5 architetture dimenticate che probabilmente non conosci

Dopo l’esperienza come collettivo virtuale nato in un gruppo Facebook, Forgotten Architecture diventa un libro. Presentiamo qui una selezione dei progetti che potresti ancora non conoscere, commentanti dalla curatrice del volume Bianca Felicori.

Yutaka Murata, Padiglione del Gruppo Fuji, Osaka, Giappone, 1970 Capitolo architettura effimera

L’Esposizione Universale di Osaka del 1970, la prima tenutasi in Asia, è passata alla storia per l’elevato grado di sperimentazione e inventiva dei padiglioni progettati dagli architetti. Intitolata “Progresso e Armonia per l’Umanità”, l’evento si pone come l’obiettivo di mostrare al pubblico l’applicazione di tecniche moderne, sottolineando in parte anche l’impatto negativo che l’industrializzazione e il progresso scientifico hanno avuto sul sistema ecologico globale. Per Expo 1970 Yukata Murata, con Mamoru Kawaguchi, progetta la grande struttura pneumatica del padiglione Fuji. Il padiglione ha una base formata da un cerchio di 60 metri di diametro, è alta 30 metri ed è formata da sedici enormi tubi pneumatici uniti tra di loro a formare la volta della copertura – questi sono stati gonfiati in loco fino a raggiungere la posizione esatta definita nel progetto esecutivo. “I progetti effimeri, ovvero i progetti il cui ciclo di vita è molto breve, sono la tipologia architettonica che viene dimenticata con maggiore facilità. In particolare i progetti realizzati per le grandi Expo, seppur di grandissima qualità, nel corso del Novecento hanno avuto un successo temporale per poi rimanere vittime dell’oblio della memoria”.

Manifestazione: Expo 1970, Osaka (Giappone), 15 marzo-13 settembre 1970. Progetto: padiglione temporaneo per Esposizione Universale. Crediti immagini: Dante Bini. Segnalato da: @Bianca Felicori

Alessandro Anselmi e Paola Chiatante, Cimitero Comunale di Parabita, Lecce, Italia, 1967-1982 Capitolo architettura cimiteriale Tra il 1967 e il 1982 Alessandro Anselmi e Paola Chiatante progettano il nuovo cimitero comunale di Parabita, in provincia di Lecce, concepito come un insieme di edifici legati tra loro in un disegno spaziale unitario. “Il progetto del cimitero di Parabita” racconta Anselmi “nasce in un’atmosfera di confronto e di polemica nella situazione dell’architettura italiana ed europea di quegli anni […]. La nostra ossessione era rivolta a due categorie che consideravamo costitutive della dinamica concettuale dell’architettura: la geometria e la storia, il rigore e la coerenza della forma, cioè l’immagine che la forma aveva assunto in momenti particolarmente significativi del divenire umano […]. Operammo perciò una manipolazione dell’archetipo, una distorsione dell’immagine per mezzo di un atto formale semplice: quello del salto dimensionale, del salto di scala”. “La stessa sorte tocca all’architettura cimiteriale, in particolare agli ampliamenti del cimiteri realizzati nel corso del Novecento, ma per altri motivi. In particolare questa categoria architettonica è vittima di un retaggio del passato che riduce la morte a tabù, motivo per il quale inserire in un discorso architettonico i cimiteri risulta ancora oggi abbastanza difficile”.

Indirizzo: Via S. Pasquale, 73052 Parabita (LE). Coordinate: 40°03'18.8"N 18°07'29.7"E. Stato di fatto: esistente, in buono stato di conservazione. Progetto: ampliamento cimiteriale. Crediti immagini: SAA&A, Studio Alessandro Anselmi e Associati. Segnalato da: @Anna della Tommasina, @Ilaria CZ, @Gian Marco De Vitis

Günther Domenig con Volker Giencke, Edificio polivalente di una scuola a Graz-Eggenberg, Austria, 1974-77 Capitolo architettura animale e per gli animali L’intera opera di Günther Domenig è caratterizzata da una prepotente rottura con i canoni tradizionali dell’architettura moderna verso una nuova interpretazione della disciplina legata non solo allo studio di un nuovo stile – spesso definito “manierismo organico” – ma anche ad un viaggio introspettivo e psicologico nella personalità e nella sfera privata dell’architetto stesso. Tra il 1974 e il 1977 Günther Domenig, assieme a Volker Giencke all’ingegnere Otto Thaller, progetta per una scuola di suore un edificio polivalente che deve ospitare al suo interno uno spazio mensa, una sala conferenze e un teatro. Il risultato è un involucro tutt’altro che anonimo, un organismo complesso la cui superficie è liberamente modellata e alla cui esecuzione hanno partecipato in modo creativo anche gli operai stessi, coinvolti dagli architetti nel processo di gestazione dell’opera.

“Le forme organiche e biomimetiche come quelle disegnate da Domenig erano, negli anni Settanta, una risposta rivoluzionaria alla rigidità del Movimento Moderno, non sempre apprezzate dalla critica e dalla storia dell’architettura”.

Indirizzo: Georgigasse 84, 8020 Graz, Austria. Coordinate: 47°04'33.7"N 15°23'45.3"E. Progetto: edificio polivalente per una scuola. Stato di fatto: ancora in uso e in buono stato di conservazione. Crediti immagini: Atelier Giencke & Company

Studio 65, discoteca Barbarella, Dubbione di Pinasca, Torino, Italia, 1972 Capitolo tempo libero “Entrate, messieurs et madames, nel baraccone musicatissimo, a vedere un’autentica flotta siderale, reduce da viaggi millenari, ad ascoltare le melodie d’altri cosmi, d’altri pianeti e sistemi stellari che volano a suon di mazurka, di meteore che ondeggiano con il fox-trot”. Così Studio65 descrive, nel 1972, il loro progetto di arredamento di una discoteca nel torinese. Si accede al locale underground attraverso un tunnel che dall’esterno permette di raggiungere lo spazio ipogeo, uno spazio quadrato, con un anfiteatro. La cabina del disc-jockey e il bar sono due navicelle spaziali; il soffitto è d’oro “finto” e per tavolini vi sono alcuni segmenti di colonna ionica, reperti archeologici di antiche civiltà terrestri. “Club, villaggi turistici, navi da crociera, dopo la Seconda Guerra Mondiale con il boom economico in Europa e in America nasce una nuova architettura dedicata al tempo libero e al benessere dell’uomo. Negli anni Settanta i principi di tale architettura vengono portati agli estremi grazie anche ad un processo di revisione dei principi architettonici, che portano alla nascita di una nuova architettura chiamata poi fantastica, radicale e visionaria, di cui si tende a parlare ancora in maniera troppo poco approfondita”.

Stato di fatto: smantellato. Progetto: allestimento di una discoteca. Crediti immagini: Archivio Storico Studio65 - fotografie di Paolo Mussat Sartor. Segnalato da: @Ste Lik, @Renzo Scotto d'Abusco

Alberto Salvati e Ambrogio Tresoldi, Casa a Lissone, Lissone, Italia, 1978 Capitolo architettura residenziale La casa bifamiliare a Lissone progettata da Alberto Salvati e Ambrogio Tresoldi è un esempio maturo dell’applicazione dei principi di superamento dell’architettura razionalista. Salvati stesso lo considera uno dei loro lavori più interessanti, grazie soprattutto all’uso del colore e delle forme nel disegno all’ingresso che rompe la simmetria dell’edificio. La loro ricerca su una nuova concezione di spazio abitativo qui si traduce anche in un intenso rapporto tra interno ed esterno della casa, in cui il calore dello spazio domestico viene annunciato nel prospetto principale proprio da questo uso smoderato del colore e delle forme geometriche, sia per quanto riguarda i motivi decorativi sia per i volumi.

“Gli anni Sessanta e Settanta sono anche gli anni in cui gli architetti rivedono i principi del movimento moderno verso una nuova concezione dello spazio dell’abitare. Salvati e Tresoldi hanno iniziato a pensare ad una nuova concezione dell’architettura, che supera i limiti funzionalisti del razionalismo verso l’inclusione dell’immaterialità degli aspetti spirituali nella progettazione architettonica. Gli spazi interni che disegnavano erano spazi di libertà, non spazi rifugio, né macchine, né antri, ma palcoscenici aperti allo spettacolo del vivere quotidiano”.

Nel maggio 2019 nasce l’esperienza virtuale di un gruppo Facebook, dedicato a raccogliere e condividere progetti architettonici dimenticati o esclusi della bibliografia storica. L’idea alla base di Forgotten Architecture è semplice: recuperare progetti di architetti poco noti e opere lasciate nell’ombra dei maestri, approfondire figure “minori”. Questa bacheca, coordinata e ideata da Bianca Felicori, diventa in poco tempo un fenomeno web, dando alla vita ad una vera e propria community di professionisti del settore, ma non solo.

Ora quest’esperienza virtuale torna ad avere la più canonica dimensione della pubblicazione cartacea, con un libro in uscita dal titolo “Forgotten Architecture. Un archivio di progetti compiuti e scomparsi”, prodotto da Nero e Prima o Mai.

Ken Isaacs, Beach Matrix, Westport, Connecticut, USA,1967

Credits Kenneth Dale Isaacs Papers. Courtesy Cranbrook Archives, Cranbrook Center for Collections and Research

Sottsass Associati, Espace 2000, Zouk, Beirut, Libano, 1980

Credits Santi Caleca

Torsten Johansson, Tivolaj Art Playground, Copenaghen, Danimarca, 1958

Credits Jesper Johansson

Aldo Favini, Stazione di servizio Aquila, Sesto San Giovanni, Italia, 1949

Credits Archivio Favini

Vittorio Giorgini, Casa Saldarini, Piombino, Italia, 1961-62

Credits Archivio Vittorio Giorgini

Phillip Daniel, Arthur Mann, S. Kenneth Johnson e Irvan Mendenhall (DMJM) con Anthony J. Lumsden, Roybal Comprehensive Health Center, Los Angeles, USA, 1979

Credits Phil Donohue

Alberto Salvati e Ambrogio Tresoldi, Casa a Lissone, Lissone, Italia, 1978

Credits Laura Salvati

Ettore Sottsass Jr., Casa per Arnaldo Pomodoro, Milano, Italia, 1966-1968

Credits Nicola Nunziata e Fabrizio Vatieri

Carlo Celli, Luciano Celli, Dario Tognon, Complesso residenziale ATER Rozzol Melara, Trieste, Italia, 1968-82

Credits Federico Torra

Aldo Loris Rossi, Complesso residenziale di Piazza Grande, Napoli, Italia, 1979-89

Credits Liberato, NOVE MAGGIO, 2017. Regia Francesco Lettieri

HOFLAB, Ampliamento del Cimitero di Pila, Perugia, Italia, 2000

Credits HOFLAB

Mario Bacciocchi, Chiesa di Santa Barbara, San Donato Milanese, Italia, 1954

Credits Stefano Perego photography

Dante Bini, Villa Antonioni Vitti, Costa Paradiso, Italia, 1968

Credits Giulia Ricci

  

Traducendo le caratteristica dell’esperienza collettiva e orizzontale, la scelta curatoriale per il corpo centrale del libro usa come traccia contenutistica le categorie architettoniche pubblicate con maggiore frequenza: l’architettura effimera, le stazioni di servizio, le discoteche che e i villaggi vacanza, le case, i playgrounds. Ogni capitolo è poi accompagnato da una selezione di progetti pubblicati sul gruppo, ognuno dei quali riporta, in didascalia, il nome della persona che lo ha condiviso. Il volume si conclude poi con il capitolo famous forgotten, dedicato Dante Bini, l’architetto noto per avere inventato il sistema costruttivo Binishell.

Le pagine raccolgono interventi scritti di autori e partecipanti al gruppo Facebook – tra cui Aurora Riviezzo, Carlotta Franco e Debora Tintis, Eugenio Cosentino e Luca Marullo (Parasite 2.0), Giulia Matteagi, Davide Coppo, Luca Cei e Giorgio Scanelli (HPO), Giulia Ricci, PLSTCT (Gabriele Leo e Grazia Mappa) – oltre a una raccolta di saggi critici di Franco Raggi, Nina Bassoli, Azzurra Muzzonigro, Nicolò Ornaghi e Cino Zucchi, che restituiscono riflettono a posteriori sul fenomeno Forgotten Architecture come esperienza collettiva.

Prodotto da Prima o Mai (un progetto di Raitgher + NERO Editions), con il supporto di Carhartt WIP, “Forgotten Architecture” sarà acquistabile direttamente online fino al 7 giugno 2022, e poi mai più. Il metodo sperimentale di pubblicazione nasce dalla necessità di esplorare nuove forme di produzione e distribuzione editoriale utili a superare gli incagli dell’editoria tradizionale.

Forgotten Architecture. Un archivio di progetti compiuti e scomparsi, a cura di Bianca Felicori, Nero, 2022

Courtesy Nero

Mockups Design

Courtesy Nero

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Courtesy Nero

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Yutaka Murata, Padiglione del Gruppo Fuji, Osaka, Giappone, 1970 Manifestazione: Expo 1970, Osaka (Giappone), 15 marzo-13 settembre 1970. Progetto: padiglione temporaneo per Esposizione Universale. Crediti immagini: Dante Bini. Segnalato da: @Bianca Felicori

Capitolo architettura effimera

L’Esposizione Universale di Osaka del 1970, la prima tenutasi in Asia, è passata alla storia per l’elevato grado di sperimentazione e inventiva dei padiglioni progettati dagli architetti. Intitolata “Progresso e Armonia per l’Umanità”, l’evento si pone come l’obiettivo di mostrare al pubblico l’applicazione di tecniche moderne, sottolineando in parte anche l’impatto negativo che l’industrializzazione e il progresso scientifico hanno avuto sul sistema ecologico globale. Per Expo 1970 Yukata Murata, con Mamoru Kawaguchi, progetta la grande struttura pneumatica del padiglione Fuji. Il padiglione ha una base formata da un cerchio di 60 metri di diametro, è alta 30 metri ed è formata da sedici enormi tubi pneumatici uniti tra di loro a formare la volta della copertura – questi sono stati gonfiati in loco fino a raggiungere la posizione esatta definita nel progetto esecutivo. “I progetti effimeri, ovvero i progetti il cui ciclo di vita è molto breve, sono la tipologia architettonica che viene dimenticata con maggiore facilità. In particolare i progetti realizzati per le grandi Expo, seppur di grandissima qualità, nel corso del Novecento hanno avuto un successo temporale per poi rimanere vittime dell’oblio della memoria”.

Alessandro Anselmi e Paola Chiatante, Cimitero Comunale di Parabita, Lecce, Italia, 1967-1982 Indirizzo: Via S. Pasquale, 73052 Parabita (LE). Coordinate: 40°03'18.8"N 18°07'29.7"E. Stato di fatto: esistente, in buono stato di conservazione. Progetto: ampliamento cimiteriale. Crediti immagini: SAA&A, Studio Alessandro Anselmi e Associati. Segnalato da: @Anna della Tommasina, @Ilaria CZ, @Gian Marco De Vitis

Capitolo architettura cimiteriale Tra il 1967 e il 1982 Alessandro Anselmi e Paola Chiatante progettano il nuovo cimitero comunale di Parabita, in provincia di Lecce, concepito come un insieme di edifici legati tra loro in un disegno spaziale unitario. “Il progetto del cimitero di Parabita” racconta Anselmi “nasce in un’atmosfera di confronto e di polemica nella situazione dell’architettura italiana ed europea di quegli anni […]. La nostra ossessione era rivolta a due categorie che consideravamo costitutive della dinamica concettuale dell’architettura: la geometria e la storia, il rigore e la coerenza della forma, cioè l’immagine che la forma aveva assunto in momenti particolarmente significativi del divenire umano […]. Operammo perciò una manipolazione dell’archetipo, una distorsione dell’immagine per mezzo di un atto formale semplice: quello del salto dimensionale, del salto di scala”. “La stessa sorte tocca all’architettura cimiteriale, in particolare agli ampliamenti del cimiteri realizzati nel corso del Novecento, ma per altri motivi. In particolare questa categoria architettonica è vittima di un retaggio del passato che riduce la morte a tabù, motivo per il quale inserire in un discorso architettonico i cimiteri risulta ancora oggi abbastanza difficile”.

Günther Domenig con Volker Giencke, Edificio polivalente di una scuola a Graz-Eggenberg, Austria, 1974-77 Indirizzo: Georgigasse 84, 8020 Graz, Austria. Coordinate: 47°04'33.7"N 15°23'45.3"E. Progetto: edificio polivalente per una scuola. Stato di fatto: ancora in uso e in buono stato di conservazione. Crediti immagini: Atelier Giencke & Company

Capitolo architettura animale e per gli animali L’intera opera di Günther Domenig è caratterizzata da una prepotente rottura con i canoni tradizionali dell’architettura moderna verso una nuova interpretazione della disciplina legata non solo allo studio di un nuovo stile – spesso definito “manierismo organico” – ma anche ad un viaggio introspettivo e psicologico nella personalità e nella sfera privata dell’architetto stesso. Tra il 1974 e il 1977 Günther Domenig, assieme a Volker Giencke all’ingegnere Otto Thaller, progetta per una scuola di suore un edificio polivalente che deve ospitare al suo interno uno spazio mensa, una sala conferenze e un teatro. Il risultato è un involucro tutt’altro che anonimo, un organismo complesso la cui superficie è liberamente modellata e alla cui esecuzione hanno partecipato in modo creativo anche gli operai stessi, coinvolti dagli architetti nel processo di gestazione dell’opera.

“Le forme organiche e biomimetiche come quelle disegnate da Domenig erano, negli anni Settanta, una risposta rivoluzionaria alla rigidità del Movimento Moderno, non sempre apprezzate dalla critica e dalla storia dell’architettura”.

Studio 65, discoteca Barbarella, Dubbione di Pinasca, Torino, Italia, 1972 Stato di fatto: smantellato. Progetto: allestimento di una discoteca. Crediti immagini: Archivio Storico Studio65 - fotografie di Paolo Mussat Sartor. Segnalato da: @Ste Lik, @Renzo Scotto d'Abusco

Capitolo tempo libero “Entrate, messieurs et madames, nel baraccone musicatissimo, a vedere un’autentica flotta siderale, reduce da viaggi millenari, ad ascoltare le melodie d’altri cosmi, d’altri pianeti e sistemi stellari che volano a suon di mazurka, di meteore che ondeggiano con il fox-trot”. Così Studio65 descrive, nel 1972, il loro progetto di arredamento di una discoteca nel torinese. Si accede al locale underground attraverso un tunnel che dall’esterno permette di raggiungere lo spazio ipogeo, uno spazio quadrato, con un anfiteatro. La cabina del disc-jockey e il bar sono due navicelle spaziali; il soffitto è d’oro “finto” e per tavolini vi sono alcuni segmenti di colonna ionica, reperti archeologici di antiche civiltà terrestri. “Club, villaggi turistici, navi da crociera, dopo la Seconda Guerra Mondiale con il boom economico in Europa e in America nasce una nuova architettura dedicata al tempo libero e al benessere dell’uomo. Negli anni Settanta i principi di tale architettura vengono portati agli estremi grazie anche ad un processo di revisione dei principi architettonici, che portano alla nascita di una nuova architettura chiamata poi fantastica, radicale e visionaria, di cui si tende a parlare ancora in maniera troppo poco approfondita”.

Alberto Salvati e Ambrogio Tresoldi, Casa a Lissone, Lissone, Italia, 1978

Capitolo architettura residenziale La casa bifamiliare a Lissone progettata da Alberto Salvati e Ambrogio Tresoldi è un esempio maturo dell’applicazione dei principi di superamento dell’architettura razionalista. Salvati stesso lo considera uno dei loro lavori più interessanti, grazie soprattutto all’uso del colore e delle forme nel disegno all’ingresso che rompe la simmetria dell’edificio. La loro ricerca su una nuova concezione di spazio abitativo qui si traduce anche in un intenso rapporto tra interno ed esterno della casa, in cui il calore dello spazio domestico viene annunciato nel prospetto principale proprio da questo uso smoderato del colore e delle forme geometriche, sia per quanto riguarda i motivi decorativi sia per i volumi.

“Gli anni Sessanta e Settanta sono anche gli anni in cui gli architetti rivedono i principi del movimento moderno verso una nuova concezione dello spazio dell’abitare. Salvati e Tresoldi hanno iniziato a pensare ad una nuova concezione dell’architettura, che supera i limiti funzionalisti del razionalismo verso l’inclusione dell’immaterialità degli aspetti spirituali nella progettazione architettonica. Gli spazi interni che disegnavano erano spazi di libertà, non spazi rifugio, né macchine, né antri, ma palcoscenici aperti allo spettacolo del vivere quotidiano”.