La macchina del tempo

Ambientata a Kop van Zuid, frangia urbana risorta come polo culturale, la settima edizione dell’Architecture Film Festival Rotterdam ha avuto per tema “Time Machine”, la macchina del tempo.

Rotterdam è il posto giusto per un festival cinematografico a tema architettonico. Se poi il titolo di quest’edizione dell’Architecture Film Festival Rotterdam (la settima dalla fondazione, nel 2000) è “Time Machine”, ancora meglio.
Architecture Film Festival Rotterdam
Un momento della settima edizione dell’Architecture Film Festival Rotterdam

La manifestazione ha avuto luogo a Kop van Zuid, frangia urbana risorta come polo culturale in piena Mosa con una storia particolarmente adatta a rappresentare la mutevolezza della città di Erasmo.

Da zona portuale affiancata da una malfamata Chinatown a luci rosse il quartiere si è riciclato, a partire dagli anni Novanta, come sede di hotel, ristoranti giapponesi e istituzioni culturali.

A Kop van Zuid adesso c’è l’Hotel New York (un carismatico edificio che prima faceva da quartier generale della Holland America Line e dove la nota pop star locale Anouk si è ritirata per scrivere l’album anonimo) e ci fanno Art Rotterdam, l’annuale fiera cittadina di arte contemporanea. Il festival ha avuto luogo nei moderni spazi del Lantaren Venster, storico teatro e sala concerti che fino al 2010 stava in centro.

La macchina del tempo, come avrete capito, in questa zona era già in azione prima della rassegna. La trasformazione della zona sud di Rotterdam è essa stessa discussa, tra molti altri sviluppi urbanistici, in Rotterdam 2040 (2013), uno dei documentari più interessanti mostrati quest’anno (se non altro per il frenetico editing da videoclip e l’ironia che lo permea).



Il film racconta la continua crescita della città attraverso le suggestioni che essa ha dato all’autore, l’artista visivo Gys La Riviére, durante tutta la sua vita. Secondo La Riviére, che da skater l’ha esplorata in lungo e in largo, Rotterdam è una delle poche città al mondo a tenere i propri cittadini sempre orientati verso il futuro, trascinandoli in un lento ma inarrestabile divenire. Mischiando esperienze personali con opinioni urbanistiche maturate negli anni, l’artista passa dal fascino dei rapper locali per i grattacieli di Weena al virtuoso sviluppo verticale delle metropoli giapponesi come esempio da seguire per rivendicare il Central District della propria città. Se i non rotterdammer si perdono inevitabilmente nel torrente di riferimenti geografici ultra-locali, l’investimento personale dell’autore (informato, anche se a volte provocatoriamente ingenuo) è senz’altro apprezzabile.

Mentre La Riviére ci mostra la città olandese come macchina del tempo, spesso irrispettosa dei beni storici e dell’estetica architettonica, il cinese Zhao Qi racconta ben altra vicenda con il suo Fallen City (2011).



Senza voice-over o elementi grafici extra diegetici, il regista segue le vite di alcuni cittadini di Sichuan, città cinese devastata da un terremoto nel 2008. C’è chi ha perso il marito e cerca di instillare nel proprio figlio la voglia di studiare e avere un futuro, chi deve andare a Shanghai per lavoro, chi ha prendersi cura della madre paralizzata come unica ragione di andare avanti. Ci sono tante immagini di macerie e della nuova città costruita in tempo record e senza immaginazione (nella quale trovare posto è letteralmente una lotteria, e chi imbroglia finisce in galera), ma soprattutto famiglie con pesanti fardelli da sostenere e una stoica volontà di affrontare il presente.

Tragedia e vicende personali si intersecano anche in Mendelsohn’s Incessant Visions (2011), ritratto biografico del visionario architetto espressionista berlinese che con le sue balconate curve ha tanto influenzato l’aspetto della Gerusalemme moderna.



 

Scritto e diretto da Duki Dror, il film si basa su schizzi e lettere personali tanto quanto su interviste e documentazioni ufficiali. Il risultato è il ritratto di un personaggio che era prima di tutto un creatore, per il quale la materializzazione e la condivisione delle proprie visioni era più importante di qualsiasi cosa. E tutto ciò mentre era circondato da vicende private (il tradimento della moglie) e storiche (la Seconda Guerra Mondiale) tutt’altro che leggere.

La percezione dell'architettura è sempre un viaggio nel tempo in un certo senso, imprescindibile com’è il giudizio del presente sulle forme e le ragioni del passato, e non è sorprendente infatti come modernismo e utopia siano stati temi ricorrenti nel festival.

Drop City (2012), di Joan Grossman, racconta la storia di una comune di artisti che negli anni Sessanta costruirono un villaggio in un’area sperduta del Colorado, architettonicamente ispirato alle cupole geodesiche di Buckminster Fuller e agli ideali libertari del tempo.



 

Se niente rimane di questo esperimento, il modernismo descritto in Modern Tide (2012), film di Jake Gorst, rappresenta tutt’ora un’ideale di vita che, anche se sbiadito, ha lasciato un segno molto vicino alla Grande Mela. Il documentario s’incentra sul modernismo di Long Island, terra d’ispirazione del Great Gatsby caratterizzata da una particolare declinazione dello stile architettonico internazionale.

L’East End dell’isola newyorkese ha infatti un mood molto più rustico e meno sfrontatamente lussuoso rispetto all’equivalente californiano documentato da Reyner Banham e celebrato da David Hockney e, con un approccio documentaristico molto lineare, Gorst presenta le sue caratteristiche architettoniche attraverso interviste con architetti, storici e inquilini delle ville rimaste.

 

 

La macchina del tempo, dicevamo. Per chi si è perso il festival, il 26 e 27 ottobre gli organizzatori porteranno alcuni film a Groningen e Heerlen per un mini-revival, mentre per tutti gli altri AFFR cura un interessante database online.

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