Questo articolo è stato pubblicato su Domus 949, luglio/agosto 2011
Carsten Höller vede doppio. Dall'inizio della sua carriera, questo artista nato in Belgio, cresciuto in Germania e ora trapiantato a Stoccolma ha giocato con ripetizioni simmetriche e riflessi specchianti. L'intera sua opera è attraversata dal fantasma del doppio: sculture che si ripetono identiche a se stesse, una accanto all'altra, gemelli che si parlano dalle finestre di due video, gigantesche installazioni perfettamente speculari.
All'inizio della sua carriera, Höller ha anche firmato una serie di opere in collaborazione con l'artista tedesca Rosemarie Trockel, di fatto sdoppiandosi in un altro autore. E leggendaria è divenuta un'esposizione parigina in cui Höller e Maurizio Cattelan hanno presentato una serie di opere identiche, cancellando di fatto ogni distinzione stilistica e ogni senso di proprietà.
La mostra Japan Congo è un nuovo esperimento del dottor Höller: un'esposizione itinerante inauguratasi a Le Magasin di Grenoble – e poi passata al Garage di Mosca, prima di arrivare a Milano in novembre – in cui l'artista presenta una selezione di opere dalla collezione Pigozzi, nota soprattutto per le importanti acquisizioni d'arte africana a partire dagli anni Novanta. Come suggerisce il titolo, però, nella sua interpretazione della collezione Pigozzi Höller ha deciso di scompaginare le carte e presentare solo artisti congolesi, affiancati a una serie di opere di artisti giapponesi, che rappresentano un lato più sconosciuto della collezione.
La mia Africa
Luogo dell'anima piuttosto che realtà sociale e geografica, il continente africano è per Carsten Höller la meta ideale per un viaggio di formazione. Un terreno elettivo per mettere in atto esercizi di collage culturale.
View Article details
- Massimiliano Gioni
- 22 agosto 2011
- Parigi
Per la mostra, Höller ha concepito uno spazio che è costruito come le sue installazioni e i suoi ambienti sperimentali: una serie di corridoi che sembrano ispirarsi più ai cunicoli di un labirinto per cavie da laboratorio che agli spazi di un museo. Su una parete ricurva si susseguono, accatastate come quadri a un salon des refusés, tele e dipinti di artisti africani. Sulla parete opposta, invece, sono installate le opere di artisti giapponesi. L'accostamento appare così arbitrario da ribaltarsi nel suo opposto: una tassonomia che, chissà come, pare rivelare connessioni segrete tra mondi lontanissimi. D'altra parte, questa è un'altra delle strategie tipiche di Höller: l'artista, infatti, si affida spesso a una regola, o a un sistema di regole, e le segue diligentemente, al punto da rivelare la completa assurdità di qualsiasi forma di organizzazione e classificazione.
L'esempio forse più estremo di questo atteggiamento classificatorio si può rintracciare in un altro progetto in cui Höller si trova a interpretare un ruolo che apparentemente ha assai poco di artistico. Se per Japan Congo gioca con le opere d'arte altrui e si trasforma in curatore, in The Double Club (una discoteca, ristorante e club perfettamente funzionanti che l'artista ha gestito a Londra per sei mesi tra il 2008 e il 2009) Höller s'improvvisa impresario e direttore del circo. Scisso tra Nord e Sud, tra Africa ed Europa, il Double Club serviva cibo congolese e cibo europeo che i clienti dovevano scegliere da due menù perfettamente identici e speculari. Lo spazio stesso era suddiviso in una sezione europea e una congolese, e il DJ alternava successi occidentali a ritmi africani, mentre il pubblico ballava su una pista che girava al ritmo lentissimo di una rivoluzione all'ora...
Nella sua interpretazione della collezione Pigozzi, Höller ha deciso di scompaginare le carte e presentare solo artisti congolesi, affiancati a una serie di opere di artisti giapponesi, che rappresentano un lato più sconosciuto della collezione.
I temi tipici dell'opera di Höller (allucinazioni, anamorfosi e distorsioni) vengono nel Double Club messi in scena in uno spazio reale in cui il pubblico può partecipare senza necessariamente rendersi conto di essere parte di un'opera d'arte. Come già in molte sue opere, la scultura si svolge letteralmente attorno allo spettatore. Ma in Double Club l'esperimento è ancora più complesso perché, come in Japan Congo, l'idea della distorsione si applica non solo a spazi fisici ma anche a una dimensione culturale. Il Double Club mette in scena un esperimento d'integrazione culturale in cui non c'è spazio per alcuna forma di fusione o meticciato: è piuttosto una forma di giustapposizione e di contrasto in cui espressioni culturali africane ed europee si susseguono in frammenti e schegge perfettamente indipendenti.
Naturalmente c'è anche chi ha visto nel Double Club una forma di esotismo tipico della cultura occidentale nei confronti dell'Africa. In realtà le sculture sociali di Höller sono esperimenti di convivenza più o meno forzata, esercizi di collage culturale. E poi c'è da dire che sia il Double Club (di cui peraltro un piccolissimo frammento è in mostra attualmente presso il distaccamento veneziano della fondazione Prada a Ca' Corner della Regina), sia la mostra Japan Congo devono più alle impressioni d'Africa del poeta proto-surrealista Raymond Roussel che agli studi post-coloniali. Quella di Höller, cioè, è un'Africa letteraria, inventata, un luogo dell'anima piuttosto che una realtà sociale e geografica. E come Roussel, che si recava in Africa ma non lasciava mai la propria stanza d'albergo, così Höller viaggia regolarmente in Africa dagli anni Novanta, prima in Benin, poi in Congo e ora, ogni sei mesi, come un uccello migratore, in Ghana, dove sta costruendo una casa che è metà abitazione e metà scultura, un altro ambiente sperimentale in cui l'artista si ritroverà, questa volta, a essere la cavia di se stesso. Massimiliano Gioni, Critico e curatore d'arte