistingue l'artista, un numero di procedure essenziali sulla questione dell'alimentazione, nei suoi aspetti specifici come la simbiosi o il parassitismo, la propensione alla commensalità, come struttura antropologica del consumo prima animale che culturale. Il suo è un punto di vista teorico forte e molto efficace che piega a fini estetici il protocollo di produzione naturale: quel ciclo fabbricazione-consumo dove non esiste scarto, ma soltanto trasformazione. In fondo, i suoi quadri come i Paysage dérapage o i Monochrome chocolat o, ancora, le Choses acquatiques vivantes sono realmente rosicchiati e realizzati da ratti che appartengono alla stessa specie di Ratatouille e che abitano gli scarichi della Senna. Questa volta, però, Michel Blazy nell'utilizzare il vivente, animale o vegetale che sia, pur estraendolo dall'interno del suo giardino planetario in evoluzione, opera delle campionature precise in grado di rivaleggiare concettualmente con la filosofia che regola l'estetica degli stabilimenti blasonati a 3 stelle.

Michel Blazy, Avocat. Photo Martin Argyroglo

L'elegantissima pianta di avocado del 1997 dal titolo Avocat è più che un prezioso bonsai che decora la sala. Le attenzioni minuziose dell'artista assecondano lo splendido fenomeno naturale della rigenerazione. L'opera ambientale Le lacher d'escargot sur moquet marron del 2009, oltre a essere una trasfigurazione delle procedure dell'espressionismo astratto americano, ricorda i titoli pomposi e procedurali della nouvelle cuisine, ma è – a tutti gli effetti – il prodotto della bava dell'invertebrato così caro alla cucina francese intento a passeggiare su una moquette impregnata di birra.

Le attenzioni minuziose dell'artista assecondano lo splendido fenomeno naturale della rigenerazione.
Michel Blazy, La grotte, 2012. Photo Martin Argyroglo. FRAC Île-de-France / Le Plateau

Una serie di opere concorre alla produzione dell'esperienza della ritualità del mangiare: si va dall'attentato alla cena intima da consumarsi in vetrina, fino al fast-food. Allestito come un ambiente "a circuito chiuso", Le Grand Restaurant è un laboratorio-ristorante che ospita due avventori e una colonia di mosche che si nutre di sangue fresco. L'opera si rigenera in continuazione e la mosca aspetta di unirsi all'uomo nel banchetto. Dei panni per le pulizie in decomposizione decorano le vasche d'allevamento degli insetti e un delizioso tavolo di design, illuminato da lampade a infrarossi costituisce il decoro di questo privé "politically incorrect".

Bar à oranges. Photo Martin Argyroglo

Il pubblico consuma e lavora nel Bar a orange. Dalla spremitura delle arance e dall'accumulo ordinato dei gusci residui sui vassoi e mensole a muro si produrrà un calcolatissimo wall drawing alla Sol Lewitt. Un fenomeno di fermentazione che genera mosche drosofile e attira ragni e altri insetti. Tutto calcolato come nel concettuale più rigoroso. L'apoteosi della mostra è visibile nella grotta dalla texture organica che ricorda il pan brioché e il giardino di Bomarzo. È praticabile: al suo esterno cresce una piantagione di lenticchie e all'interno il bianco del cotone umido produce bizzarre stalattiti. A eccezione dei due eventi gastronomici previsti Le Grand Repas dell'11 ottobre e la performance Palu pas pris a El Bulli a novembre, la mostra e il Grand Restaurant sono aperti senza prenotazione.

A sinistra: Michel Blazy, Sculpture (par Jean-Luc Blanc), 2003-2007. Bucce d'arancia. Courtesy Art: Concept (Paris). © Michel Blazy. Photo Marc Domage. A destra: Le Grand Restaurant. Photo Martin Argyroglo
A destra: Michel Blazy, Le Lâcher d’escargots, 2009. lumache, moquette e insalatiera. Courtesy Art: Concept (Paris). © Michel Blazy. Photo Fabrice Gousset
Michel Blazy, Sans titre, 2011, uova, budino al cioccolato, farina, latte condensato zuccherato su legno morsicato da topi. Photo Fabrice Gousset