GAMeC. Come liberare una collezione

A Bergamo, la mostra “Libera. Tra Warhol, Vedova e Christo” raccoglie lavori internazionali confiscati in Lombardia e gestiti dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati.

Pino Pascali, Delfino, 1966

Cosa distingue una collezione privata da una pubblica? Qual è la linea di separazione che divide la dimensione pubblica e privata di una raccolta di opere d’arte? Dal 30 maggio 2019 al 6 gennaio 2020, otto sale della GAMeC – Galleria di arte moderna e contemporanea di Bergamo ospitano gratuitamente “Libera.Tra Warhol, Vedova e Christo”, il secondo progetto del ciclo “La Collezione Impermanente”.

Concepito come omaggio alla libertà creativa e all’emancipazione delle collezioni GAMeC e una serie di prestigiose opere confiscate in Lombardia e gestite dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati, presenta al pubblico una ricca selezione di opere dei più famosi artisti internazionali artisti della seconda metà del XX secolo; dall’astrattismo informale all’astrazione geometrica, dal Nouveau Realism alla Pop Art, dal Minimalismo all’Arte Povera – attraverso stimolanti confronti e associazioni.

Ecco comparire, nelle sale al primo piano, una foto di Hans Hartung, che incide la superficie della tela per mostrare il colore sottostante o di Tancredi Parmeggiani che sperimenta la tecnica del gocciolamento con risultati artistici comparabili a quelli di Pollock. Quando il gesto è controllato, studiato, quasi calligrafico, dà vita al secondo approccio artistico, vale a dire la varianza segnaletica dell’Informel, quella di Georges Mathieu, Achille Perilli e Mark Tobey (ispirata alla calligrafia asiatica) della violenza nel movimento al attenzione verso il segno.

Andy Warhol, Giorgio Armani, 1981
Andy Warhol, Giorgio Armani, 1981. Serigrafia su carta marrone, foto © Roberto Morelli / Scalpendi editore

Le opere d'arte significative di Emilio Vedova, in cui una vibrante spinta di colore si intreccia con il collage, il terzo approccio: i materiali. La materia, le sue possibilità espressive ed emotive. Non è sempre una questione pittorica e talvolta deriva da molto lontano dall'arte del mondo, tuttavia esplorato argutamente. Le stratificazioni del colore ad olio nel lavoro di Ennio Morlotti – che suggeriscono con tanta efficacia la presenza del verde – dialogano idealmente con l'uso pittorico di catrame di Alberto Burri e le stratificazioni di cemento e sabbia di Dietelmo Pievani.

Nella terza stanza una forma misurabile, simmetrica e replicabile diventa il perimetro di un vero regno pittorico. Dall'illusione della tridimensionalità creata da Tuz-Tuz di Victor Vasarely, omaggio a Vega (la stella), all'opera di Remo Bianco, costituita da assenze e vuoti, fino all'alluminio di Getulio Alviani, dalla consistenza vibrante, che accompagna il movimento dello spettatore. Interessante è anche l'opera di Paolo Ghilardi, la cui serie di quadrati dai colori vivaci richiama e riscopre l'astrattismo lirico di Wassilij Kandinskij unendo emozione e rigore.

Pier Paolo Calzolari, Senza titolo, 1972
Pier Paolo Calzolari, Senza titolo, 1972. Foto © Roberto Morelli / Scalpendi editore

La sala a fianco mostra le sculture in bassorilievo, con forme nitide tra biomorfiche e geometrico, di Jean Arp alle opere di Alberto Magnelli, Mario Radice, Atanasio Soldati e Luigi Veronesi, la cui ricerca nel campo dell'astrazione inizia negli anni '30 , quando significava essere alias dall'arte ufficiale. Pur appartenendo allo stesso movimento artistico, questi artisti si differenziano per i risultati della loro ricerca: dagli studi di Radice sulla materia alla leggerezza di Magnelli, fino al lato più razionalistico di Soldati e Veronesi. Nelle ultime due sale, l'arte, libera dalla forma e dalla figurazione, non ha avuto altra scelta che affrontare la sua ultima grande battaglia di emancipazione: quella dai vincoli della rappresentazione – di un'immagine, di un sentimento, di un'idea, di un concetto.

Victor Vasarely, Riu-Kare, 1956
Victor Vasarely, Riu-Kare, 1956. Foto © Roberto Morelli / Scalpendi editore

L'oggetto nascosto di Christo (una delle sue confezioni originali, che spesso suggerisce la presenza di oggetti di consumo) dialoga intensamente con gli accumuli tipici di Nouveau Réalisme, un movimento artistico europeo che utilizzava oggetti quotidiani come critica della società. Le opere di Arman, César e Gerard Deschamps, a differenza della confezione di Christo, esibiscono al massimo i resti scartati dalla società. Tra l'esaltazione e la critica delle icone vi sono artisti come Valerio Adami che in questa rinascita della Pop Art celebra la religione asiatica, Bruno Ceccobelli che trasforma l'iconografia dell'ultima cena in un teatrino con una successione di contenitori d'acciaio.

Inoltre, Franco Angeli, che interviene sull'aquila americana, un potente simbolo di ideologia, indebolendolo e rendendolo più pacifico, ed Elio Mariani, che crea una serigrafia partendo da un fotomontaggio per darci un'immagine della società. Infine, Andy Warhol che, nelle opere esposte, ha immortalato Giorgio Armani, trasformando l'immagine stessa del famoso designer in un oggetto iconico. Un altro filone di ricerca è quello di Pol Bury e Ben Vautier: le loro opere contengono un movimento, o almeno lo sollecitano. Se Bury chiama la lentezza, Vautier, attraverso le parole che sono l'oggetto del suo lavoro, stigmatizza i comportamenti compulsivi delle persone.

Una delle sale più significative e meditate è quella centrale, la sesta, votata a Pier Paolo Calzolari con le sue due opere che affrontano un diverso aspetto dell'Arte Povera: quella dei processi che i diversi materiali creano quando combinati. Sale, ferro, piombo, legno, fuoco, lasciati agire nel tempo, scatenare le forze della materia con effetti sorprendentemente creativi. Un'enorme carica energetica che proviene anche dallo spettacolare Delfino di Pino Pascali, recentemente acquisito da GAMeC, testimone esemplare dell'abilità creativa e dell'impeto originale del suo creatore. Sullo stesso muro Giulio Paolini e Luciano Fabro rappresentano l'anima teorica di questa mostra, con opere su carta, come spazio per scrivere pubblico e intimo, mentre Giuseppe Penone si concentra maggiormente sui significati della visione usando un parabrezza che si collega metaforicamente fuori e dentro.

Immagine di apertura: Pino Pascali, Delfino, 1966. Foto Giulio Boem

Titolo mostra:
Libera. Tra Warhol, Vedova e Christo - La Collezione Impermanente #2
Date di apertura:
Dal 30 maggio 2019 al 6 gennaio 2020
Curata da:
Beatrice Bentivoglio-Ravasio, Lorenzo Giusti e A. Fabrizia Previtali
Sede:
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Indirizzo:
Via San Tomaso, 53, 24121 Bergamo

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