Un gesto, quasi un’imposizione delle mani: le mani aperte verso il paese, a raccogliere la comunità, poi la mano di taglio, dritta verso la valle che dall’Appennino porta giù a Bologna. È così che si dice sia nata la chiesa di Santa Maria Assunta, a Riola di Vergato, la “quasi” unica architettura di Alvar Aalto in Italia. Il “quasi” si riferisce al padiglione finlandese ai Giardini della Biennale, una soluzione temporanea in attesa che Sverre Fehn completasse quello dei paesi nordici; ma i Giardini sono da sempre considerati una specie di Nazioni Unite extraterritoriali, e Aalto stesso parlava di quel lavoro come di una “baracca militare”, pur nel suo incrollabile affetto per Venezia.
L’unica architettura di Alvar Aalto in Italia è una chiesa ed è sorprendente
Questa opera del maestro finlandese mostra come l’architettura scandinava abbia trovato una voce unica in Italia, trasformando Riola in uno dei suoi progetti imperdibili. L'abbiamo visitata (e dovreste farlo anche voi)
Foto Giovanni Comoglio
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- Giovanni Comoglio
- 22 novembre 2025
Non voglio parlare di un viaggio in particolare, perché nella mia anima c’è sempre un viaggio in Italia.
Alvar Aalto, Casabella, 1964
Un gesto quindi, che segna un prima e un dopo.
Nel “prima” c’è il legame di Aalto con l’Italia, fin dal viaggio di nozze con la moglie Aino Marsio, sua partner di imprese rivoluzionarie per l’architettura e il design nordico come la fondazione del brand Artek: un rapporto col territorio italiano che è d’amore, ma si fa presto amaro, con troppe occasioni di progetto sfumate e mai giunte alla realizzazione.
Così, al momento cruciale di questa fase del “prima” si arriva con non poca tensione, e protagonista sarà l’Italia cattolica del Concilio Vaticano II, che andrà a cercare Aalto, sperando che il suo cuore non sia definitivamente spezzato.
Il cardinale di Bologna Giacomo Lercaro è promotore delle innovazioni liturgiche conciliari, di una chiesa che si apre, partecipata anche negli spazi. Servono nuove chiese, e non è mistero che quelle ottocentesche a disposizione, a Lercaro vadano strette. Visita allora la mostra che, a Firenze, Palazzo Strozzi dedica al maestro finlandese nel 1965 e decide: vuole Aalto. Ci sarebbe un terreno pronto a Casalecchio, ma già Melchiorre Bega ci sta lavorando. E allora Riola, sulla strada che sale a Porretta Terme: un sito dove è la natura di boschi, pendii, e del fiume Reno a dare tutti gli elementi per il progetto. Un giovane architetto, Masetti, cede il passo al maestro per lavorarci.
Ed eccoci al punto di svolta, quando avviene il gesto. È il 10 gennaio del 1966 e tutta la comunità di Riola si riunisce per incontrare Aalto. Dopo l’incontro, il gesto, e il “prima” denso di trattative, gli manderà ancora una grande scatola, sui 100 kg, di materia proveniente dal luogo: legno, terra, pietra, tutti “materiali a reazione poetica”.
Da lì nasce il progetto che vediamo oggi: la piazza è in realtà il fiume Reno, il sagrato poi scende verso la chiesa e la sua grande porta orizzontale, per accogliere l’esterno ed estendere l’interno.
Stessa osmosi – unendosi all’idea di “luce come quarta dimensione” che dava forma anche al sanatorio di Paimio o alla Villa Mairea – avviene con la luce indiretta del nord, attraverso la sequenza sovrapposta di finestre a nastro, che definiscono tutto il cielo dell’interno, e anche la forma dell’esterno, quel ventaglio di shed curvi che genera la caratteristica facciata piana “a cresta.”
Foto Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Fotografo Angelo Masina. Courtesy Artek
Foto Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Fotografo Angelo Masina. Courtesy Artek
Foto Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Architetto Glauco Gresleri. Courtesy Artek
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Foto Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Architetto Glauco Gresleri. Courtesy Artek
Foto Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Architetto Glauco Gresleri. Courtesy Artek
Foto Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Architetto Glauco Gresleri. Courtesy Artek
La struttura è su grandi telai a portale in calcestruzzo armato, asimmetrici e curvi – mai, come invece s’è detto, venne pensata una versione iniziale in legno lamellare – ed è l’unico elemento che scandisce lo spazio, altrimenti definito dal bianco delle pareti e dal rosso del cotto a pavimento. Fa anche parte del programma della chiesa come spazio relazionale: un arco è sdoppiato per poter ospitare una tenda che riproporzioni lo spazio, raccogliendolo attorno all’altare. Stesso lavoro lo fa la partizione bassa dell’aula, che ritaglia un piccolo coro a livello sfalsato, mentre il battistero estende lo spazio, scendendo pian piano a prendere il livello del fiume, incorniciandolo con una finestra. È un’architettura che nasce dal luogo ma non è mimetica – le forme, il rame della copertura curva, il legno che copre gli spazi esterni di raccordo – pur essendo percorsa da un genius loci totale, anche nell’arenaria che riveste tutto l’involucro all’esterno.
Il “dopo”, rispetto al turning point del gesto, non è meno complesso del “prima”: con le dimissioni di Lercaro nel 1968 il progetto si arena. Ma è lì che la chiesa di Riola si mostra come un progetto collettivo: si attiva infatti una comunità, tutta quella che proprio attorno al progetto si era creata.
C’è la comunità locale, chiaramente, e c’è poi l’impresa, la Grandi Lavori di Mario Tamburini, che si impegna pro bono nella realizzazione – e parliamo di un’impresa familiare alla grande architettura: è la stessa che realizza a Bologna il padiglione dell’Esprit Nouveau di Le Corbusier, e le torri di Kenzo Tange in Fiera. C’è quella base locale di progettisti, a partire da Glauco Gresleri che con Leonardo Mosso ha costruito il legame tra Aalto e Riola, di cui fanno parte anche Dezio Nave, che si assume la continuità del progetto quando nel 1976 il maestro muore, c’è Ferdinando Forlani che dirige i lavori. Poi c’è la presenza costante di Elsa Mäkiniemi, Elissa, la seconda moglie di Aalto, a garantire che quel progetto rimanga il progetto nato dal gesto in riva al fiume.
Non si riuscirà a realizzare l’ultimo pezzo, la promenade proprio al fiume doveva scendere, ma tant’è: nel 1978 la chiesa è inaugurata.
Arriveranno altri elementi ancora negli anni successivi, come le alte lame in cemento a vista del campanile, staccato dall’edificio, completato nel 1994.
Foto Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Architetto Giorgio Trebbi. Courtesy Artek
Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Fotografo Angelo Masina. Courtesy Artek
Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Fotografo Angelo Masina. Courtesy Artek
Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Fotografo Angelo Masina. Courtesy Artek
Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Fotografo Angelo Masina. Courtesy Artek
Foto Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Architetto Giorgio Trebbi. Courtesy Artek
Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Fotografo Angelo Masina. Courtesy Artek
Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Fotografo Angelo Masina. Courtesy Artek
Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Fotografo Angelo Masina. Courtesy Artek
Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Fotografo Angelo Masina. Courtesy Artek
Archivi A. Aalto Italia C.S.M.A., Fondo Fotografo Angelo Masina. Courtesy Artek
È un progetto al 100 per cento “firmato Aalto”, e allo stesso tempo al 100 per cento italiano, percorso com’è da tutta la vicenda della partecipazione della comunità, ma anche da tutti i know- how che ne hanno determinato la costruzione, e poi dalla materia: l’arenaria delle pareti proviene dalla vicina cava del Montovolo, praticamente sul posto.
Come, a suon di comitati, la chiesa era stata portata a completamento, adesso con gli stessi strumenti di appartenenza continua la sua vita: negli immaginari letterari, nei libri di Loriano Machiavelli e Francesco Guccini, che la dipingono sempre in conversazione con il fuoco d’artificio eclettico-esoterico della vicina Rocchetta Mattei; nelle riscoperte contemporanee, come quella che ha generato un film nel 2018, “Non abbiamo sete di scenografie”, e quella che sta promuovendo il riconoscimento della chiesa come patrimonio culturale, in supporto al suo restauro, valorizzando il lavoro di Glauco Gresleri attraverso i suoi archivi.
E saliremo a vedere questa chiesa, come si va a Ronchamp, come si va alla Cappella dell'Autostrada, e si sale alla chiesa di Michelucci a San Marino; nuovi pellegrinaggi.
Gio Ponti, Domus 447, febbraio 1967
Se resta il “quasi” quando la si vuole definire unica architettura italiana di Aalto, non resta praticamente dubbio quando invece la pensiamo come un’opera design nordico in pieno Appennino, un’opera collettiva che parla finlandese, italiano e bolognese.