A che punto siamo con il Guggenheim di Abu Dhabi di Frank Gehry?

Prevista per il 2026 l’apertura del più grande museo Guggenheim del mondo, che apporta la gestualità di Gehry al catalogo di firme “stellari” del distretto culturale di Al Saadiyat.

Che la capitale degli Emirati Arabi Uniti stia sempre più conquistandosi un ruolo di primo piano sotto i riflettori internazionali lo dimostra la sua rapida trasformazione (pochi decenni) in palcoscenico geopolitico e culturale di respiro planetario: un'identità ben distinta dalle limitrofe sorelle, dall'alto volume di Dubai e dal profilo discreto di Sharjah, che rende Abu Dhabi un mix di innovazione e tradizione, leggibile nel paesaggio metropolitano lambito dal deserto e dai boschi di mangrovie, adagiato tra isole e proteso verso il cielo con le sue torri svettanti. In particolare, negli ultimi anni, imponenti investimenti governativi hanno puntato il radar sull'isola artificiale di Al Saadiyat, dove archistar internazionali sono state chiamate a lasciare il loro segno nel mosaico di uno dei futuri distretti culturali più ambiziosi del pianeta, che cerca un'espressione di equilibrio tra marketing territoriale e pensiero architettonico.
In aggiunta al Louvre Abu Dhabi di Jean Nouvel, inaugurato nel 2017, sull'isola sono infatti ancora in costruzione altre opere attesissime, come lo Zayed National Museum di Norman Foster e il Natural History Museum di Mecanoo, che dovrebbero essere concluse entrambe nel 2025. E poi c'è il Guggenheim di Frank O. Gehry

Frank O. Gehry, Guggenheim Museum, Abu Dhabi. Courtesy Gehry Partners, LLP

Annunciato nel 2006, dovrebbe concludersi nel 2026, dopo uno stillicidio di ritardi, sospensioni e riprese a singhiozzo dei lavori. Con una superficie di circa 30mila metri quadri, l'edificio sarà il Guggenheim più grande del mondo e ospiterà un centro per l’arte e la tecnologia, gallerie per mostre, collezioni permanenti, un centro educativo, archivi, una biblioteca, un centro di ricerca ed un laboratorio di restauro.

All'opera non mancherà il piglio disinvoltamente sconvolgente che caratterizza le opere di Gehry: undici strutture coniche a contrasto con volumi monolitici creano una composizione complessa e vagamente disorientante che tuttavia, come afferma Gehry, nel “disordine intenzionale raggiunge la chiarezza”. Un ossimoro nel pieno di quello “stile Gehry” che Domus ha documentato, discusso e seguito fin dalle sue origini, radicate nella critica americana degli anni '70. 
Non ci resta che vederlo di persona per valutare.

Immagine di apertura: Courtesy Gehry Partners, LLP