"Per raccontare questa storia bisogna partire da Odessa". Inizia così la storia scritta da Rosa Matteucci, che Stefania Galegati ha voluto inserire in occasione della sua personale in corso da Pinksummer (fino a settembre) nel tessuto del centro storico di Genova, creando un percorso sinestesico, in cui la lettura si mescola con il cammino, i rumori e gli odori della città. Un lavoro denso e stratificato, che fa della leggerezza e della grazia delle parole scritte a pennello su strada – destinate quindi a scomparire nel tempo – un monumento effimero alla storia d'amore di Ruth, ragazza ebrea originaria di Odessa, appunto, e rifugiata a Nervi, e Carlo, segretario del fascio di Alessandria in convalescenza al mare.
La forza dell'opera sta nella sua ambiguità, nella sua natura fluttuante e intermedia tra il racconto e un intervento di arte pubblica, con "la leggerezza di un monumento che tende a sparire con la pioggia e a finire tutto in mare", spiega Stefania Galegati.
Per questo, la lettura è volutamente aperta: i passanti la scoprono, la seguono chi in una direzione, chi nell'altra, la fanno propria perdendosi nell'intrico dei vicoli, seguendo un andamento non lineare, che tuttavia una direzione ce l'ha: quella verso il mare. Si potrebbe definire, parafrasando Henri Lefebvre, una pratica spaziale per riscrivere rotte quotidiane, nuovi possibili territori di rappresentazione. Al centro sta la storia realmente accaduta e raccolta dalla Matteucci durante gli incontri con le figlie e le nipoti di Ruth e Carlo, che trapela dal "dialogo fra un dybbuk (figura della cultura yiddish della vecchia Europa dell'Est, quella dei racconti tradizionali del Golem e compagnia bella) e una donna quidam un po' stupida, ovvero semplice, una che cerca l'amore delle favole", racconta Rosa Matteucci.
Stefania Galegati Shines
Da un racconto di Rosa Matteucci, Stefania Galegati ha creato un percorso sinestesico nel tessuto del centro storico di Genova, dove la lettura si mescola con il cammino, i rumori e gli odori della città.
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- Anna Daneri
- 19 giugno 2012
- Genova
Una storia di diaspora, come tante che hanno segnato le vite degli ebrei erranti d'Europa, che parla a chiunque la percorra con il proprio sguardo e il proprio corpo lungo le strade di Genova, come in un riflesso del viaggio tra le città toccate nella fuga di Ruth e della sua famiglia, e poi in quella di Ruth e Carlo, le stesse ripercorse sull'atlante dalle due voci narranti. Un esempio di microstoria, in cui i frammenti di memorie personali emergono e diventano emblematici di scelte esistenziali di resistenza, in nome di un amore impossibile, attraverso la cui filigrana si toccano eventi più generali. Nell'intenso dibattito teorico degli ultimi decenni sull'arte pubblica, Stefania Galegati s'inserisce con un intervento debitore delle scritte informali sulla strada, dei graffiti, delle tag, adottando un linguaggio che non si impone sul paesaggio urbano, ma ci s'ingloba, invitando ad affinare lo sguardo sui dettagli meno eclatanti, le migliaia di voci che lo abitano. "Camminando", continua l'artista "ho pensato tante volte che avrei voluto essere accompagnata, immaginavo la stessa stazione radio che esce da case diverse".
Già a partire dal 2005, l'artista aveva realizzato nel corso dei suoi viaggi in giro per il mondo la serie di fotografie e video Notes by chance e ne aveva fatto una mostra diffusa, che consisteva nella proiezione simultanea di un montaggio di alcuni di questi lavori in diversi centri d'arte, musei, gallerie, case private e negozi (Humans, 2009). La commistione di storia personale e Storia nutre invece un suo film del 2002, Passeggiata in paradiso, dove le scene d'amore tra due anziani partigiani che si ritrovano a distanza di anni trasudano la stessa umanità della storia di Ruth e Carlo. Affidandosi al testo di Rosa Matteucci, di cui ammira "la scrittura di getto" e "che vive la città, comprendendo appieno il ritmo che la storia doveva avere nei vicoli", l'artista ha attivato un operare collettivo, in cui sono state coinvolte anche le galleriste, un grafico che ha studiato la distribuzione del racconto e alcuni studenti dell'accademia, rimescolando così i confini autoriali.
Un lavoro denso e stratificato, che fa della leggerezza e della grazia delle parole scritte a pennello su strada un monumento effimero alla storia d'amore di Ruth e Carlo
Spiega Rosa Matteucci: "Ho provato una grande emozione a vedere parole mie scritte per terra e un senso di disagio, perché la gente si complimentava più con me che con Stefania. Ma il lavoro condiviso, un po' come quando scrivi una sceneggiatura, dà delle gioie strane, a me solleva dal senso di solitudine e fatica e pena che pertiene al mestiere di scrivere". E la scrittura ambientale delinea un percorso stratificato perché fisico (le lettere si susseguono confrontandosi con le diverse coperture stradali), mentale (il racconto si costruisce progressivamente) e immaginifico (la storia ti porta altrove, in un viaggio temporale e geografico). In galleria, trovano spazio altre possibili versioni del racconto, ma forse non è questo il punto. Tra manoscritti e disegni spicca un bizzarro corno di legno, un po' feticcio, un po' relitto. Tutto levigato, non si sa se dal mare o da mani umane, potrebbe essere benissimo l'attrezzo di lavoro di un rabdomante, che cerca l'acqua come la striscia narrativa partita da Odessa.