I palazzi di Cate Blanchett, la magione di Tilda Swinton e l′ospedale di Von Trier

Tàr, The Eternal Daughter e il nuovo The Kingdom: tre grandi opere viste a questo Festival di Venezia raccontano di un cinema in cui l’architettura ha sempre di più un ruolo fondamentale. Ma c’è anche la banlieu parigina di Athena.

Nel cinema contemporaneo, quello girato sempre di più in esterni, in location reali e sempre meno in quelle ricostruite in studio, l’architettura dei luoghi non è mai casuale, sempre selezionata per raccontare un pezzo di ciò che avviene dentro quegli ambienti. Sempre scelta non tanto per il valore storico o per le caratteristiche estetiche (che pure entrano nella valutazione) ma per la maniera in cui quegli spazi interagiscono con personaggi ed eventi. Almeno è così nel cinema più ricercato. Almeno è stato così in molti film alla Mostra del cinema di Venezia di quest’anno.

Tàr, Todd Field, 2022
Tàr, Todd Field, 2022

Uno di quelli di cui sentiremo parlare di più sarà certamente Tàr di Todd Field, con il quale Cate Blanchett tenta l’attacco al secondo Oscar (e può riuscirci, perché è forse la sua miglior interpretazione di sempre) che costruisce intorno a lei un universo di luoghi ampi e spaziosi dentro i quali sembra quasi che gli esseri umani si perdano. Lei è una direttrice d’orchestra famosa e importante, che si trova prima a confrontarsi con il modo in cui sempre di più il mondo della cultura e dell’arte viene valutato anche in accordo a questioni di moralità, rispetto delle minoranze e standard culturali moderni, fino a che non finisce lei sotto esame. Tra la filarmonica di Berlino di Hans Scharoun (dove lavora) e le aule immense e brutaliste della Juilliard di Scofidio e Renfro (in cui insegna), Cate Blanchett è la perfetta rappresentazione del potere.

Capace di riempire questi ambienti così grandi, capace di comandarli, gestirli e farli sembrare lo specchio della propria grandezza (anche una casa labirintica e grandissima sembra rappresentarla alla perfezione), l’interazione tra lei e l’architettura moderna di cui il film trabocca è una parte cruciale del racconto di come il potere sessuale sia una forma di dominio sull’individuo. Tanto che un cambio di spazi finale spiegherà meglio di ogni altra soluzione il cambio di condizione della protagonista. Tàr non vuole condannare o mostrare le proprie valutazioni morali, semmai mostrare una comprensione incredibile per tutti i punti di vista, dai più giovani ed arrabbiati fino anche alle azioni più condannabili della protagonista.

The Eternal Daughter, Joanna Hogg, 2022


Invece è in un albergo di puro stile gotico britannico che non una ma due Tilda Swinton dialogano tra loro in The Eternal Daughter. Operazione raffinatissima dell’inglese Johanna Hogg, questo film in cui Swinton è sia madre che figlia, ha la cura visiva della nostalgia per l’horror anni ‘70 (quello dalle luci verdi e rosse decise), per le storie di fantasmi immerse nella bruma inglese e per il legno che scricchiola di notte. In quel palazzo dove madre e figlia passano alcuni giorni, scopriamo ben presto che la madre ci aveva vissuto da bambina (poi evidentemente è stato venduto e diventato albergo), ricorda tutto, rievoca e rivive quello che quegli spazi significavano per lei. Invece la notte, quando dorme, la figlia è tormentata da rumori, problemi e questioni di questo vecchio edificio. Se quindi quella magione per la madre è una macchina del tempo, per la figlia è proprio un personaggio di un film dell’orrore classico. Che è una grande idea: come il medesimo spazio e anche il medesimo stile architettonico, solo con luci diverse, possa diventare altro.

The Son, Florian Zeller, 2022
The Son, Florian Zeller, 2022

Se questi due film fanno sicuramente il lavoro più raffinato su spazi, ambienti e architetture, è difficile sottostimare l’importanza dell’architettura di stampo pubblico dell’ospedale di The Kingdom: Exodus, terza stagione della serie che Lars Von Trier girò negli anni ‘90 e che arriva adesso quasi 30 anni dopo. Sono 5 episodi da un’ora tutti ambientati nell’ospedale del Regno (questo il suo nome), un luogo infestato da presenze demoniache, in cui le singole stanze diventano come parti del corpo (in una delle immagini più belle un cuore gigantesco è contenuto a malapena da una stanza piccoletta). I luoghi tipici dell’ospedale, dalle sale di degenza, agli uffici ai piani alti, fino alle cucine nei piani inferiori, i sotterranei, il tetto e poi l’ascensore spazioso, diventano sede di fenomeni paranormali o siparietti comici. Come le prime due stagioni infatti anche questa terza alterna umorismo potentissimo a fantasy (o forse, conoscendo Von Trier è meglio dire parodia del fantasy), con l’obiettivo di stupire, ribaltare convenzioni e prendere in giro i danesi.

Blonde, Andrew Dominik, 2022
Blonde, Andrew Dominik, 2022

Non va sottostimata inoltre anche un’altra scelta architettonico/urbanistica che si trova in Athena. Il film che sarà su Netflix dal 23 settembre è una bomba d’azione e tecnica filmica in cui alcuni ribelli delle banlieue francesi dichiarano guerra alla polizia in seguito all’uccisione di un bambino del loro quartiere. Ritengono che siano le forze dell’ordine i responsabili e dopo aver fatto irruzione in un commissariato per rubare loro le armi, questo plotone di ragazzini si asserraglia nei due palazzoni giganti di edilizia popolare del proprio quartiere. Si attrezzano come un esercito e attendono la polizia. Partirà una guerra in cui l’edilizia popolare diventa un castello medievale fatto di torri e sotterranei, in cui la varietà di percorsi, livelli e ambienti racconta la ricchezza di punti di vista interni alle banlieue. Ci sono infatti 4 fratelli, ognuno aderente a una fazione diversa, tutti con una posta in gioco altissima mentre infuria una guerra quasi paradossale per livello di grandezza. Se non fosse stato girato lì, in quella zona precisa di Parigi, un film del genere non avrebbe mai la personalità che mostra.

Gli spiriti dell’isola, Martin McDonagh, 2022
Gli spiriti dell’isola, Martin McDonagh, 2022

Oltre a questi la Mostra di Venezia ha anche mostrato alcuni dei film di cui più si parlerà per il resto dell’anno, specialmente in ottica corsa all’Oscar. La tenteranno di certo infatti The Son di Florian Zeller, che solo un anno fa con The Father (i due film sono ovviamente legati) aveva impressionato e fruttato un premio ad Anthony Hopkins; la tenterà Blonde, in cui Ana de Armas interpreta Marilyn Monroe con un’attenzione pazzesca alla ricostruzione visiva dell’iconografia più nota (foto, scene di film, espressioni e pose) per mostrare la differenza tra l’essere umano e l’identità costruita dal cinema e dallo spettacolo. Come ci proveranno The Whale, in cui Darren Aronofsky tenta di ripetere lo schema che fu vincente per The Wrestler (ma senza la stessa forza eversiva), sostituendo un uomo obeso oltre ogni dire al wrestler derelitto di Mickey Rourke e soprattutto ci proverà Gli spiriti dell’isola, l’ultimo esilarante film di Martin McDonagh (già regista di Tre manifesti ad Ebbing, Missouri) in cui una disputa tra Colin Farrell e Brendan Gleeson su un’isola irlandese negli anni ‘20 è lo specchio delle divisioni civili e sociali di quel paese.

Ultimi articoli di Arte

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram