Norman Foster

«Quando sono arrivato qui mi sono sentito a casa. C’era orgoglio nel lavorare e nel servire. Mi sentii liberato. Non è un’esagerazione dire che ho scoperto me stesso attraverso l’America» (Norman Foster, 1994)

Quanto pesa il suo edificio, Mr. Foster? film di Norberto López Amado e Carlos Carcas

Indiscusso maestro dell’architettura contemporanea, Norman Robert Foster, noto come Norman Foster, nasce a Manchester nel 1935 e compie i propri studi prima all’università locale (dove si laurea nel 1961) e poi alla Yale University, presso cui ottiene un dottorato grazie all’assegnazione della borsa Henry Fellowship. Durante i fondamentali anni americani, ha modo di collaborare con Richard Buckminster Fuller e subisce l’influenza di insegnanti come Paul Rudolph, Serge Chermayeff e Vincent Scully.

Esordisce in campo professionale insieme a Richard Rogers, conosciuto sui banchi di Yale, con cui fonda e gestisce a Londra, tra il 1963 e il 1967, insieme a Wendy e Georgie Cheesman, il gruppo Team 4. Proprio al Team 4 si deve il progetto della Reliance Control Factory a Swindon (1966-1967), fabbrica ispirata ai temi della leggerezza tipica delle costruzioni americane in acciaio, che è tra gli edifici selezionati dal critico Peter Buchanan per illustrare il neologismo “high-tech” coniato nel 1983. Il termine descrive opere di giovani protagonisti della scena inglese dell’epoca (tra cui, oltre il Team 4, si segnala Nicholas Grimshaw), le cui caratteristiche di esaltazione del processo costruttivo - eredità di alcune delle più importanti figure del razionalismo d’inizio Novecento, a loro volta maturate dall’esperienza di opere d’ingegneria ottocentesca – sono viste come unico linguaggio possibile per l’arte e l’architettura contemporanea. Un approccio che Foster ha mantenuto inalterato durante tutta la propria carriera, nonostante il progressivo slittamento dai primi incarichi per la costruzione di capannoni industriali alla vittoria di prestigiosi concorsi internazionali, per la costruzione di edifici dal forte carattere pubblico.

Al 1967 risale anche la fondazione della Foster&Associates (poi rinominata Foster&Partners), che nel corso degli anni è arrivata a impiegare oltre cinquecento progettisti divisi in uffici con sede a Londra, Berlino, Francoforte, Parigi, Hong Kong, Singapore, Tokyo: premiato con innumerevoli riconoscimenti internazionali, Foster&Partners è concepito secondo il modello dei grandi studi americani, in cui l’opera è frutto di lavoro collettivo, e a oggi si occupa tanto di architettura quanto di pianificazione urbanistica, ingegneria delle costruzioni, interior design, product design, exhibit design e grafica.

La prima importante opera dopo la scissione del Team 4 è rappresentata dall’esordio di Foster nel campo della progettazione di edifici a carattere culturale: il Sainsbury Centre for Visual Arts al campus della East Anglia University (1974-1978) segna non solo l’inizio della proficua collaborazione con la famiglia Sainsbury (tra i principali mecenati di Foster), ma anche il primo riconoscimento globale della Foster&Associates, che di lì a poco inaugura edifici divenuti icone del linguaggio hi-tech degli anni Ottanta. Tra gli altri, il Centre d’Art Contemporain et Mèdiatheque di Nimes (1984-1983), conosciuto con il nome di “Carrè d’Art”, e la celeberrima sede della Hong Kong and Shangai Bank (1979-1986). Universalmente riconosciuta come punto di svolta per la fortuna critica di Foster, l’elegante torre di quarantuno piani fuori terra ha un telaio in acciaio a cui sono agganciati pavimenti strutturati come ponti sospesi, modellati come gru tese tra gli angoli dei montanti: una soluzione tecnologicamente esasperata – a cui si deve il record del grattacielo, a lungo rimasto il più costoso edificio d’età moderna – finalizzata alla realizzazione di spazi interni completamente liberi da ingombri e interamente climatizzati. A Nimes, invece, l’edificio ha anticipato alcuni dei temi affrontati da Foster con la biblioteca per la Cranfield University, iniziato qualche anno dopo ma inaugurato nel 1993, in contemporaneamente alla Carrè d’Art. Qui le proporzioni tentano un dialogo con il classicismo degli adiacenti resti di un tempio romano, da un lato, e con il modello insediativo tradizionale delle case del Midi francese, dalle corti ombreggiate, dall’altro. Corti che fungono – esattamente come per la mediateca – da core all’intero impianto planimetrico, distribuito da scenografiche scalinate in vetro con sostegni in acciaio inossidabile, agganciati a travi a sezione quadrata, riproposte nel campus per la Cranfield.

All’esperienza della banca di Hong Kong sono succeduti numerosi incarichi in estremo Oriente, quali la nuova sede dell’aeroporto internazionale dell’isola costruito sull’atollo artificiale di Chek Lap Kok (completato solo nel 1998) e il successivo scalo di Kansai, in Giappone (1988). In particolare, il terminal di Hong Kong è il centro nevralgico di un complesso d’infrastrutture ad altissima tecnologia, che comprendono un tunnel sottomarino e un lunghissimo ponte sospeso, sviluppato su due livelli d’impalcato destinati uno al traffico veicolare e, l’altro, ai collegamenti ferroviari. Veri e propri inni all’ingegneria strutturale, con la hall coperta da un avveniristico tetto a maglia diagonale in acciaio e vetro, privo d’interruzioni, che è stato sagomato a ricordare le ali di un enorme volatile.

In patria, invece, Foster ristruttura l’edificio storico della Burlington House alla Royal Accademy of Arts (1991), trasformata nella nuova sede delle Sackler Galleries invertendo i percorsi di accesso al sito ed esponendo, su una nuova piazza coperta, la facciata della Burlington House, rimasta nascosta da ampliamenti successivi per oltre un secolo; realizza ex-novo il mastodontico terminal dello Stansted Airport, progettato alla fine degli anni Settanta e inaugurato solo nel 1991, costituito da una sequenza di parasole in membrane di PVC rette da strutture al albero in tubolare d’acciaio; riorganizza e riqualifica il sistema di accessi al British Museum, costruendo la copertura vetrata della Great Court (1999-2000), il cui progetto può essere letto come evoluzione dei concetti messi in campo per quello delle Sackler Galleries.

Tra le altre opere, Foster costruisce anche la sede del proprio studio, adagiata lungo le rive del Tamigi nell’area di Battersea, a Londra (1991): forse uno dei più riusciti omaggi dell’architetto ai principi modernisti del Bauhaus, che hanno ispirato le soluzioni tecniche messe a punto per garantirne la luminosità interna e l’immagine di pulizia strutturale, stavolta realizzata attraverso uno scheletro in cemento armato che detta il passo anche nella scelta dei materiali e delle soluzioni interne. Qui, infatti, interni ed esterni coincidono tanto per forma quanto per scelta delle finiture degli oltre novemila metri cubi di open-space destinati a ufficio, distribuiti su otto livelli e arredati con numerosi esemplari del tavolo “Nomos” (una delle più celebri opere di design firmate Foster). In anni più recenti, lo studio ha realizzato la nuova sede della Corte Suprema a Middlesex Guildhall (2009-2016), la stazione dell’alta velocità a Firenze Belfiore (2003-2017) e il grattacielo residenziale 100 East 53rd Street di New York (in fase di completamento).

Norman Foster è stato nominato cavaliere del Regno Unito nel 1990 e, nel 1999, ha vinto il Pritzker Prize.

Attraverso le parole di Martin Pawley

Senza compromettere il proprio genio, Norman Foster ha scansato le trappole della politica, l’estetica cauta e poco coraggiosa e le pastoie della vecchia scuola del privilegio inglese per sgattaiolare agilmente in prima fila.
Data di nascita:
1935
Ruolo professionale:
architetto, designer

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