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I castelli di Cannero sulle isole del Lago Maggiore erano ruderi, ora rinascono come museo

Abbiamo incontrato lo studio Simonetti Architettura, che ha trasformato le antiche fortezze dei Borromeo in un museo a cielo aperto, con Dotdotdot. Un progetto che rifiuta la spettacolarizzazione e ascolta il tempo.


Riemergono dalle acque del Lago Maggiore come un miraggio in pietra, i Castelli di Cannero. Per anni sono stati silenziosi testimoni di un passato ormai lontano, accarezzati dalla vegetazione e dal tempo, sospesi tra romanticismo e rovina. Oggi, grazie a un articolato progetto di restauro e valorizzazione voluto dalla famiglia Borromeo e guidato dallo studio torinese Simonetti Architettura – noto a livello internazionale per i grandi progetti di restauro e valorizzazione di monumenti storici quali Palazzo Carignano a Torino nonché consulente per i restauri della pavimentazione lapidea del Santo Sepolcro a Gerusalemme - e lo studio di design Dotdotdot che ha curato l’esperienza museale e narrativa, questo complesso fortificato costruito all’inizio del XVI secolo si prepara a riaprire al pubblico - e lo fa con un linguaggio che rifiuta tanto la nostalgia quanto la teatralità.

Simonetti Architettura con Dotdotdot, Restauro e valorizzazione dei Castelli di Cannero, Lago Maggiore, Italia, 2019–2025. Foto Susy Mezzanotte

“Le allegorie sono, per il regno dei pensieri, quello che le rovine sono per il regno delle cose”, disse Walter Benjamin. E l’architetto Salvatore Simonetti ha accolto questa allegoria scegliendo di non ricostruire ciò che è andato perduto. Qui, restaurare significa accettare che il tempo lasci le sue impronte. Per l’architetto Simonetti, conservare questa rovina significa “preservare l’immagine storicizzata della fortezza collocata sul territorio di confine tra l’azione del tempo e la ricerca dell’immortalità della materia, nella sua consistenza sia materiale sia immateriale”. L’architettura, in questo progetto, è trattata come un documento, non si restaura per riportare allo splendore originario, ma per rendere accessibile un tempo che si è depositato nelle pietre, negli strati, nelle assenze. “L’esigenza di un’azione di tutela e conservazione era diventato urgente e insieme a questa anche di valorizzazione al fine di restituirla alla collettività. Nel 2011 è stato avviato un lungo percorso di recupero impiegando risorse economiche importanti per attuare i primi interventi di messa in sicurezza delle strutture. Erano azioni di tutela necessarie e urgenti”.

Il percorso di visita interno ai castelli è stato immaginato come una struttura temporanea costruita in tempo di assedio […] Abbiamo immaginato un’architettura completamente reversibile.

Salvatore Simonetti

Il progetto ha previsto anni di studi, rilievi, analisi stratigrafiche e scavi archeologici. Simonetti conferma: “Sono state indagate tutte le corti e anche gli alzati degli edifici permettendo di ricostruire la genesi costruttiva del monumento, dalla sua nascita allo stato attuale, passando per le diverse trasformazioni che nel corso della sua vita ha subito”. Le tracce della Fortezza Malpaga sono state lasciate a vista. Non si è cercata l’unità stilistica, ma la complessità della storia. L’intervento è selettivo, preciso, rispettoso: “il progetto restituisce queste informazioni attraverso un attento e differenziato utilizzo dei materiali di restauro che non hanno cancellato queste testimonianze, anzi le hanno valorizzate”.

Anche la scelta di non destinare i castelli a nuove funzioni è parte di questo approccio. “Solo rinunciando all’ipotesi di affidare una nuova destinazione d’uso ai castelli avremmo potuto raggiungere un corretto equilibrio tra conservazione e attualizzazione”, continua Simonetti. Un equilibrio tutt’altro che scontato, in un contesto architettonico complesso e isolato, raggiungibile solo in barca. Eppure, anche il tema dell’accessibilità è stato risolto con attenzione: “nonostante la complessità del luogo, il percorso di visita è stato reso accessibile anche a un pubblico diversamente abile”.

Simonetti Architettura con Dotdotdot, Restauro e valorizzazione dei Castelli di Cannero, Lago Maggiore, Italia, 2019–2025.. Foto Susy Mezzanotte

La visita non è guidata da pannelli o percorsi obbligati, ma da ciò che resiste: strutture difensive, corti, superfici agricole pensate per reggere l’assedio. L’architettura si fa racconto, non per astrazione, ma per concretezza. Ogni pietra, ogni lacuna, ogni vuoto conserva una traccia. “Sarà l’architettura stessa a farsi narrazione trasformando il sito in un vero e proprio museo a cielo aperto. L’esperienza lascia spazio alla sensibilità e alla cultura personale di ogni visitatore”. In questo paesaggio mentale e materiale, la rovina non è un oggetto da contemplare, ma un testo aperto da attraversare. 

All’interno, le nuove strutture si distinguono chiaramente dal costruito. Si tratta di interventi leggeri, reversibili, evocativi. “Il percorso di visita interno ai castelli è stato immaginato come una struttura temporanea costruita in tempo di assedio. […] Tutta la storia ci parla di precarietà. Di trasformazione. Abbiamo immaginato un’architettura completamente reversibile”. Non si tratta solo di un’opzione tecnica, ma di una posizione culturale. “I castelli di Cannero dovevano diventare il museo di sé stessi sia in termini materiali sia immateriali. É stata un’operazione difficile e non priva di rischi. Alla base del progetto c’era la chiara intenzione di renderli parte del presente mantenendone inalterati significati e valori storici”, conclude Simonetti. 

A completare il progetto fisico, lo studio Dotdotdot ha curato la dimensione narrativa e sensoriale dell’esperienza museale. Nessuna spettacolarizzazione, ma un racconto stratificato che parte dall’architettura e si espande attraverso dispositivi tecnologici integrati con sobrietà. “Questo approccio nasce da un lavoro di ricerca volto a trovare un equilibrio tra due fattori apparentemente opposti da un lato, la storia, che va trattata con rispetto e con un approccio scientifico, fondato sui fatti; dall’altro, la necessità di essere contemporanei e di parlare a chi vive nel presente, ricorrendo a linguaggi aperti e inclusivi”, afferma Laura Dellamotta, co-fondatrice dello studio. “È proprio questa la forza di un approccio che unisce storytelling, design inclusivo e tecnologia: un modello di cui, crediamo, l’Italia del turismo, quello autentico e sostenibile, ha profondamente bisogno”.

Simonetti Architettura con Dotdotdot, Restauro e valorizzazione dei Castelli di Cannero, Lago Maggiore, Italia, 2019–2025. Foto Susy Mezzanotte

Il restauro dei Castelli di Cannero è un gesto calibrato, quasi letterario. Non cerca di riempire, ma di lasciare in sospeso. È un’operazione che rifiuta la semplificazione della storia e sceglie invece di mettersi in ascolto dei suoi silenzi. Qui la rovina non è ridotta a suggestione sentimentale, ma riconosciuta come forma di conoscenza, come luogo in cui il tempo si sedimenta senza concludersi. E come in ogni progetto che funziona davvero, c’è sempre un margine non risolto, una soglia aperta, un’interruzione fertile, una possibilità ancora da abitare.

Immagine di apertura: Foto Andrea Martiradonna 

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