Otto porte e 3.600 storie nel padiglione dell’Albania a Venezia

Le recenti trasformazioni degli spazi da privati a semipubblici mostrano un nuovo modello urbanistico a Tirana, dove i residenti partono dal piano terra e riconquistano la propria città.

Tirana. Photo © Bevis Fusha, Courtesy Pavilion of Albania at the 16th Venice Architecture Exhibition

“Hapesira”, letteralmente “piano terra”, è la parola d’ordine del padiglione dell’Albania alla 16. Biennale di Architettura di Venezia.  

Nella capitale Tirana, città davvero densa di edifici, dove lo spazio libero è pochissimo, i suoi abitanti – appena hanno potuto, cioè con l’avvento della democrazia – hanno recuperato lo spazio necessario a modo loro: trasformando il piano terra delle proprie abitazioni private. Dal privato al semipubblico; dal semipubblico al pubblico. Un salto quasi naturale che però non potrebbe essere più lontano dai modelli spaziali e urbanistici imposti in decenni di regime comunista. Appese al soffitto dell’Arsenale e incorniciate, 3.600 fotografie scattate dagli abitanti della capitale narrano le loro storie. C’è chi, per esempio, ha rinunciato al soggiorno o alla sala da pranzo del proprio appartamento per trasformarlo in un negozio di alimentari; chi ancora ha convertito la propria camera da letto in un bar o in una lavanderia. In un caso o nell’altro, tutti questi spazi, affacciati sulla strada, sono diventati luoghi di socializzazione, dove le persone vanno a fare acquisti, ma anche solo a scambiare due chiacchiere.

A sottolineare questo fenomeno sociale della trasformazione del “livello zero” di interi quartieri della capitale è il curatore del padiglione, Elton Koritari. “I cittadini hanno ereditato una società ermetica, d’impianto socialista, con pochi spazi liberi”, spiega. “Con la democrazia, l’appetito di vita sociale è cresciuto e la libertà lasciata loro dalle autorità ha prodotto un piano terra vivace e un modello molto contemporaneo”.

Otto porte completano l’installazione del padiglione: sono le porte di casa di altrettanti residenti. “In cambio, ne abbiamo regalata loro una nuova. L’idea, condivisa con il sindaco di Tirana, è di riportarle poi in città; magari farne un museo”, prosegue Koritari. “Come Orhan Pamuk ha creato il Museo dell’Innocenza, anche noi possiamo fare altrettanto con la memoria urbana della nostra città. Bisogna tornare al dialogo con l’architettura. Servono sbocchi per educare i cittadini”. A cominciare dall’Arsenale di Venezia: quello dell’Albania non è un racconto classico di architettura, ma un padiglione esperienziale: i visitatori sono liberi di modificare lo spazio, per esempio aprendo e chiudendo le porte; possono decidere se essere turisti o cittadini di Tirana stessa.

“Raccontiamo una Tirana eu-topica, un posto buono e vivibile”, spiega il curatore. “È un fenomeno da osservare senza complessi d’inferiorità. Bisogna considerarlo il futuro della città, in generale, e di Tirana in particolare. Perché occorre tenere in conto le esigenze delle persone”.

Dalla ricerca emerge un dato di fatto globale: i cittadini ignorano gli spazi pubblici imposti e progettati dall’alto, senza dialogo. La piccola scala, invece, migliora l’integrazione e la qualità finale del progetto. E, in caso di successo, può sempre diventare un modello replicabile. Il problema non tocca solo Tirana, dove i cittadini sono stati costretti a scavare dentro la città non trovando altro spazio. Se si vuole costruire un ambiente urbano a misura d’uomo – questo è il loro messaggio – bisogna adattare questi modelli alle esigenze di chi li abita. Vale per gli agricoltori urbani, che stanno regalando un nuovo volto ai sobborghi degradati di Detroit. Vale, in alternativa, per le periferie parigine, dove il vicesindaco Jean-Louis Missika ha proposto una “terza via”, battezzata “urbanistica negoziata”. Il suo Réinventer Paris (“Reinventare Parigi”), una serie di nuovi progetti d’architettura destinati alla periferia, vuole tutelare i “diritti collettivi urbani” con la creazione di nuovi spazi interstiziali e nuove proprietà comuni. 

“L’architetto e teorico danese Steen Eiler Rasmussen sostiene che l’architettura deve passare per diverse mani prima di essere realizzata: c’è chi la progetta, chi la realizza, chi la vive”, incalza Dorian Tytymce (fondatore con Florian Pollo di Varka Arkitekture). “Per noi le persone sono una componente molto importante nel disegnare e definire uno spazio. Il nostro obiettivo è sollevare domande e aprire questo dialogo che sta alla base dell’architettura. Il piano terra è il nostro freespace, finalmente libero da ostacoli”. 

Titolo mostra:
Hapesira. Zero Space
Curatore:
Elton Koritari
Exhibitors:
Dorian Tytymce, Florian Pollo (Varka Arkitekture); Jurtin Hajro (commonsense.studio); Enri Leka (Fablab Tirana)
Date di apertura:
24 maggio – 26 novembre 2018
Sede:
Arsenale, Venezia

Speciale Biennale

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