In Liguria una casa “con le orecchie” ascolta il paesaggio: l’ha disegnata Mario Galvagni

Domus ritorna a Carbuta, entroterra della riviera di Ponente, dove a fine ’60 l’architetto-pittore aveva creato la sua casa studio. Un dialogo che supera il brutalismo, tra forme organiche di cemento grezzo, forma del paesaggio e l’architettura di un vecchio frantoio.

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona

Foto Allegra Martin

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona

Foto Allegra Martin

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona

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La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona

Foto Allegra Martin

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona

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La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona

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La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona

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La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona

Foto Allegra Martin

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona

Foto Allegra Martin

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona

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Quella che incontriamo a Carbuta, di per sé un borgo dell’entroterra ligure che se ne sta saldamente ancorato tra i suoi boschi, le sue rane e i suoi cinghiali senza che sperabilmente nessuno venga a disturbare, è la storia di un secondo capitolo, e a raccontarla c’è la casa di un architetto-pittore, che di sicuro non passa inosservata.
Mario Galvagni e il suo rapporto con la Liguria, infatti, sono proprio una di queste storie a più capitoli. Lui è un progettista milanese, che ha cominciato con Gio Ponti e che giovanissimo ottiene dall’imprenditore Pierino Tizzoni (lo stesso di Costa Paradiso in Sardegna) il mandato di creare una delle pietre miliari nel panorama del modernismo vacanziero ligure: l’insediamento di Torre del Mare a Bergeggi.

Foto Allegra Martin

Quando chiude il cantiere delle decine di case sul promontorio, nel 1959, Galvagni dichiara anche chiusa la sua vicenda ligure. Ma, al di là delle dichiarazioni, le cose non vanno assolutamente così. Lontano dal suo masterpiece a larga scala, lui che prima ancora che architetto è pittore formato all’Accademia di Brera, e poi sarà anche fisico, entra in una fase dove il rapporto con la Liguria, la sua costa e le sue aree interne diventa un rapporto non solo progettuale, ma biografico.
Sul finire degli anni ’60 realizza ancora una casa a Bergeggi, ma intanto nell’entroterra di Finale, attorno a Calice ligure, si sta addensando tutta una galassia di figure legate all’arte – galleristi come Renato Pastori, artisti come Emilio Scanavino, Carlo Nangeroni, Paolo Icaro e Nanda Vigo – un pop-up comunitario su per i colli che finirà per fare la storia, e a un certo punto anche per attrarre Andy Warhol.

Foto Allegra Martin

Galvagni è in contatto con questa rete, sta attraversando un periodo di produzione pittorica intensa, e con la moglie, l’artista svizzera Corina Steinrisser, decide di trovare una casa-studio attorno a Calice: nel 1968 acquisterà un vecchio frantoio, diventato casa di contadini, rendendolo una traduzione estremamente personale, idiosincratica, di molte sue riflessioni sullo spazio e sulla presenza dell’essere umano nel paesaggio, spingendosi ben al di là di possibili categorizzazioni come modernista, organico o brutalista. Gradualmente, l’edificio vernacolare si carica di note surreali, sulle facciate compaiono delle grandi “orecchie” presto proverbiali, che invece l’architetto spiegherà essere dei “convogliatori di luce”. Sono protrusioni delle aperture, incorniciate da forme in rete metallica successivamente intonacate col cemento – non così distante dal ferrocemento caro a Pier Luigi Nervi – plasmate dal tragitto del sole attorno alla casa, studiate per convogliare, appunto, la luce di singoli raggi possibile solo in singoli momenti della giornata, verso spazi interni altrimenti troppo bui.

La scelta di stabilirsi a Carbuta permette a Galvagni di approfondire l’intuizione teorica della matrice formale, già sperimentata a Torre del Mare, ricercandone le radici nella concretezza della creatività del lavoro contadino

Francesca Olivieri

Dai convogliatori si guarda, ma dai convogliatori anche si entra e si esce, e una volta nel giardino si apre un discorso in cui le forme hanno un ruolo ancora più forte: le “porte” che vi si affacciano sono sospese a una ventina di centimetri da terra; uscendo, l’invito è a poggiare il piede su un sasso, che è incastonato in un disco di cemento a terra, e basta guardarsi intorno per vedere come questi dischi si moltiplichino su tutto il suolo del parterre; questo, a sua volta, è definito da una partitura di muretti di contenimento, e da un tavolo rotondo circondato da panche in cemento, che sono il prodotto di un controllo totale della forma e delle sue linee generatrici. Si tratta per Galvagni di nuove esplorazioni in quelle che lui chiamava le matrici formali, codici compositivi dove il rigore di un pattern geometrico modulare andava a definire tutto, potenzialmente anche il mondo stesso dentro e attorno a un volume: si parla di elaborazioni che danno identità alle case di Torre del Mare e alle ville di Inveruno, nelle piane del Ticino verso Magenta, e che avremmo poi in parte ritrovato nel Peter Eisenman di decenni successivi. Per introverse, quasi esoteriche che siano state le spiegazioni date dal progettista negli anni a riguardo, la casa di Carbuta esprime il suo principio di “ecologia della forma”, la convinzione che esista una specie di codice genetico nell’essere umano che lo porta a creare le forme come frutto dell’interazione con la natura che lo circonda.

Foto Allegra Martin

E qui è la campagna delle terre alte affacciate sul Mediterraneo a fare da interlocutore all’azione umana. Trasferendo una parte della sua vita e del suo lavoro a Carbuta, infatti, Galvagni può scavare in profondità e cercare le radici della sua matrice formale “nella concretezza della creatività del lavoro contadino: un atteggiamento quasi antropologico che diventa presupposto della sua ricerca sulle interazioni, superando qualunque dualismo pittore-architetto”; è quello che ci racconta Francesca Olivieri, architetta che ha dedicato le sue ricerche recenti allo studio dell’opera di Galvagni.
Tant’è che negli anni che seguiranno, anche una volta passati i grandi entusiasmi della scena di Calice, è alla terra che lui rivolgerà molta della sua attenzione, al rapporto col luogo e con la forma delle sue coltivazioni terrazzate, al rapporto con chi la abita e la plasma, trovandosi spesso al bivio di doverla lasciare per seguire le opportunità delle grandi città: con questa comunità creerà opere teatrali alla fine dei ’70, e quadri che donerà al paese. D’altronde, stiamo parlando di una persona che, proprio come se avesse voluto dar prova con la sua vita delle teorie che propugnava, “tutto dove andava creava qualcosa, con tutto, con ogni oggetto che trovava e conservava”, come ce lo ha poi raccontato la figlia, Martina Galvagni, come lo suggeriscono gli oblò recuperati dalle navi in disarmo e usati negli interni come finestre, e come ce lo restituiscono gli anni passati a depositare nuove creazioni dentro e fuori la casa di Carbuta, lui come anche la moglie Corina che a lungo terrà lì il suo studio.

Foto Allegra Martin

Il capitolo Galvagni non si è praticamente mai chiuso. L’architetto, pittore, fisico è morto nell’aprile del 2020, lasciando una quantità di dipinti incompiuti, e ancora lavorandoci fino a pochi giorni prima, come ci racconta la figlia. E ancora, lasciando tentativi aperti di formalizzare le sue teorie in saggi, e una ricerca finalmente accettata sulla rivista della Società Italiana di Fisica di cui era membro.

Resta questa casa inerpicata nell’alto di una valle dell’entroterra ligure, forse l’unico e il più visibile crocevia di tutte queste diverse vocazioni, a raccontare sì la storia di un singolo percorso molto idiosincratico, quello di Galvagni, ma paradossalmente – e forse meglio di diversi altri tentativi – anche quelli delle altre figure che proprio Galvagni ha incrociato negli anni di Calice, e di quel territorio che la casa continua a far fluire dentro di sé, attraverso le grosse orecchie di cemento.

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona Foto Allegra Martin

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona Foto Allegra Martin

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona Foto Allegra Martin

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona Foto Allegra Martin

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona Foto Allegra Martin

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona Foto Allegra Martin

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona Foto Allegra Martin

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona Foto Allegra Martin

La casa-studio di Mario Galvagni a Carbuta, Savona Foto Allegra Martin

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