Troppo sole per Antonioni. Quando il bel tempo bloccò le riprese de “Il deserto rosso” a Ravenna

I parallelismi tra un famoso set e la vita privata della città che l’ospitò durante un’eccezionale carestia di nebbia e grigiore. Esplorati da Alessandra Dragoni in un libro che giustappone cronaca giornalistica e scatti rubati.

Still life tratto da Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni. Monica Vitti e Richard Harris

Causa global warming oggi le troupe si spostano in un altro continente per la mancanza di condizione atmosferiche corrispondenti al copione. Il caso recente più clamoroso ha riguardato il set di Revenant - Redivivo di Alejandro González Iñárritu, che a caccia di neve si trasferì dal Canada alla terra del fuoco. Cosa avrebbe fatto Michelangelo Antonioni se durante le riprese a Ravenna de Il deserto rosso la nebbia non fosse comparsa nemmeno per un giorno non possiamo ipotizzarlo. Ma di un breve periodo in cui effettivamente ci fu un’interruzione dei lavori per bel tempo, ce ne rende conto Troppo sole per Antonioni, il libro di Alessandra Dragoni sulle convergenze parallele tra il set e la città durante quel periodo di stasi. Il titolo, preso da un trafiletto apparso sul Resto del Carlino il 9 Gennaio del 1964, l’inverno romagnolo con meno nuvole del secolo, mette in luce interessanti analogie. Tutte legate al tema della pausa forzata, in cui il lavoro di un fotografo come è quello di Alessandra, e quello del regista che protesta perché a Ravenna manca la nebbia, sono costretti a ripensare, a formulare soluzioni, a costruire nuove strategie. Forse anche a scrivere nuove battute per esasperazione, come il celebre “mi fanno male i capelli” di Monica Vitti. Troppo sole per Antonioni questo dubbio non lo chiarisce, ma attraverso una giustapposizione di documenti raccolti alla Biblioteca Classense e negli archivi personali delle famiglie, illustra la situazione particolare in cui mancando un ordine del giorno, i limiti tra pubblico e privato si fanno porosi, forse influenzandosi.

Per di più in un set che fino a poco prima era blindassimo, come dimostrano le foto di scena rubate da uno spiraglio di finestra da Anna Baldazzi. Cosa è accaduto dunque in quel periodo di stasi? Gli eventi di cronaca locali e mondiali hanno acutizzato la lettura metafisica del territorio, la poesia fredda dei dettagli architettonici, quell’andamento ipnotico senza un centro? Gli abbracci del film sono desunti dall’intimità delle coppie di Ravenna, osservate con più attenzione avendo meno da fare? Questa permeabilità tra due mondi, sempre feconda, il cinema l’ha messa in scena anche intenzionalmente, come per esempio in Effetto notte di Francois Trauffaut e Lo stato delle cose di Wim Wenders. Per Alessandra invece si tratta di un lavoro di indagine e scavo, motivato anche da ragioni endemiche: “Ero neonata tra le braccia di mia madre mentre Antonioni vagava inquieto per la mia città in attesa del brutto tempo”. Un dato oggettivo però sembra emergere, e cioè l’insistenza delle riprese all’interno della famosa stanza rossa. Una scena diventata negli anni un cult copiatissimo, persino da Prada in una campagna stampa dove i vestiti sembravano esattamente quelli del film. Raccontano i giornali: “Fuori sempre sole. Antonioni deve saltare le inquadrature con finestrino. Infinite discussioni per una nebbia artificiale dietro i vetri della baracca. Finché dura, la stanzina rossa ci salva.” Ci sarebbero stati più esterni se ci fosse stato più grigiore per le strade di Ravenna? Forse sì, ma non si può dire che la variazione abbia provocato un compromesso al ribasso. Anzi, forse il fatto che è diventato uno dei film più enigmatici e cromaticamente mirabolanti per più di una generazione di artisti lo deve proprio a quell’ondata di bel tempo.

Alessandra, l’idea di questa ricerca è nata sul serio da un trafiletto del Carlino?
Non esattamente.  Il  progetto è nato in risposta ad una open call del 2014 indetta da Linea di Confine – Associazione culturale per la fotografia contemporanea con sede a Rubiera, Reggio emilia – sulla scia delle celebrazioni per i 50 anni del deserto. La call proponeva una riflessione sull’influenza del film negli anni. Ho subito desiderato partecipare e il mio pensiero si è rivolto immediatamente al passato: immaginavo Antonioni a Ravenna, desideravo fotografare la sua stanza d'albergo durante le riprese, ma dopo alcune ricerche ho scoperto che non esiste più. L'idea però di lavorare sul passato è rimasta: il film del resto è immenso, ero certa ci fosse ancora molto da recuperare. Il trafiletto di cronaca locale ha fornito il titolo e l’idea portante del progetto, quella dell'attesa: una riflessione durata circa due anni e culminata in una selezione di 10 immagini, in un confronto con William Guerrieri, Antonello Frongia e Guido Guidi, responsabili del progetto poi raccolto in un catalogo intitolato Red Desert Now! l'eredità di Antonioni nella fotografia italiana contemporanea. Troppo sole invece, pubblicato dall'editore ravennate specializzato in libri d’arte Danilo Montanari, raccoglie il resto dell ricerca.

Quale significato ha per un cittadino di Ravenna Il deserto rosso? È un oggetto misterioso, un simbolo, oppure quel film dove tutti si annoiano?
La maggior parte dei Ravennati che aveva più di 10 anni nel 1963 ha qualcosa da raccontare sul film, sulle riprese, sulla Vitti... La città ha custodito con cura la memoria di questo passaggio e molte sono le iniziative a riguardo: dalla proiezioni pubbliche alle conferenze. L’Accademia di Belle Arti poi continua a proporre progetti e riflessioni ai suoi studenti, sull'onda di Guido Guidi – maestro della fotografia contemporanea e per anni docente di fotografia all’Accademia – che ha sempre dichiarato di essere stato condizionato dal cinema di Antonioni.

Nel libro hai scritto che con Anna Baldazzi hai parlato tantissimo. Puoi rivelare qualcosa di questa lunga conversazione che abbia attinenza col film?
Con Anna abbiamo spaziato moltissimo, ma del film non ricordava troppo. All’epoca era molto giovane. Aveva semplicemente colto l'occasione di fotografare il set per vendere le foto ad un giornale.  Considero anche questo episodio un dato della normalità, rappresenta a suo modo la  vita di tutti i giorni che scorre parallela all'opera d'arte (altra riflessione legata al mio progetto).

Titolo:
Troppo sole per Antonioni
Autore:
Alessandra Dragoni
Progetto grafico:
Alessandra Dragoni con Erica Preli (eee studio)
Pagine:
63
Editore:
Danilo Montanari Editore, Ravenna, 2018

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