In molte calli, trasformate ormai in corridoi liquidi, l’acqua arriva al ginocchio, ma se alzi lo sguardo, una serie di passerelle collega terrazzi e altane. Al piano terra non si abita più: molti ingressi e negozi sono diventati spazi anfibi, mentre la vita si è spostata verso l’alto. Il Mose, l’infrastruttura creata per salvare la città dall’acqua alta, non è più una barriera difensiva, ma una membrana che stabilizza un equilibrio incerto. Una Venezia di un mondo parallelo? La Venezia del futuro? Negli ultimi anni, in molti l’hanno immaginata sott’acqua, dai romanzi (Le acque di Venezia, Ultima) ai progetti accademici (Project Venezia 2100: Living with the Water) alle visualizzazioni interattive (Venezia +6m, Venice Underwater). La fragilità della città lagunare è poi il sottotesto che accomuna le ultime Biennali.
Ma esiste davvero l’architettura sostenibile?
Tra città sommerse, aeroporti in alta quota e legislazioni insufficienti, le voci di Ghotmeh, Gang, Ma, Mandrup, Big, Snøhetta e altri mostrano che la sostenibilità non è un concetto unico. Dagli Holcim Awards emerge un paesaggio fatto di differenze, contraddizioni e nuove possibilità.
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- Alessandro Scarano
- 04 dicembre 2025
Se la sostenibilità diventa una moda, allora scompare.
Lina Ghotmeh
Dagli anni Novanta l’innalzamento del mare è aumentato, e tra il 2010 e il 2019 sono stati registrati 40 eventi di acqua alta sopra i 120 cm, un dato molto più alto rispetto a un secolo fa. Venezia è una città che vive nel passato ma abita già il futuro: quello in cui l’acqua non è più un’emergenza, ma una condizione permanente.
Città fragili: la realtà del cambiamento climatico
Torniamo al nostro presente, alla nostra realtà (la Terra-616, per dirla con i fumetti Marvel). Piazza San Marco si prepara all’acqua alta, con le pedane già disposte, nella giornata conclusiva del forum organizzato dalla Fondazione Holcim. Retreat, resist, respond (ritirarsi, resistere, rispondere) sono le parole chiave: studiosi della città, scienziati ambientali e professionisti del progettosi sono confrontati su allagamenti e innalzamento del mare, “una delle sfide climatiche determinanti dei nostri tempi”. L’obiettivo è ripensare come viviamo le città vulnerabili all’acqua. Dalla crisi di Giacarta alle comunità costiere spazzate via dalle mareggiate, il Forum è stato un lucido sguardo sull’apocalisse dell’oggi. In parallelo, la premiazione degli Holcim Awards, uno dei riconoscimenti internazionali più importanti dedicati all’architettura e alla costruzione sostenibile.
La sostenibilità è sociale prima di ogni altra cosa: se le persone non vogliono usare uno spazio, quello spazio non può essere sostenibile.
Kjetil Thorsen, Snøhetta
In Bhutan, la Gelephu Mindfulness City firmata da BIG – Bjarke Ingels Group propone una nuova capitale spirituale ed economica fondata sull’armonia tra uomo e ambiente: quartieri che seguono le valli naturali, materiali locali, energia idroelettrica e agricoltura urbana in un modello urbano olistico e (sembrerebbe) replicabile.
Courtesy Holcim Foundation
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A Qalandiya, nei Territori Palestinesi, Riwaq – Centre for Architectural Conservation rigenera un villaggio storico attraverso restauri incrementali e coinvolgimento diretto della popolazione. La giuria ha elogiato il progetto per “il suo approccio ponderato alla conservazione del patrimonio, riconoscendone l'elevato livello di sensibilità nei confronti di contesti sociali e politici complessi, nonché l'enfasi posta sulla generazione e la condivisione della conoscenza.”
Courtesy Holcim Foundation
Courtesy Holcim Foundation
A Nairobi, la Waldorf School (Urko Sánchez Architects) sorge in una foresta protetta: una struttura temporanea e smontabile costruita con terra e legno locali, che promuove il valore della temporaneità e del legame con la natura.
Courtesy Holcim Foundation
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Courtesy Holcim Foundation
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Già, sostenibile: una parola ripetuta come un mantra, di questi tempi. Sostenibile, sostenibile, sostenibile: l’abbiamo sentita così tante volte che sembra avere perso senso. Ma cosa vuol dire poi sostenibile, la keyword di cui i nuovi progetti si ammantano come se fosse la più trendy delle borsette? “Se la sostenibilità diventa una moda, allora scompare”, taglia corto l’architetta franco-libanese Lina Ghotmeh, l’unica nella lista delle 100 persone più rilevanti del 2025 secondo il Time e presidente della giuria per Africa e Medio Oriente degli Awards.
Non sarà una moda, ma è certamente una tendenza, soprattutto in Europa, soprattutto tra i nuovi studi di architettura, osserva il norvegese Kjetil Thorsen, cofondatore di Snøhetta e presidente della giuria europea. Allarga la definizione, oltrepassando quella meramente ecologica e ambientale, dicendo: “La sostenibilità è sociale prima di ogni altra cosa” e “se le persone non vogliono usare uno spazio, quello spazio non può essere sostenibile”.
Quando costruisci una scuola, in realtà stai costruendo una comunità.
Sara Navrady e Rodrigo Louro, Mecanoo
Cosa significa davvero “sostenibile”?
Sostenibilità significa costruire luoghi dove le persone possano riconoscersi per Mecanoo, lo studio olandese guidato da Francine Houben e rappresentato qui dai progettisti Sara Navrady e Rodrigo Louro — che hanno lavorato al Trinity College di Toronto, esplorando il rapporto tra architettura, comunità e clima rigido nello stato nordamericano puntando tanto sul concetto di orto urbano. “Quando costruisci una scuola, in realtà stai costruendo una comunità.” Quando qualcosa è progettato per durare, “questo è già sostenibilità”: introduce così il tema del tempo l’architetto cinese Ma Yansong, guest editor 2026 di Domus e membro della giuria per l’Asia. Ma allarga il concetto di “sostenibile” lungo la linea della storia, che per lui vive in stretta relazione con l’architettura.“L’architettura riguarda il tempo, la memoria, il futuro, l’immaginazione.”
Non si può raggiungere la sostenibilità attraverso il solo design. I progetti che funzionano sono quelli in cui costruisci delle coalizioni.
Jeanne Gang, Studio Gang
Riporta invece il discorso alla legislazione l’architetta americana Jeanne Gang, fondatrice di Studio Gang e presidente della giuria per il Nord America. “Non si può raggiungere la sostenibilità attraverso il solo design”, spiega, lamentando l’assenza negli Stati Uniti di un quadro normativo paragonabile a quello europeo. La sostenibilità diventa così un lavoro di squadra, in cui è l’architetto che deve difenderla davanti alla committenza: “I progetti che funzionano sono quelli in cui costruisci delle coalizioni.”
Una mappa globale senza un’unica verità
La sostenibilità costa e spesso è la prima vittima di una revisione del budget. Gli Awards, premiando progetti in esecuzione con fondi concreti, ne mettono al riparo il valore. Allo stesso tempo, la selezione di 5 progetti per 5 macro-regioni contribuisce a disegnare una mappa della sostenibilità. Ma anche qui non emerge una definizione univoca. Per dirla con Ludwig Wittgenstein, nelle sue Ricerche filosofiche, “il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio”. E ciò che si evince da questa mappatura globale, come osserva l’architetta danese Dorte Mandrup — in concorso con il Crafts College a Herning, dedicato alla formazione artigiana — è che ogni regione ha il suo racconto. “Come puoi confrontare un progetto scandinavo con uno nigeriano? Non puoi.” “L’impatto significa cose diverse in luoghi diversi.”
Quando qualcosa è progettato per durare, questo è già sostenibilità.
Ma Yansong, Mad Architects, guest editor Domus 2026
Così, il progetto vincente per l’Asia, quello di Dhaka (Old Dhaka Central Jail Transformation, Form.3 Architects), ha forse degli elementi in comune con quello europeo, ma quello palestinese che ha vinto per Africa e Medio Oriente (Qalandiya: The Green Historic Maze, Riwaq – Centre for Architectural Conservation) è decisamente unico, mentre il parco anti-alluvione di Boston (Moakley Park Vision Plan, Stoss Landscape Urbanism), per quanto sulla carta sia un po’ il “solito” progetto sostenibile, quello forse più vicino al cliché, al tempo stesso è forse l’unico che riesce a ricucire tra il moderato ottimismo sul costruire che si respira agli Awards e l’urgenza di intervenire prima della tempesta in arrivo che serpeggia al Forum.
Il paradosso del Bhutan
Un caso particolare è rappresentato dal progetto di Big in Bhutan, un lavoro che — come nota Ma Yansong, in un ideale passaggio di testimone con Bjarke Ingels, guest editor Domus 2025 — “ha spaccato la giuria”. Ma è sostenibile progettare una nuova città, completa di aeroporto, in un paese dove il paesaggio è fragile e la mobilità aerea è l’unico vero accesso dall’esterno? Il paradosso è reale: l’aereo è il mezzo meno sostenibile, e allo stesso tempo è l’unico che permetta al Bhutan di non restare isolato.
Come puoi confrontare un progetto scandinavo con uno nigeriano? Non puoi.L’impatto significa cose diverse in luoghi diversi.
Dorte Mandrup
È qui che il progetto diventa interessante. Come spiegano Giulia Frittoli e Frederik Lyng, Big non immagina una capitale nel senso occidentale, ma una costellazione di insediamenti che cresce per continuità con il territorio: “prima il paesaggio, poi l’architettura”.
Secondo Ma, “anche un villaggio deve poter avere un futuro” ed è questo il punto che ribalta la discussione: “Un progetto dovrebbe incoraggiare le persone ad avere più speranza.” In Bhutan, “futuro” non significa grattacieli o smart city, ma la possibilità che una comunità rimanga viva, che le tradizioni possano crescere senza trasformarsi in museo.
Tutto questo perché non esiste, questo abbiamo capito a Venezia, un’unica sostenibilità: non è come la legge morale di Kant, che è “dentro di noi”, ma come il cielo stellato sopra le nostre teste, che cambia di regione in regione, di continente in continente. Ma è pur sempre un cielo stellato: proprio come la sostenibilità è la stella polare che non possiamo smettere di seguire. Non per progettare un mondo migliore — sarebbe troppo ottimistico dirlo oggi — ma per un mondo in cui possiamo sopravvivere alle sfide sempre più dure che il clima ci porrà. Sfide che riguardano tutti, anche chi si illude di essere al sicuro: il futuro sarà fragile ovunque. Proprio come Venezia: regina dei mari, potenza commerciale, gioiello del mondo, oggi rischia di essere inghiottita dall’acqua che l’ha resa grande.
Immagine di apertura: Gelephu Mindfulness City - Gelephu, Bhutan | BIG – BJARKE INGELS GROUP