Superlocal

Andrea de Chirico indaga la nuova dimensione del “superlocale” che accomuna molti nuovi progettisti: locali nel radicamento a un territorio, ma disposti a sperimentare ovunque li porti la vita e la ricerca.

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Sono diversi anni che il dilemma tra locale o globale è al centro della riflessione di diversi progettisti, specialmente quelli delle ultime generazioni. Alcuni prospettano vie alternative che sconfinano nella biologia. Altri si avvalgono delle tecnologie più avanzate. E il grande ritorno all’artigianato è in ottima parte spiegabile col desiderio di recupero di un controllo sul prodotto che l’industria non è più in grado di garantire.
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In apertura e qui sopra: Superlocal. Processo di lavorazione. Photo Giacomo Meiarini

Tutti i fautori della via local concordano su un punto: il modello industria + grande distribuzione non sarà sostenibile all’infinito e nuove strade vanno indagate. Ma al di là delle intenzioni, cosa significa realisticamente produrre in maniera locale? E il famoso “km 0” quanto è sostenibile e cosa comporta in termini d’impegno produttivo, tempo e costi?

Andrea de Chirico, neo-laureato alla Design Academy di Eindhoven, si è posto queste domande. La sua tesi s’intitola appunto “Superlocal” e indaga in maniera puntuale tale modalità di processo. L’ipotesi sviluppata è quella di realizzare un prodotto a partire da un progetto di base, utilizzando le sole forze artigianali presenti in un territorio ristretto.

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Andrea de Chirico, dressing table, Superlocal
La tipologia di prodotto è sia legata a beni tradizionalmente artigianali – uno sgabello e un piccolo mobile da toilette – ma anche un oggetto tecnologico come un asciugacapelli, di solito riferibile alla produzione industriale e alla grande distribuzione. Ed è proprio in questo phon che il caso diventa molto interessante. Un video raccoglie un estratto del processo di produzione artigianale di questo tipico oggetto della meccanizzazione. Nelle sequenze emerge che, se di solito il punto di partenza è il progetto, qui la mappatura delle risorse locali è il vero generatore della storia. Inutile sarebbe, infatti, progettare con materie prime e mezzi non disponibili sul territorio. Quindi, armato di pazienza e spirito di avventura, il designer artefice del proprio destino monta sulla bicicletta e inizia la sua ricognizione. Ovviamente si tratta di un lavoro preventivo che, svolto una volta, poi può valere per molti altri progetti, previo aggiornamento periodico delle nuove forze a disposizione. A quel punto, entrano in gioco l’ingegno e la competenza tecnica del progettista.
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Andrea de Chirico, Hair dryer 1.0
Contrariamente alla ormai trita teoria delle stampanti 3D che vorrebbero il progetto accessibile anche ai non professionisti, qui la competenza specialistica è indispensabile. E questo è forse uno dei passaggi più stimolanti dell’esperimento: il designer può lavorare lontano dall’industria ed essere egli stesso connettore e assemblatore delle più ampie e disparate competenze. Senza la sua regia, le parti resterebbero componenti slegate, pezzi senza un senso e una vita. Sembrerebbe così avverarsi la profezia del progetto a catalogo indagato negli anni Cinquanta dagli Eames a partire dalla loro casa per proseguire nella Storage Unit. Ma con una fondamentale e sostanziale differenza: qui i pezzi necessari per creare il prodotto finito non sono solo ready-made presi a prestito da contesti differenti e trasferiti a nuovi usi, ma anche componenti, interamente o parzialmente utilizzate, dove la competenza e la visione dell’autore possono davvero reinventare nuovi destinazioni d’uso. Accade allora che il corpo centrale del phon possa essere un elemento in borosilicato che nasce dall’adattamento di una bottiglietta da bibita realizzata in loco. Così ogni luogo avrà la sua peculiare declinazione del progetto, aggiornato sulla base di materie prime e produzioni rese disponibili. E questo apre a una nuova dimensione, molto vicina alla condizione delle ultime generazioni di autori: il progetto locale può viaggiare e segnare tragitti autobiografici che accompagnano gli spostamenti dei loro artefici.
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Andrea de Chirico, Hair dryer 1.0
Quindi, quando de Chirico rientra da Eindhoven a Roma per tornare dalla sua famiglia, ecco che il progetto sperimentato in Olanda si aggiorna nella sua variante italiana e nasce il “phon di San Lorenzo”, pensato e realizzato nell’omonimo quartiere romano. Adesso il designer è in residenza al Design Museum di Londra dove realizzerà la versione inglese e organizzerà dei “production tour” con i visitatori del museo per portarli sulla rotta del suo viaggio di produzione all’interno del progetto “designer for a day”, basato proprio sul coinvolgimento dei possibili utenti direttamente nel vivo della produzione. Il percorso poi proseguirà nell’autunno 2016 a Bolzano, dove verrà messa a punto la serie 3.0 con materiali e artigiani sud-tirolesi. Così quella che sembrerebbe una contraddizione in termini, ovvero l’internazionalità del concetto di localismo, diviene al contrario la più autentica delle metafore sulla condizione dei nuovi progettisti: locali nel radicamento a un territorio, ma disposti a sperimentare ovunque li porti la vita e la ricerca.
Come spesso accade, la prova del nove è quella del costo. Gli asciugacapelli “Superlocal” non possono competere sul prezzo con quelli della grande produzione/distribuzione. Il loro costo è di almeno cinque volte superiore. Ma forse paragonare le due modalità è poco sensato, quasi come mettere a confronto un prodotto sartoriale con uno da supermercato. L’obiettivo è quello di spiegare che un’altra strada è possibile e anche di aprire nuovi interrogativi. E uno degli effetti più imprevedibili, per esempio, è l’interessamento a questa tipologia di prodotto da parte di collezionisti d’arte. Al tempo stesso la storia ha spesso dimostrato che i cambiamenti dei paradigmi di produzione richiedono passaggi intermedi prima di divenire realmente competitivi con quelli precedenti. Quello che qui è da capire è se il cambiamento debba avvenire nell’affinamento di un nuovo possibile sistema produttivo o nella consapevolezza e nella mentalità del consumatore. D’altra parte – sempre per proseguire con il nobile precedente degli Eames – anche in quel caso il pubblico non accettò il sistema proposto. Si trattava di realizzare mobili (ma anche case) le cui componenti venivano scelte su un catalogo, seguivano un preciso progetto, venivano consegnate in imballi piatti e montate direttamente dall’utente finale seguendo uno schema. E se questo vi ricorda qualcosa, allora anche l’ipotesi super locale potrebbe davvero essere presa in considerazione.  
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