Nel lavoro dell'Anziché, la relazione con gli oggetti è il nucleo da cui si propaga il movimento dell'opera e ne definisce il campo di azione formale, quello che Francesca Pasini, curatrice della performance, individua nel gioco di rimandi tra tessuto, testo e tetto, come il "canovaccio formale". Scrive, infatti: "Nella performance Tapis-à-porter l'oggetto preso a testo ha valenze che coinvolgono una particolare idea architettonica. Il tappeto è di per sé metafora di un testo dove trama e ordito creano un intreccio (textum), che nella sua variante tectum acquista il significato di tetto. La costruzione testuale e quella architettonica trovano dunque una parentela che è metafora dell'abitare umano, costituito di parole, pensieri, case, suolo e cielo. Il tappeto ne è da un lato un ornamento, dall'altro una protezione, esattamente come lo sono le parole che si intrecciano in un testo, i fili che compongono trama e ordito, le travi e le tegole che servono per costruire il tetto".
Per indagare il potere del tappeto di 'agire', di attivare l'azione, Anziché realizza preliminarmente Tapis accroché, un'opera che si potrebbe dire propedeutica, perché nella sua forza di figura – il lavoro confluisce infatti in una serie di fotografie – sembra esserle servita quale punto di partenza per mettere a fuoco le potenzialità di un oggetto scelto appunto per la sua forza di "dispositivo di interazione". Già in lavori precedenti, per esempio in Functional Fake objects (2007), Flash Out (2008), White Wooden chair (2006), la relazione strettissima con gli oggetti diventa il luogo dell'azione nella sovrapposizione di significati e relazioni che appartengono a due aree di espressione genericamente separate (il design, e l'espressione corporea incarnata dalla danza). Il dialogo tra il corpo e gli oggetti si offre al di fuori delle regole: imprevedibile, contingente, ha l'effetto di liberare energia.
Che il riferimento sia ai Parangolé di Hélio Oiticica, o ai suoi Penetráveis (più che opera, "il luogo dove si fonda l'esperienza artistica"), oppure al lavoro di Lygia Clark, ai suoi roupa-corpo-roupa (definite da Pierre Restany in una Domus di un lontano 1967 "oggetti sensoriali", "vestiti a divisioni multiple, scafandri che si infilano a due, e che presentano zone tattili, destinate al contatto alternato – una metodologia della comunicazione gestuale, 'attiva'…"), oppure al lavoro di Tobias Rehberger (suo maestro alla Städelschule di Francoforte), oppure altro, è come se soltanto attraverso il movimento – e le azioni coreografate che sono la sua grammatica – la Anziché riuscisse a tracciare il flusso del pensiero (e delle forze operanti in esso) perché similmente a ciò che ha rilevato Rebecca Solnit nella sua Storia del camminare "se i moti della mente non possono essere tracciati, quelli dei piedi invece sono riconoscibili". Nello stesso modo il flusso del pensiero trova espressione nel movimento come accade, per esempio, nell'atto di camminare quando "il ritmo del passo genera una specie di ritmo del pensiero" e "la mente, il corpo e il mondo" si trovano allineati come se fossero "tre personaggi che finiscono per dialogare tra loro, tre note che improvvisamente formano un accordo" poiché "camminare ci permette di essere nel nostro corpo e nel mondo senza esserne sopraffatti. Ci lascia liberi di pensare senza perderci totalmente nei pensieri"