A Villa Noailles, nel complesso architettonico disegnato da Robert Mallet-Stevens a Hyères, in Camargue, una mostra dedicata alla missione Dakar-Dijbouti racconta i legami tra arti, scienze e museografia, rivelando il ruolo di Charles e Marie-Laure de Noailles nella fondazione del Musée de l'homme, il museo etnografico di Parigi che dopo il riallestimeno di Jean Nouvel a Quai Branly, riaprirà le porte al Trocadero nel 2015 con un nuovo assetto ideato dallo studio Brochet-Lajus-Pueyo, dove sarà mostrato il resto della collezione permanente.
Manufatti artigianali, oggetti, fotografie, scritti e riviste provenienti dal Musée de l'Homme e da Quai Branly, ma anche da raccolte universitarie, archivi, biblioteche e da collezioni private si aggiungono al fondo documentale di Villa Noailles per comporre il mosaico di relazioni intellettuali intessute dei coniugi de Noailles da cui prende corpo, nel crogiuolo dell'age d'or, una spedizione africana, destinata a cambiare radicalmente il concetto di museo etnografico. Allestite nell'edificio progettato da Mallet-Stevens, dove dal 2009 le stanze, prive degli arredi originali, sono dedicate a ricostruire attraverso tematiche architettoniche e artistiche i legami tra le diverse espressioni dell'arte moderna, maschere dei Dogon, figure zoomorfe del Bénin, teste scolpite del Mali, sedili e strumenti musicali in uso presso le popolazioni indigene africane all'inizio del secolo scorso, ripercorrono la nascita di un museo e il mecenatismo poliedrico dei Noailles.
Missione Dakar-Dijbouti
Una mostra a Villa Noailles ripercorre le tappe di una spedizione africana destinata a cambiare radicalmente il concetto di museo etnografico e svela il ruolo di Charles e Marie-Laure de Noailles nella fondazione del Musée de l'Homme di Parigi.
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- Cristina Fiordimela
- 06 settembre 2012
- Hyères
Ad aprire il racconto della mostra, sono le parole di Marie-Laure: "La città di Amsterdam è assetata di urbanismo, case tra loro identiche si estendono per chilometri, circondando la vecchia città baudeleriana dei canali. Qui abbiamo incontrato Georges-Henri Rivière, molto entusiasta di questa architettura e dello spirito nordico. Era ospite del barone Van der Heyd, il collezionista di oggetti negri [...] una sorta di ritorno alla natura e all'umanità, di cui noi sentiamo il bisogno e che voi mi sembrate risolvere magnificamente con la vostra spedizione". È il 6 settembre 1932 e la costruzione della residenza disegnata da Mallet-Stevens, si è appena conclusa dopo otto anni di lavori, quando Marie-Laure invia questa lettera allo scrittore Michel Leiris, in missione da oltre un anno all'altro capo del mondo, tra l'Oceano Atlantico e il Mar Rosso.
Insieme all'artista Gaston-Louix Roux, al musicologo André Schaeffner, ai linguisti Jean Mouchet e Deborah Lifchitz, al geografo Abel Faivre, all'etnologo Jean Moufle e all'operatore tecnico Eric Lutten, Leiris percorrerà 800 chilometri allo scopo di documentare le culture delle popolazioni che abitano tra il Senegal e l'Eritrea. A guidare la spedizione, divenuta celebre con il nome di Missione Dakar-Djibouti, è il giovane esploratore Marcel Griaule. Se il contesto politico in cui prende avvio la missione è ancora dominato dagli interessi coloniali, i resoconti di viaggio ne denunciano l'azione devastante, ponendo per la prima volta l'attenzione sulla necessità di salvaguardare un vasto e, a quell'epoca ancora inesplorato, patrimonio culturale che le mire espansionistiche occidentali rischiavano di fare scomparire. La ricerca sul campo, durata 22 mesi, mette in pratica le tesi elaborate da Marcel Mauss, padre dell'etnografia moderna, basata sull'indagine sociologica che avvia la sperimentazione di nuovi metodi di studio e di narrazione. La cultura africana è svincolata dal "fascino per l'esotico", cui era ancora relegata e resa attraverso il racconto delle varietà linguistiche, della storia, dei miti, dei valori e delle regole sulle quali si fonda la vita all'interno delle comunità autoctone. Per la prima volta, sono studiati anche i riti, le danze, le musiche che ricollocano manufatti e immagini ai contesti simbolici e culturali dei popoli, ma anche agli usi di strumenti, di arredi, di costruzioni vernacolari rapportate alla lavorazione artigianale e alle caratteristiche orografiche del sito. Elemento innovatore della ricerca è l'integrazione tra scienze umanistiche e arti, promossa dai coniugi Noailles. I diari di viaggio dello scrittore Leiris, usciti con il titolo emblematico di L'Afrique fantôme (L'Africa fantasma), faranno da detonatore nell'accendere la polemica sulle imprese coloniali, i fotoreportage di Griaule e i documentari da lui diretti anticipano l'evolvere di una professione indipendente. Dagli studi di Schaeffner (Les Origines des Instruments de Musique, 1936) deriva una nuova branca della musicologia. Occasione persa per Luis Bunuel che declina l'invito di Charles de Noailles a partecipare alla spedizione.
L'apporto dell'arte nelle sue diverse espressioni, dalla lettura alla fotografia, dalla musica al cinema, rispecchia il mecenatismo della coppia, impegnata a sostenere e promuovere artisti e intellettuali. Non è un caso dunque che Leiris, Roux e Schaeffner collaborino al periodico Documents, sostenuto dai Noailles e che la rivista surrealista Minotaure funga da catalogo della mostra inaugurale al Museo Etnografico del Trocadero (MET) –futuro Musée de l'Homme – dove confluiscono i reperti e gli studi della missione: 3.600 oggetti, 300 manoscritti, 6.000 fotografie, 200 registrazioni sonore rivoluzionano non solo il modo di guardare ai Paesi d'oltremare, ma anche il concetto di museo etnografico. Non si tratta, come spesso avviene, di una spedizione commissionata da un collezionista che lascerà in lascito a un museo la sua raccolta né, come era stato per le precedenti esposizioni coloniali che diedero fondamento al MET, un ensemble eclettico disposto in una sorta di bric à brac, alla maniera "di un mercatino delle pulci", come osserva Picasso mentre visita il vecchio allestimento nel 1907, affascinato dalla scultura delle maschere africane. Il valore e il significato della missione Dakar-Dijbouti è proprio nella rottura con l'approccio folkloristico, a favore di una cultura delle arti e delle tradizioni popolari che deve attivarsi da un lato sul campo con nuovi approcci alla conoscenza delle comunità e del loro modo di abitare, dall'altro nel museo con il progetto di allestimento, pensato come interfaccia mediatica e pedagogica tra gli studi scientifici e i diversi livelli di sapere del pubblico. Regista principale di questa modernizzazione, divenuta caposaldo delle discipline museali antropologiche, è George-Henri Rivière, di cui Charles de Noailles apprezza la cura di una mostra sulle arti precolombiane, al Pavillon de Marsan.
È ancora de Noailles l'artefice dell'incontro tra Paul Rivet, neo direttore del MET e Rivière, critico della rivista Cahiers d'Art, un tempo manager di Josephine Baker, che aprirà gli eventi musicali in occasione dell'apertura della mostra Dakar-Dijbouti, nel 1933. I criteri di raccolta del materiale della spedizione, elaborati da Rivet e Rivière nell'aprile del 1931, sono pubblicati e distribuiti grazie agli introiti di un gala di boxe organizzato per sostenere le spese di equipaggiamento della missione. Tra i maggiori finanziatori dell'impresa ritroviamo, oltre ai Noailles, Picasso e lo scrittore drammaturgo Rayomond Roussel. Durante la missione, alla quale ne seguono altre guidate dallo stesso Griaule, Rivière pone le basi per un rinnovamento radicale nell'ordinamento museologico e nell'allestimento museografico del museo etnografico, che si concreta dapprima con la fondazione del Museo di arti e tradizioni popolari, predisposto nel seminterrato del Trocadero e, il 20 luglio 1938, con l'istituzione del Musée de l'Homme, nell'edificio ricomposto da Carlu, Boileau e Azéma, che ne hanno amplificato la capienza portandolo da 17.000 40.000 mq.
L'estetica del vuoto, un vuoto scenografico privo di ricostruzioni e di manichini travestiti, conforma gli allestimenti messi a punto da Rivière, dove la gerarchia della disposizione spaziale è data da ciascun oggetto esposto, per cui è studiata ad hoc una presentazione appropriata. Abolite le disposizioni a ventaglio, l'oggetto è isolato, sospeso con fili sottili, forse già con il nylon da poco inventato, per essere osservato a tutto tondo in un percorso chiaro, dove ampio spazio è dato a una pedagogia che rinnega l'approccio paternalistico per affidarsi ai testi, alle mappe e alle foto, ossia a quegli strumenti usati da scienziati e artisti nella ricerca svolta sul campo. Il raggruppamento per famiglie di oggetti è adottato per letture comparate o d'insieme, supportate da ragionamenti scientifici. Sono principi di allestimento che faranno scuola oltre confine, non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti.
Le esperienze messe in atto al Musée de l'Homme e al Museo di arti e tradizioni popolari, confermano la museologia e la museografia come discipline scientifiche, e nel contempo comincia a delinearsi l'idea di museo come complesso più articolato dove trovano spazio gli archivi fotografici, una biblioteca di ricerca, strumenti e aree per la comunicazione pedagogica. Se l'allestimento non è mai neutrale, in quanto esprime una interpretazione di ciò che è mostrato, l'identità di un museo in quanto luogo di cultura è anche espressione di un pensiero politico – sosteneva Fredi Drugman, docente di museografia e fondatore della collana Museopoli per Clueb Edizioni – così il Museo del Trocadero, con Rivet, Rivière e Noailles, diventa portavoce di una posizione politica oltre che culturale in aperto contrasto con le esposizioni coloniali che continueranno a proporre una visione demonizzante e frivola della civiltà africana. "La missione profonda del Musée de l'Homme – scrive Rivière – è quella di costruire gli archivi dell'umanità". La lezione di Rivière pervade questa mostra estiva a Villa Noailles, un collage tra oggetti, luoghi e persone, dove l'accezione casa-museo si arricchisce di significato, oscillando tra le stanze musealizzate disegnate da Mallet-Stevens, l'intreccio tra arte e scienza che attraversa le vite dei suoi abitanti e la storia di un museo, resa possibile dall'incontro tra saperi e passione per la conoscenza.