John Lennon, Yoko Ono e la performance 24/7 Bed

Che cosa facciamo oggi a letto e che cosa è diventata questa architettura orizzontale nella società del lavoro liquido? Da Domus 1026, luglio/agosto 2018

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Quando il 20 marzo 1969 John Lennon e Yoko Ono si sposarono in segreto a Gibilterra, la cerimonia durò solo tre minuti. Ma quei minuti, protetti con tante precauzioni, segnarono di fatto la fine della loro privacy. I protagonisti invitarono immediatamente il pubblico di tutto il mondo nel letto della loro luna di miele con il Bed-In for Peace, una maratona per la pace, della durata di una settimana, da trascorrere interamente nel letto. L’azione durò dal 25 al 31 marzo e si svolse nella camera 902 dell’Hilton International Hotel di Amsterdam. Due dei maggiori personaggi pubblici del mondo si misero letteralmente in una vasca per pesci – la scatola di vetro dell’Hilton – e crearono un conte- sto per il lavoro che andava oltre il modello del lavoro salariato.

Ma la giornata lavorativa non terminava alle 21. John e Yoko dichiararono più volte che durante quella settimana intendevano concepire un bambino. Il letto sarebbe stato allo stesso tempo un luogo di contestazione e una fabbrica per la produzione di bambini: una fabbrica dell’accoppiamento (1).

John e Yoko non si limitarono a occupare la camera. La riprogettarono come palcoscenico mediatico con un’immagine ben precisa in mente. Si comportarono come dei veri e propri architetti di quell’immagine. Non è un caso che le foto che vennero pubblicate si assomigliassero tanto: era come se ci fosse un’unica prospettiva possibile. Avevano svuotato la normale camera dell’Hilton, togliendo tutti i mobili, i quadri e gli elementi decorativi per lasciare solo il letto enorme, che collocarono deliberatamente contro la vetrata a tutta parete, così da ottenere una veduta panoramica sulla città di Amsterdam. Dando le spalle alla vetrata guardavano l’interno della stanza con un movimento simile a quello ottenuto dall’architettura d’interni di Adolf Loos (2). Il profilo dei loro corpi controluce – uno sfondo completamente bianco, fatto di pareti bianche, lenzuola bianche, pigiami bianchi e fiori bianchi – pareva librarsi in volo su Amsterdam.

John e Yoko non si limitarono a occupare la camera. La riprogettarono come palcoscenico mediatico con un’immagine ben precisa in mente. Si comportarono come dei veri e propri architetti di quell’immagine.

L’albergo si trova dentro la città, eppure è separato: un’oasi trasparente. E fuori che cosa c’è? Lo sfondo è Amsterdam, all’epoca il luogo centrale della rivoluzione culturale e sessuale europea degli anni Sessanta, dello sperimentalismo a base di sesso droga e rock-and-roll, della militanza politica e della protesta: contro la guerra del Vietnam, contro il governo locale e contro la crisi degli alloggi; in favore dei diritti civili, dell’aborto e perfino di forme alternative di trasporto.

Il 24/7 Bed di John Lennon e Yoko Ono anticipa in questo senso il letto come odierno luogo di lavoro. Secondo una valutazione probabilmente prudente The Wall Street Journal riferì nel 2012 che l’80 per cento dei giovani professionisti newyorkesi lavorava regolarmente stando a letto. La fantasia dell’ufficio domestico ha ceduto il passo alla realtà del letto-ufficio. Lo stesso significato della parola ‘ufficio’ è cambiato. Milioni di letti diffusi ovunque hanno sostituito l’architettura degli uffici. Il boudoir sta sconfiggendo il grattacielo. La tecnologia del digitale ha spazzato via ogni limite a ciò che si può fare a letto. Ma come siamo arrivati qui? [...]

(1):
Recentemente ho ricostruito nei particolari la scena del Bed-In all’Hilton di Amsterdam nel Padiglione olandese, curato da Marina Otero Verzier, alla Biennale di Architettura di Venezia 2018. Nello spirito della manifestazione originaria ho realizzato una serie d’interviste a letto sulla questione dei letti e del post-lavoro con Madelon Vriesendorp, Hans Ulrich Obrist, Odile Decq, Liz Diller, Andres Jaque, Winy Maas, e altri
(2):
Adolf Loos metteva sempre il divano contro la finestra, con gli occupanti rivolti all’interno e trasformati, per chi entrava nella stanza, in profili controluce. Vedi Beatriz Colomina, Privacy and Publicity: Modern Architecture as Mass Media, MIT Press, Cambridge 1994

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