Tutte le mostre che ci saranno all’Hangar Bicocca nel 2026-27

Rirkrit Tiravanija, Janet Cardiff & George Bures Miller ma anche Luciano Fabro e Cecilia Vicuña: il programma 2026-2027 dell’istituzione milanese propone otto mostre che indagano il “rapporto vivo” tra pratica artistica e pratica architettonica. 

L'annuncio del biennio espositivo 2026-2027 di Pirelli Hangar Bicocca non si esaurisce nella calendarizzazione curatoriale, ma si impone come un dispositivo di indagine strutturale sulla condizione dell'uomo nella ipermodernità. La sequenza di otto mostre monografiche si trasforma da palinsesto a un tentativo deliberato di mappare, attraverso l'esperienza artistica, l'epoca contemporanea.

L'istituzione, insediata in una matrice architettonica ex-industriale, opera una meticolosa decostruzione della propria funzione, trasformandosi da luogo di conservazione a sito di ibridazione intensiva, un iper-funzionale non-luogomuseale che esige dal visitatore non più la contemplazione, ma l'attivazione.

Cecilia Vicuña performance con Cloud-Net, 1999. Courtesy l’artista e Lehmann Maupin, New York, Seul e Londra © 2025 Cecilia Vicuña / SIAE

La retorica della "visione organica" e dell'"esperienza pienamente accessibile", promossa dal Presidente Marco Tronchetti Provera e dal Direttore Artistico Vincent Todolí, piò essere letta anche come un’operazione di compensazione socioculturale. Riconoscendo implicitamente la disconnessione tra l'istituzione e la comunitas diffusa, essa cerca di ricucire il tessuto sociale attraverso l'arte performativa e relazionale, utilizzando l'accessibilità come vettore di legittimazione democratica.

L'arte qui si trasforma come fatto civile, ovvero come strumento per riassegnare senso agli spazi altrimenti vuoti della funzione produttiva dismessa. La Navata e lo Shed, da luoghi industriali, si riconfigurano in eterotopie temporanee, campi di sosta e di transito per le narrazioni critiche del contemporaneo.

La selezione curatoriale si articola in una doppia traiettoria analitica: la critica del corpo relazionale e la critica dello spazio del potere.

L'arte qui si trasforma come fatto civile, ovvero come strumento per riassegnare senso agli spazi altrimenti vuoti della funzione produttiva dismessa.
Benni Bosetto Stultifera, 2022. Courtesy l’artista e Emanuela Campoli, Parigi/Milano Foto Valentina Cafarotti

Il segmento iniziale del 2026 si concentra sulla decostruzione del legame sociale e dell'intimità corporea nella civiltà dell'isolamento controllato. Benni Bosetto interroga l'architettura domestica non come rifugio (il luogo identitario per eccellenza), ma come "casa inquieta", una membrana tra interno ed esterno, dove il riposo e l'intimità si configurano come atti di resistenza non produttiva.

È la sospensione temporale del gesto quotidiano che si fa critico.
Questa sospensione trova la sua massima espressione nel lavoro di Rirkrit Tiravanija. La sua pratica relazionale, attraverso la cucina e la condivisione di spazi di riposo, agisce come una microsociologia dell'incontro forzato, trasformando lo spazio espositivo in un luogo di transito intersoggettivo. Le installazioni che mimano l'architettura moderna non sono citazioni stilistiche, ma un commento sulla futilità utopica dei progetti abitativi novecenteschi di fronte alla necessità del “fare insieme” primario.

Janet Cardiff & George Bures Miller, The Killing Machine, 2007. Courtesy gli artisti e Luhring Augustine, New York. Foto Seber Ugarte & Lorena López

Aki Sasamoto completa l'indagine dissezionando i comportamenti umani in termini di "costellazione di manie e contraddizioni", evidenziando la fragilità rituale che sottende la socialità nel non-luogourbano. L’esposizione dedicata a Luciano Fabro funge da riconnessione, ancorando l'istituzione alla genealogia dell'Arte Povera, un movimento che per primo ha tematizzato la relazione dialettica tra l'oggetto scultoreo, lo spazio espositivo e la materialità precaria.

Luciano Fabro con Iconografie, 1975, durante l’allestimento della mostra personale “Letture parallele IV”, PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano, 1980. © Archivio Fotografico A. Guidetti e G. Ricci. Foto Giovanni Ricci

Il 2027 proietta l'indagine sul piano dell’ecologia politica e della sensorialità de-gerarchizzata. Carlos Bunga utilizza la precarietà materica (cartone, tessuti) per affrontare l'architettura come struttura di potere. La sua opera è un atto di decostruzione dello Shed, rendendo palpabile l'effimero e l'instabilità che definiscono le esistenze marginali. L'architettura è ridotta alla sua vulnerabilità strutturale, un commento sulla disfunzione del controllo urbano. Janet Cardiff & George Bures Miller, coppia artistica ormai consolidata, operano un fondamentale spostamento sensoriale: sostituiscono l'egemonia dello sguardo con quella dell'ascolto.

Il segmento iniziale del 2026 si concentra sulla decostruzione del legame sociale e dell'intimità corporea nella civiltà dell'isolamento controllato. Il 2027 proietta l'indagine sul piano dell’ecologia politica e della sensorialità de-gerarchizzata.

Le loro “passeggiate sonore” trasformano il visitatore in un esploratore acustico che ricostruisce la realtà attraverso la stratificazione della memoria personale e collettiva. È la creazione di una realtà aumentata attraverso il medium immateriale del suono. La sezione si conclude con l'analisi della materialità primordiale e della resistenza ancestrale. Hicham Berrada istituisce lo Shed come laboratorio dei processi naturali, dove magnetismo e reazioni chimiche diventano performance autonome, indagando il paesaggio come entità in perenne trasformazione.

Infine, Cecilia Vicuña oppone alla violenza strutturale della surmodernità i saperi ancestrali e i materiali poveri (lana, quipu). La sua arte è un atto politico di memoria ecologica, trasformando lo spazio espositivo in un archivio vivente che resiste all'oblio e alla mercificazione.

Aki Sasamoto, Delicate Cycle, 2016. Courtesy l’artista e SculptureCenter, New York. Foto Kyle Knodell

Il programma di Pirelli Hangar Bicocca per il 2026-2027 si presenta forse come un percorso critico che utilizza l'arte per esplorare le frizioni del mondo piccolo (l'intimità, il corpo, la relazione) e del mondo grande (l'architettura, il potere, l'ecologia).
L'istituzione stessa diviene un acceleratore sociale che genera luoghi temporanei di intensa identità, relazione e storia critica, garantendo la propria pertinenza attraverso la promessa di inclusione (testimoniata dal Public Program e dai protocolli di accessibilità) che ne sostiene la legittimità etica e sociale.

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