Come da tradizione il numero di Dicembre di Domus porta il dibattito dal mondo all’Italia. Quest’anno, fuoco dell’attenzione è la cura del patrimonio, che nelle pagine del numero 1107 di Domus diventa una vera strategia, politica e culturale, in cui l'architettura diventa strumento indispensabile di rigenerazione e visione.
Nel suo editoriale di presentazione, il direttore Walter Mariotti lo ribadisce: l'architettura è un vincolo di democrazia (ex Articolo 9 Costituzione) e la cura del patrimonio non è filologia ma la risorsa strategica per arginare la “necrosi del Belpaese”.
L'architettura, insomma, come gesto politico, etico e culturale, che tesse i fili tra memoria e futuro. Come al solito a dicembre Domus fa il tour d’Italia selezionale alcuni progetti, in questo caso di cura, rispetto e restituzione che vanno dalla scala del dettaglio edilizio alle grandi visioni urbane. O meglio, più che progetti architettonici veri atti di intelligenza collettiva e d’immaginazione.
S’inizia da Milano con un’idea di Park Associati che, come racconta Luisa Castiglioni, dimostra come la città non sia un’entità da sostituire bensì un “archivio di possibilità” da rigenerare per stratificazione (Palazzo Missori e Terrazza Biandrà). Sempre nel capoluogo lombardo, Alessandro Benetti presenta invece il progetto di Andrea Angeli – Conarchitettura - che trasforma un frammento incompiuto nell'urbano, come un ex parcheggio, nel virtuoso Giardino Pepe-Borsieri. Ancora a Milano la cura si estende fino alla liturgia del dettaglio d'autore: Gregorio Pecorelli affronta il restauro sartoriale di un interno della Casa Sissa di Gio Ponti, lavorando in una sapiente ”micro-monumentalità” il testo a cura di Manolo De Giorgi.
Ancora Benetti ci porta a Costabissara, dove RigonSimonetti innestano nuove funzioni di lavoro e ospitalità nella seicentesca Villa Donà. A Roma invece è Luca Galofaro a raccontare come Alvisi Kirimoto abbia restituito alla Basilica di Massenzio la sua funzione di spazio pubblico con gesti misurati, trasformandola in una solenne “rovina vivente”. Persino la tecnologia diviene narrazione: Dotdotdot utilizza specchi magici e realtà aumentata per animare i Castelli di Cannero e il Castello di Thiene.
La cultura si fa motore di coesione sociale: l'associazione Architetti Artigiani Anonimi, un testo a cura di Annarita Aversa, produce il Vademecum open source per la cura del paesaggio della Costiera Amalfitana, mentre in Sardegna ci accompagna Isabella Inti, dove LandWorks rigenera il borgo minerario di Argentiera. Davide Vargas espone la lezione di Corvino + Multari. I due architetti lavorano sull'adeguato e il possibile, e la città è il loro vero cliente.
La cura del patrimonio italiano diventa una vera strategia culturale e politica: l’architettura si mostra come strumento indispensabile per la rigenerazione e la visione del Paese.
Il numero culmina con le grandi visioni strategiche per l'Italia. Toshiko Mori, professore ad Harvard e Guest Editori di Domus nel 2023, affronta la sfida di collegare gli spazi interstiziali tra le oltre 60 microcittà di Perugia. A Roma invece, il Lab050 Roma050 di Stefano Boeri disegna la metropoli del 2050 come ArcipelagoRoma, un sistema integrato che prevede l'atto politico di liberare 2 milioni di m² di immobili governativi per il ripopolamento del centro storico. L'ultima pagina del giornale, definita ossimoro. È dedicata a un progetto di MAB Arquitectura che definisce la conservazione trasformativa. Nella tradizione di Domus la copertina è un progetto a sé e questa volta l’autore è Federico Babina, artista architetto che visualizza le logiche del riuso ribadendo come l'architettura sia l'atto iniziale e finale per garantire una Memoria del Futuro.
Come ogni numero di Domus, anche Dicembre – che fa da spartiacque tra un Guest Editor e l’altro – contiene pagine dedicate all’attualità più stretta. Sono quelle della sezione d’apertura, Diario, che si apre con l’articolo di Antonio Armano che ci porta a Shanghai per il festival “Shanghai Picnic” del RAM: qui l'architettura deve cedere il passo alla convivialità, un gesto che si pone agli antipodi delle monumentali “piazze del potere” orientali.
Questo imperativo si ritrova nell'analisi di Francesco Franchi sulla nuova estetica politica della campagna del neosindaco newyorkese Zohran Mamdani e nella riflessione di Paola Carimati su human design e inclusione. La visione del futuro però come si diceva non può prescindere dalla memoria del passato. Ce lo ricorda Simona Bordone riaprendo l'Archivio con l'editoriale di Ernesto Nathan Rogers del 1946 sulla crisi abitativa postbellica che poneva già il problema della morale.
Da parte sua, la direttrice di Artek, Marianne Goebl, in un’intervista con Elena Sommariva sposta l'asse della sostenibilità sulla qualità, chiedendo una nuova estetica che accetti l'irregolarità. Questa ricerca trova riscontro nel lavoro di Domenico Orefice e Fornace Curti sul cotto lombardo. Marco Pierini, storico dell’arte, ci invita a considerare la cultura come un imperativo per il benessere psicofisico, e Carla Morogallo, direttrice generale di Triennale Milano, testimonia un turning point con l'istituzione che è diventata una vera “impresa creativa”. Infine, il fisico Roberto Battiston ci ricorda che il calore è la “tassa” che paghiamo per il lavoro, e Javier Arpa Fernández la necessità di dare un nome ai Territori urgenti del pianeta per non rassegnarsi a un'emergenza inevitabile.
L'architettura non è solo progetto, ma un gesto politico, etico e culturale: una pratica che intreccia memoria e futuro.
Per quanto lo sguardo di Domus Dicembre sia centrato sull'Italia, il palcoscenico globale dell'architettura si rinnova e la ricerca della frontiera dell’architettura porta a Pechino attraverso la monografia allegata al numero del nuovo Guest Editor. Infatti, dopo otto anni di fecondi dialoghi con le più brillanti menti dell’architettura, (Michele De Lucchi, Winy Maas, David Chipperfield, Tadao Ando, Jean Nouvel, Steven Holl e Toshiko Mori, Norman Foster e Bjarke Ingels) Domus inaugura il suo nono ciclo accogliendo Ma Yansong come nuovo Guest Editor. Cinese, visionario, instancabile tessitore di sogni in calcestruzzo e vetro, Ma Yansong incarna una cifra stilistica che è insieme audacia concettuale e profonda reverenza per il paesaggio.
L'opera di Ma non è un semplice costruire, ma un vasto programma di rigenerazione poetica che si estende, come nota il critico Aaron Betsky, dall’urbanistica utopica alla creazione di curve. Pur attendendo il suo capolavoro più visibile, il Lucas Museum of Narrative Art a Los Angeles, Betsky ha già intravisto una bellezza ancor più esplosiva nel Fenix Museum of Migration a Rotterdam. A gettare un fascio di luce sulla vocazione narrativa di Ma è proprio il regista e produttore George Lucas, suo committente e amico: Lucas voleva un edificio inconfondibile, che non si concentrasse su funzione o tecnologia, ma su come luce e spazio potessero suscitare la curiosità del pubblico, una questione profondamente emozionale.
Non ci resta che augurarvi una buona lettura, con la consapevolezza che le domande sono state poste e i cantieri concettuali sono aperti. Vi diamo appuntamento a gennaio 2026, quando la visione di Ma Yansong – espressa nel suo Manifesto allegato al numero di dicembre – si distenderà nel numero di gennaio, chiamandoci a misurarci con la prossima, ineludibile, trasformazione di Domus.
