I padiglioni fotografati da Gabriele Basilico alla Biennale di Chipperfield

Un giardino e una cittadella allo stesso tempo: nel 2012 il grande fotografo italiano raccontava lo spazio sospeso nella città di Venezia rappresentato dai padiglioni nazionali.

La cifra permanente dei grandi eventi è sempre rappresentata dell’architettura, e nel caso della Biennale di Venezia questa cifra è stata fin dall’inizio parte strutturale del suo DNA. Durante Common Ground, la Biennale curata nel 2012 da David Chipperfield, una mostra intitolata “Common Pavilions” invitava, con una serie di saggi – letterari e fotografici – dedicati padiglioni nazionali, a diventare testimoni del processo di studio e comprensione dell’architettura. Anche della “dignità estetica della condizione di attesa”, come scriveva Gabriele Basilico nell’ottobre del 2012  sul numero 962 di Domus, commentando le sue immagini dei padiglioni vuoti, colti nel tempo intermedio che separa una mostra dalla successiva.

Domus 962, ottobre 2012

La Biennale di Venezia mi è sempre apparsa un luogo di incanto. Ancor più che in altri viaggi, la strategia dell’incontro, dell’attesa, si incarnava nel percorso di avvicinamento: stazione, vaporetto, Canal Grande, laguna e finalmente approdo ai Giardini. Ancora oggi è inimmaginabile un luogo più seduttivo di questo, nel quale poter allestire una kermesse di arte contemporanea.

L’unico giardino pubblico di grandi dimensioni della Serenissima ospita una cittadella composta da piccoli edifici simbolici che, nella vocazione di essere dei padiglioni, sono i protagonisti e i testimoni della presenza di una comunità internazionale che, attraverso l’arte, vive e scambia valori condivisi. Questa cittadella è il luogo delle identità e delle differenze che, nel confronto, sviluppano un dialogo: un esercizio di democrazia reale nel quale l’arte diventa uno dei pochi vettori in grado di svilupparne il processo e le motivazioni. Con Adele Re Rebaudengo e Roger Diener abbiamo deciso di raccontare questo luogo veneziano ricco di incanti nel momento di letargo che lo invade quando i padiglioni non vengono utilizzati. È emozionante visitare i Giardini senza il fiume umano che li affolla, osservare i padiglioni – architetture solitarie abbandonate nell’attesa, con una corporeità fisica silenziosa – nel loro stato latente, senza il rumore del consumo espositivo.

Domus 962, ottobre 2012

Devo qui confessare l’antico amore per l’opera tassonomica dei grandi artisti Bernd e Hilla Becher e per il loro metodo operativo che ha influenzato il mio primo lavoro Milano, ritratti di fabbriche: un modo di osservare frammenti sconosciuti della città nella quale sono nato, ma anche di mettere tutto sullo stesso piano, riproporre attraverso la fotografia una “iconi-città” (come scriveva Luigi Ghirri) democratica. Si è deciso quindi di affrontare il racconto dei padiglioni veneziani con un approccio non troppo dissimile, non certo per togliere oggetti poco noti dall’oscurità dei margini, ma per metterne in luce la dignità estetica che la condizione di attesa, quasi di silenziosa meditazione, permette di meglio percepire.

Gabriele Basilico

Domus 962, ottobre 2012

Le forme dell’architettura

L’identità dell’architettura e il modo in cui essa viene percepita è il tema dell’installazione Common Pavilions, curata da Diener & Diener con Gabriele Basilico ai Giardini. Il Common Ground indicato da Chipperfield come tema portante della Biennale non viene solo inteso come condivisione di uno spazio, ma anche dei concetti che sono alla base di quella cultura architettonica che appartiene ad architetti, designer e a tutti coloro che la osservano. La sala di lettura allestita a Palazzo delle Esposizioni sceglie di raccontare le architetture dei 29 padiglioni nazionali (oltre al bookshop) e lo fa con media differenti: i saggi di 33 architetti, artisti, filosofi e storici dell’architettura – esposti in forma cartacea e diffusi anche via podcast – e il saggio fotografico di Gabriele Basilico (a cura di Adele Re Rebaudengo).

Loredana Mascheroni

Immagine di apertura: Israeli Pavilion, Zeev Rechter, 1952. Da Domus 962, ottobre 2012

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