Una quindicina d’anni prima che Il Sorpasso gli desse fama globale, un giovane e ancora sconosciuto Dino Risi, che nel 1946 era appena trentenne, firma per Domus 215 una recensione del capolavoro disneyano Fantasia. Resta a testimonianza di un lungo flirt tra la rivista fondata da Gio Ponti e il mondo del cinema, delle sue mitologie e delle sue ambientazioni. Del resto, la settima arte ha l’architettura e il design tra i suoi compagni di viaggio essenziali fin dalla nascita, con un’eco lunga che arriva a oggi e trova spazio sulle nostre pagine digitali. Trovate qui raccolti alcuni dei tanti articoli e guide che sono stati recentemente dedicati al cinema e a quella versione molto contemporanea del cinema che sono le serie tv. Si spazia dall’opera di grandi registi come Wes Anderson e Hayao Miyazaki al world-building dei mondi fantastici ma credibilissimi di Avatar e Star Wars, fino all’atlante degli oggetti di design che vediamo nelle serie tv, un progetto tutt’ora in corso in cui i lettori sono invitati a mandare segnalazioni.
La guida di Domus ai film e alle serie tv
Dal ruolo dell’architettura nel cinema di Wes Anderson o Miyazaki, all’atlante del design nelle serie tv, alle selezioni di film suggerite dagli architetti: una raccolta che celebra l’imprescindibile legame tra l’immagine in movimento e il mondo di Domus.
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- 04 agosto 2023
Cinque film cult da rivedere questa estate, scelti da Domus
Arriva la sera, tira un po’ di brezza. Il caldo scende. È il momento di un film: ne abbiamo scelti 5, dagli anni Sessanta a oggi, tra cult e classici che spaziano dall’horror alla commedia, da rivedere o scoprire per la prima volta. Continua a leggere
L’architettura di Star Wars
Un tuffo nel design dell’universo di fantasia forse più ambizioso di sempre, indistricabilmente legato alla nostra realtà, con molte ispirazioni brutaliste, un po’ di spaghetti western e una figura chiave, quella di Ralph McQuarrie. Continua a leggere
Il mondo di Avatar, un’incredibile opera di design applicato alla natura
Nella costruzione di Pandora, il pianeta fantastico dei due film di James Cameron, nulla è lasciato al caso e tutto è disegnato in modo da risultare coerente: è il capolavoro di uno dei più visionari designer del cinema contemporaneo. Continua a leggere
Le architetture di Harry Potter
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
J. K. Rowling, Harry potter e il prigioniero di Azkaban, Salani Editore, 2021
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Screenshot dalla riduzione cinematografica di Harry Potter, Warner Bros, 2001-11.
Hogwarts nasce sulla carta, trova la sua consacrazione al cinema, risorge in teatro. Un recente videogioco la rende finalmente esplorabile. Ma sono tante le architetture della saga: ne raccontiamo quasi trent’anni di evoluzione. Continua a leggere
Barbie, il design del sogno Americano
Ogni tre secondi nel mondo viene venduta una Barbie. Basterebbe questo dato per comprendere la portata non soltanto economica, ma soprattutto culturale che la bambola americana esercita da oltre sessant’anni con le sue oltre 50 professioni e i centinaia di look che l'hanno elevata a icona atemporale. Continua a leggere
L’architettura in equilibrio tra uomo e natura di Hayao Miyazaki
Il mondo della narrazione animata giapponese è estremamente vasto. Al di là delle molteplici tematiche trattate, anche dal punto di vista visivo ogni prodotto tende a presentarsi in modo differente, e molti hanno un’identità forte che li rende memorabili. Oltre che al design dei personaggi e alle storie, questo discorso può essere applicato anche alla rappresentazione degli ambienti, delle architetture e dei paesaggi che fanno da sfondo (o, talvolta, da protagonisti) delle vicende raccontate nella tradizione pluridecennale degli anime. Continua a leggere
Il segreto di The Last Of Us è la maniacale ricostruzione delle architetture dell’ansia
2022
2022
2022
2022
TLOU è diventato un videogioco di culto grazie a una narrazione profonda in cui gli ambienti post-apocalittici giovano un ruolo chiave. Lo hanno anche nella serie tv, in cui sono stati riprodotti con incredibile accuratezza e fedeltà agli originali digitali. Continua a leggere
Il mito della casa di villeggiatura in Italia, visto attraverso i film e le serie tv
Dall’indimenticabile Casa Malaparte dove Godard ambientò Il disprezzo ai recenti sconfinamenti in Italia delle serie americane Succession e White Lotus, una raccolta di abitazioni oramai parte del nostro paesaggio emozionale. Continua a leggere
Un film “dimenticato” del 1962 che può insegnarci molto sul modernismo
Sessant’anni fa, il film Smog di Franco Rossi apriva la Mostra del Cinema di Venezia con una visione del tutto scettica verso l’architettura moderna di L.A. Continua a leggere
Il ponte sullo Stretto e le altre architetture immaginarie di The Bad Guy
La serie Amazon non racconta una storia di mafia vera, ma una verosimile, e lo fa anche attraverso le architetture, come il ponte di cui si parla da decenni e uno strano parco acquatico, che esiste davvero, ma non in Sicilia. Continua a leggere
Il segreto dei film di Wes Anderson in 5 ambienti
Ci sono anticaglie eleganti, artefatti africani e colori smaccatamente anni ‘70. L’ambiente migliore di tutti è però la sala da ballo con carta da parati Scalamandre decorata con zebre rampanti.
Ed è interessantissimo vedere come Wes Anderson ha poi riciclato questa esperienza per il cortometraggio Come Together creato per H&M, tutto ambientato su un treno ma chiaramente con costumi H&M
Ci sono registi che diventano aggettivi, dopo di loro cioè un certo modo di essere o di fare assume il loro nome o quello dei loro personaggi (fantozziano, felliniano…), Wes Anderson invece è il primo che è riuscito a modificare gli ambienti e l’arredamento che gli preesisteva. Così chiaro e così preciso è il suo stile visivo, così maniacale è la maniera in cui arreda ispirandosi a veri arredi d’epoca (solitamente anni ‘70 ma spesso sconfina nei ‘60 o negli ‘80), che adesso quei veri arredi sono diventati wesandersoniani. Continua a leggere
5 film suggeriti da 5 architetti
Abbiamo chiesto quali sono le opere cinematografiche che ne hanno più ispirato la pratica professionale. Qui i consigli di 2050+, Bovenbouw Architectuur, Enorme Studio, Jean-Benoît Vétillard e Plastique Fantastique. Continua a leggere
Quando il design italiano era una cosa da fantascienza
Foto su gentile cocnessione di Fratelli Longhi
Foto via italian Vintage Sofas
Foto: frame da film
Foto su gentile concessione di Artemide
Foto: frame da film
Foto su gentile cocnessione di Kartell
Foto: frame da film
Foto su gentile concessione di Artemide
Foto: frame da film
Foto: frame da film
Foto su gentile cocnessione di Artemide
Foto: frame da film
Foto su gentile cocnessione di Artemide
Foto: frame from film
Foto su gentile concessione di Zanotta
Foto: frame da film
Cosa ci fanno Joe Colombo e Vico Magistretti in Spazio: 1999? Negli anni Sessanta e Settanta, i set sci-fi, dalle serie più costose all’ultimo dei B-movie, erano arredati con icone del design italiano, che all’epoca sembravano provenire da una civiltà aliena o dal futuro. Continua a leggere
Un atlante degli oggetti di design nelle serie tv
Le serie tv trasformano il design in un elemento fondamentale della narrazione, rendendolo parte dell'immaginario globale. Un elenco in aggiornamento, con il contributo dei lettori di Domus. Continua a leggere
8 serie tv che ogni architetto o designer dovrebbe vedere
Riprende i contenuti del film diretto da Bon Joon-ho, regista del pluripremiato Parasite che[1] , a sua volta ha rielaborato la graphic novel Le Transperceneige di Jacques Lob e Jean-Michel Charlier. Ambientata in un futuro distopico in cui il mondo è inabitabile a causa di una nuova era glaciale, la serie vede gli ultimi sopravvissuti dell’umanità costretti dentro un treno ad alta tecnologia, lo Snowpiercer. Nel treno vige il più feroce classismo. È un regno del terrore. Una continua tensione tra i giusti e coraggiosi che vogliono sovvertire la dittatura instaurata dal perfido signore e inventore del treno, il Signor Wilford.
Il quartiere newyorkese del Deuce è il set di una straordinaria successione di affreschi metropolitani tra droga e prostituzione. Scritta da quel genio di David Simon vede come protagonisti James Franco e Maggie Gyllenhaal con alcune chicche del rapper Method Man. La nascente industria del porno diventa per gli sbandati del quartiere una possibilità per sbarcare il lunario, economicamente e artisticamente ma lo spettro dell’Aids inizia a impossessarsi della vita notturna newyorkese. Il numero dei contagiati dall’HIV è in continuo aumento e la diffusione della cocaina genera frequenti ondate di violenza. Un alternarsi senza fine di emozioni tra outfit e location super cool con rimbalzi incredibili sull’oggi pandemico.
Top boy è la messa in scena cupa e necessaria di un dramma potente su ”come le persone si comportano quando falliscono le istituzioni”, così descrive la serie l’Independent. Protagonista assoluta di questa serie è la criminalità londinese, figlia del disagio delle periferie e dell’esclusione sociale. A sceneggiarla è Ronan Bennett, ex militante dell’IRA e oggi autore di successo. Grazie a un superfan, il rapper Drake, Netflix ha riportato in vita questo dramma dei gruppi di spacciatori londinesi sotto la forma di un’accusa bruciante dei nostri tempi. Molte delle scene viste in Top Boy sono ispirate a fatti di cronaca che hanno la strada e i cortili di Summerhouse – un condominio-ghetto londinese – come scenari privilegiati e una colonna sonora a tutta trap. In maniera originale Top Boy si inserisce nel solco tracciato da altre serie tv di cui Gomorra è forse la più nota.
Un corpo violato quello di Michaela Coel, straordinaria autrice e interprete di una delle serie più toste degli ultimi anni. Tutto comincia a Ostia. Luogo scelto per le sue derive pasoliniane ma anche più di recente set privilegiato del film cult di Claudio Caligari, Non essere cattivo. Èqui che si avvia il racconto della protagonista Arabella Essiedu/Coel, scrittrice londinese di origini ghanesi che nel pieno di una crisi creativa va in vacanza sul litorale romano in cerca d’ispirazione. Al ritorno a Londra, durante i festeggiamenti per la consegna di un nuovo lavoro qualcosa va storto. Arabella si ritrova con ricordi dai contorni annebbiati, comincia così una drammatica e avvincente ricostruzione di una violenza traumatica. Michaela Coel vive questo processo come una catarsi personale e soprattutto come denuncia del pinkwashing.
Luca Guadagnino disegna un mondo sospeso, uno spaccato generazionale che si concentra nella base militare americana di Chioggia. La nomina del nuovo comandante sconvolge gli equilibri patriarcali che sostengono ogni dimensione militare. Il comandante Sarah Wilson/Chloë Sevigny è una donna con una moglie, Maggie/Alice Braga e con un figlio, Fraser/Jack Dylan Grazer. Proprio Fraser con le sue inquietudini adolescenziali diviene colui che ci guida in un’America in miniatura con tutte le sue sfumature e i suoi paradossi. Il dramma è il conflitto che ruota attorno allo scontro tra la superficiale calma dell’omologazione della vita militare e il vibrante senso di diversità che ribolle nelle singole soggettività. In questo girovagare, esplorare, con le cuffie fisse sulle orecchie e la musica (straordinaria) a tutto volume, Fraser incontra una ragazza della sua stessa età, Caitlin/Jordan Kristine Seamón. Una creatura senza genere definito, fluida alla ricerca della propria identità, così come Fraser. Questa ricerca di sé stessi si fa poesia e dramma, ma così è la vita.
Ethos indaga il concetto freudiano di perturbante, di unheimlich. La casa dove non ci si sente a casa propria. Istanbul, metropoli dalle mille contraddizioni è lo sfondo di una storia dove i ponti non leniscono le diseguaglianze fra la sponda europea e quella asiatica semi-rurale. L’unheimlich investe le donne velate anatoliche, le famiglie curde espiantate e la borghesia occidentalizzata. La protagonista è Meryem, una domestica religiosa, velata, afflitta da svenimenti di origine psicosomatica che avvia un tormentato rapporto terapeutico con un’analista laica, Peri. Nasce così una sequenza di vicende relazionali che rivelano complessità umane da una parte e dall’altra del Bosforo al di là delle differenze degli stili di vita.
Creata dall’artista e attivista Katori Hall, P-Valley è ambientata nel paese immaginario Chucalissa, situato nel delta del Mississippi, zona depressa e soggetta a continue esondazioni. Lo strip club The Pynk è l’epicentro di una drammatica operazione di speculazione edilizia. La gentrification arriva anche nei paesi immaginari. La vita delle spogliarelliste e dell* straordinari* protagonista Uncle Clifford/Nicco Annan viene sconvolta. Ecco che il club si trasforma in uno spazio politico dove al centro vi è il corpo delle donne e dello zio Clifford. Corpi liberati, glitterati, parruccati che a ritmo di un rap profondo e contaminato dal blues vengono inquadrati e raccontati con una prospettiva diversa, dal punto di vista delle donne stesse. Tutto è femminile, la scrittura, la regia, le straordinarie coreografie non si limitano a mostrare i personaggi semplicemente come corpi da volere o su cui lucrare, ma come universi con le loro sfumature e debolezze, con una storia da raccontare.
Una delle serie più acclamate e commentate da critica e pubblico per i contenuti e soprattutto per la presenza della superstar social e teen Zendaya. Si tratta di un affresco generazionale sospeso tra redenzione e caduta, in breve lo svelamento delle fragilità dell’essere giovani. Creata e diretta da Sam Levinson, figlio di Barry, regista tra gli altri di Good Morning, Vietnam e Rain Man, Euphoria sembra un viaggio lisergico tra amicizie ed esperienze che scottano con un’estetica fatta di colori fluo, forti contrasti, notti al neon, al glitter. Tutto è psichedelico, anche la musica sospesa tra accelerazioni tecno e sonorità vaporwave. Le due giovanissime danno vita a un susseguirsi doloroso e intenso di fallimenti e rinascite. Perdere e rifare tutto. Non è forse così che si scopre la propria verità e il mondo?
Da Snowpiercer a Top Boy, una selezione di produzioni che non possono mancare nella playlist di un progettista. Continua a leggere
Cinema, 10 capolavori in cui architettura e design hanno un ruolo fondamentale
Less is more e in questo caso l’assenza di delimitazioni allo spazio diventa occasione non per negarlo ma per crearne di impossibili sfruttando la percezione dello spettatore.
E alla fine, quando tutto termina, siamo in un cottage nel bosco. Cambia il paesaggio, cambiano i materiali, cambia il design, cambia l’organizzazione degli interni e in questo modo il film ci dice che è cambiato tutto. Finalmente.
Ciò che era assieme a ciò che è e a ciò che è sempre stato.
Film che parlano di architetti e architetture, ma anche pellicole in cui la progettazione ha un ruolo da protagonista assoluta. Da Bertolucci a Greenaway a Minority Report di Spielberg. Continua a leggere
L’ufficio in 12 esempi celebri al cinema e serie tv
immagine di Scott Smith (SRisonS) CC BY-NC-ND 2.0
I luoghi di lavoro visti al cinema e in televisione sono manifesti di una creatività visionaria, ironica, raffinata e quasi sempre implacabile strumento di condanna di costumi e società. Continua a leggere
8 grandi serie tv raccontate attraverso I loro interni
Tutta la serie mira a scavare dentro Bojack per vedere, sotto gli strati di cinismo, cattiveria, meschinità e alcol, cosa ci sia in quest’uomo terribile, frustrato e pieno di traumi, vessato dal culto di sé e dall’aver perso la fama. La casa rispecchia moltissimo il mistero Bojack.
Come detto non somiglia a lui ma all’immagine di successo che ha di sé. È scarna ed essenziale là dove lui è un maniaco dell’accumulo, ha addirittura una zona ufficio con scrivania che non gli serve assolutamente. È una perfetta casa d’apparenza, che non ha né l’accoglienza di una villa personale, né il gusto di una residenza arredata con passione. È solo un oggetto dal prezzo elevato.
Sono gli anni ‘80 ma sembrano i primi anni ‘70, sembra la casa con cui viveva con sua madre, con le coperte sulle poltrone, una carta da parati omicida e quasi niente alle pareti.
Ovunque regna la moquette. Ha la disposizione classica del cinema di Spielberg, quella da casetta del centro sub-urbano, con il tavolino tondo in mezzo alla cucina e ambienti stretti riempiti d’oggetti per farli sembrare ancora più stretti. Oggetti ammassati senza un particolare stile, dalle lampade simil art-deco agli oggetti di elettronica di consumo esibiti come elementi d’arredo. I dettagli più fantasiosi sono quelli che non dovrebbero esserlo come i cuscini. Una mestizia infinita in una casa che è un mezzo di comunicazione con il Sottosopra.
Chi la abita non è il proprietario ma una numerosa famiglia i cui genitori stanno ristrutturando tutta la grande villa.
In un certo senso però la casa parla benissimo della serie, racconta cosa ci troveremo e già fin dai primi episodi si fa portatrice di quel che accadrà. Le statue, gli intarsi, gli abbellimenti, le colonne, il legno e anche i pesantissimi corrimano della grande scalinata che sembra quella di Via col vento o i ballatoi massicci (l’unico dettaglio sottile e leggero sembra la scala a chiocciola in ferro battuto protagonista del finale) infondono un senso incombente di tradizione e legame con un mondo ancestrale.
Contrariamente agli appartamenti delle serie tv, la casa di Hill House non fa niente per essere mondana e di tutto per essere eccezionale, non fa niente per sembrare davvero vissuta da qualcuno ma anzi rigetta ogni intromissione, è arredata in maniera coerente al 100% come fosse un dipinto ed è ferma in un tempo che non è quello della storia. E chi ha visto la serie sa che questo dettaglio temporale è cruciale nel racconto.
Abbondanza e soprattutto pesantezza, siamo oltre il barocco, nel territorio delle zanne d’oro come dettaglio della spalliera di un divano. L’oro è ovunque e sempre su un mobilio d’altri tempi che non sembra davvero d’altri tempi. È semplicemente tutto sbagliato ma si sposa benissimo con i costumi e gli usi della famiglia Anacleti.
Specchi, croci, intarsi, arazzi… Già è incredibile che l’ampia zona in cui si riceve, il grande salotto da cui si vedono la sala da pranzo e la cucina, sembri un piano sotterraneo. Il soffitto bassissimo aiuta a dare quest’impressione e la scarsa presenza di finestre unita all’abbondanza di colonne quasi lo confermano.
Alle pareti una collezione di quadri improbabili e coloratissimi, per terra tappeti a sfare. Spadino con i suoi abbigliamenti sgargianti poi sembra perfettamente integrato alla tappezzeria e in linea con le leggi di riverbero delle luci che imperano.
La mafia zingara è ricchissima e totalmente a disagio con questa ricchezza, piena di soldi che vengono dallo strozzinaggio ma non sa che farci, non sa nemmeno come spenderli, sa solo che può farlo e quindi lo fa. Vorrebbe vivere in un luogo che racconti la propria ascesa ma riesce solo ad accumulare materiali preziosi più che arredamenti preziosi.
Non c’è un solo ufficio di Don Draper, si passa da quello molto scarno ed essenziale (ma di gran gusto) delle primissime stagioni, al cambio d’agenzia e poi al salto di qualità con uno studio arredato in maniera più modaiola e con dei colori che lo avvicinano alle stanze degli altri. Don Draper era unico, ora è diventato come gli altri.
Se all’inizio tutto era all’insegna dell’essenziale, delle camicie pulite e stirate tenute nel cassetto della scrivania e del carrello degli alcolici, alla fine ci sono disegni dei figli alle pareti (assieme agli alcolici sia chiaro), un salottino molto più fornito, oggetti regalatigli e il marchio di una vita vissuta là dove, all’inzio, c’era solo un uomo che aveva rubato la vita ad un altro e non ne aveva una sua.
Applauso per la lampada da tavolo però.
La casa verrà usata come cassaforte, come teatro di minacce e come facciata. Quello che per Gus è Los Pollos Hermanos, per lui è un villino a misura di mogliettina e vita umile.
L’ufficio di Claire è il trionfo del gelo. La scrivania sembra una di quelle che si trovano in una suite di lusso di un hotel a 4 stelle, con gli stessi elementi di arredo dozzinali ma di gusto, con una presenza ingombrante dell’acciaio e di tutti i toni più freddi. In armonia con la fotografia plumbea della serie, che bandisce qualsiasi colore acceso, anche l’arredamento della CWI è concepito per raccontare un personaggio che non ha nessun interesse per il superfluo. Un posto concepito da una burocrate di lusso, qualcuno con più interesse a conoscere le regole per sfruttarle a proprio vantaggio che a concepire qualcosa di gentile.
Probabilmente è l’arredamento meno divertente di sempre, anche le showroom Ikea per uffici riescono ad essere un minimo più spiritose.
La casa di Monica e Rachel è un accrocco pieno di elementi eterogenei, ha una bellissima parete finestra che infatti la serie sfrutta per la gag ricorrente del vicino nudo ma poi ha divani scompagnati dalle poltrone, pareti viola e una porta verde, tavolini in uno stile e poltrone in un altro, piccoli lumi di decorazione… Tutto sembra impersonale e non ci parla direttamente di quelle due ragazze ma la densità con cui l’arredo è accumulato e la disposizione comunicano la confusione comica che serve. Lo spiega bene la cucina, che sembra stipata oltre il pensabile (per una serie in cui non si cucina quasi mai), un delirio di utensili, ingredienti e scaffalature senza sportelli.
Ma oltre a questo Friends ha nell’arredamento la sua anima più tradizionalista. Tutti i dettagli gridano mid-west statunitense eppure siamo a New York. L’America tradizionale è conservata nell’arredamento di uno show che puntava a raccontare i nuovi giovani.
Ancora più che nei film, le ambientazioni e soprattutto gli interni acquisiscono una importanza centrale nel racconto televisivo e seriale. Soprattutto qunando si tratta di pietre miliari come Mad Men, Breaking Bad o... BoJack Horseman. Continua a leggere