Per decenni l’horror è stato una forma di produzione minore. Film di rapido consumo, pensati per suscitare reazioni immediate e per giocare con istinti bassi, tutto l’opposto di ciò che per larga parte del Novecento si considerava “cinema alto”. Solo nella seconda metà del secolo il genere ha cominciato a vivere di film creativi e liberi.
Gradualmente si è liberato dell’idea di dover solo spaventare e sempre più registi ribelli e sovversivi hanno cominciato a fare cose interessanti con i film di paura, fino all’epoca moderna, in cui è il genere in cui più di tutti avviene la sperimentazione.
Questi, per noi, sono i dieci horror fondamentali che sono anche opere d’arte.
Quando l’horror diventa un’opera d’arte: i 10 film che hanno riscritto il nostro immaginario
Dal Suspiria di Dario Argento a Get Out, passando per Alien, Shining e L’Esorcista, Domus ha selezionato dieci film horror dove design e architettura trasformano la paura in arte – perfetti per Halloween.
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- Gabriele Niola
- 30 ottobre 2025
L’idea era semplice: fare un film con un mostro che uccide tutti fino a un’ultima vittima che lo sconfigge, ma nello spazio, in un’astronave da cui non si può uscire. Era più o meno l’idea di Lo squalo fusa con Halloween e altri film con serial killer implacabili. Ridley Scott ne fece un puro film di design, in cui gli interni dell’astronave, i giochi di luce e oscurità, l’abbigliamento degli astronauti che sembrano camionisti e ovviamente il design del mostro danno al film una personalità mai vista prima. Certo, c’è la suspense e c’è la paura, ma nascono sempre da queste componenti: dal design funzionale del facehugger che si attacca alla faccia e deposita un embrione nello stomaco umano o da quello del muso dello xenomorfo.
Chiunque altro avrebbe preso questa storia e ne avrebbe fatto un film satanista, con i segni del male in arrivo, le persone sadiche e i vicini inquietanti. Roman Polanski, arrivato in America dopo aver sconvolto l’Europa con Repulsione, gira un film in un palazzo gotico di New York (il Dakota Building), puntando su ciò che non si vede e non si sa, sulle stanze della casa e, in un grande finale, sull’arredo dell’appartamento accanto e il design di una culla. Uno dei primi film americani che davvero parlano della vita in appartamento, della prossimità con i vicini, del condominio come luogo di inquietudine perché costringe a convivere con sconosciuti.
L’edificio di un grande hotel tra i monti può diventare, con il passare del film, sempre di più l’allegoria della mente alla deriva di un uomo. Jack Torrance, che con la sua famiglia deve passare alcuni mesi all’Overlook Hotel in qualità di custode, viene lentamente posseduto dai morti di quella struttura. Lo vediamo impazzire e desiderare di uccidere la sua famiglia. Ma questa pazzia è collegata alle stanze dell’hotel, a una certa camera, al bar, alla grande sala in cui scrive il suo romanzo, al sotterraneo che contiene il suo inconscio e al labirinto di siepi all’esterno. Da qui viene l’orrore vero, quello dell’addentrarsi in una mente malata.
C’erano stati moltissimi film in cui qualcuno viene posseduto dal demonio, ma nessuno aveva avuto l’effetto di L’esorcista. Questo perché erano tutti attaccati alle convenzioni del genere. William Friedkin invece va a fondo, ascolta registrazioni di veri esorcismi, inventa moltissime nuove convenzioni e piega e deforma la sua protagonista per suggerire la presenza del demonio, cambiando l’atmosfera stessa della stanza da letto in cui avviene l’esorcismo. Sostiene di cercare il realismo, in realtà inventa una nuova fantasia malata. C’è una così evidente disperazione nei preti, una così titanica lotta per l’anima della bambina, che non può che essere veramente il demonio.
Nessuno dei film in questo elenco nasceva con minori aspirazioni di La cosa, un vero film di serie B. Era una specie di variazione sul successo di Alien: un alieno mostruoso che miete vittime in un luogo da cui non si può fuggire. Solo che invece di un’astronave c’è una base nell’Artico. In teoria poi sarebbe anche il remake di La cosa dall’altro mondo di Christian Nyby del 1951, ma nella pratica John Carpenter, con la sua testa politica, ci aggiunse l’idea che questa “cosa” fosse in grado di trasformarsi in ciò che uccide, e quindi si nascondesse tra i lavoratori della base senza che loro potessero capire chi sia. È un adattamento di quella storia agli anni del body horror e dei film in cui la carne muta e viene dilaniata in molti modi diversi, ma è anche una vera opera d’arte, non solo per l’essenzialità della regia e la capacità di raccontare in pochi secondi ciò che ad altri prenderebbe minuti, ma anche per come riflette la paura della guerra fredda e “dell’altro tra di noi”, usando la cornice di un film che viene proprio dall’epoca d’oro di quella paranoia.
Il film che ha creato l’ossessione moderna per il serial killer. Per la prima volta al cinema il classico rapporto di preda e predatore tra una donna e un assassino è ribaltato: l’agente dell’FBI Clarice è la cacciatrice e il killer la preda. E poi c’è Hannibal Lecter, aiutante inquietante, che fa con Clarice un gioco simile a quello dei serial killer con le loro vittime, solo senza uccidere, tutto di parola e paura suggerita. È Anthony Hopkins che riesce a crearlo, inventando il serial killer moderno del cinema: raffinato, calmo e disumano senza esagerare. Con questo fare affabile e inquietante entra nella testa di Clarice e mentre lo fa entra anche nella testa degli spettatori.
Dopo Profondo rosso e la svolta horror, Dario Argento è al culmine del suo potere creativo. Quel film è stato un successo ovunque, il regista è affermato in tutto il mondo, all’apice del delirio di onnipotenza, e decide di girare un’opera d’arte horror. La sua vicinanza alla messa in scena onirica e grottesca di Fellini si fa ancora più marcata: chiama Luciano Tovoli, uno dei più grandi direttori della fotografia, e crea Suspiria. Già solo l’attacco con l’arrivo all’aeroporto e poi in auto fino alla scuola di danza è magistrale, ma tutto il film mescola una storia inquietante con un’orgia di colori e scelte cromatiche che suggeriscono come Argento volesse sostanzialmente filmare i colori accesi e il loro potenziale inquietante.
Jordan Peele ha ridefinito cosa può fare un horror oggi e ha riportato in auge l’afrosurrealismo creandone una versione per il cinema moderno. Si tratta del racconto di storie che tramite il fantastico descrivono la condizione degli afroamericani immaginandoli come protagonisti del mondo del cinema. In questo caso un afroamericano fidanzato con una bianca va con lei a casa dei suoi genitori, democratici e progressisti, scoprendo che venerano così tanto il corpo nero da volersene appropriare e desiderare per sé la sua potenza. Attraverso il controllo della mente inseriscono le coscienze di vecchi bianchi dentro corpi giovani neri, come quello del protagonista, di fatto diventando loro. Un film di eccezionale tensione e totale novità, in cui i cattivi non sono dove si crede e in cui non è mai possibile immaginare cosa stia per accadere.
A partire da una flagrante violazione di copyright, la storia di Dracula viene rimasticata per diventare quella di Nosferatu, in un film che per primo tenta di rendere poetico il vampiro. Quello di Friedrich Wilhelm Murnau del 1922 è un gioiello di invenzioni che si sposano con l’espressionismo pittorico, creando ombre che si allungano, figure deformate dalla solitudine e, in uno dei momenti più clamorosi, l’ombra di una mano sul petto di una donna che diventa pugno all’altezza del cuore, come se lo afferrasse. Werner Herzog ne ha fatto un remake negli anni Settanta, di un realismo impressionante che mostra come sarebbe se un vampiro esistesse davvero e che rapporto avrebbe con l’ambiente circostante. Incredibile.
Mario Bava odiava definirsi un grande regista, figuriamoci un artista. Faceva filmacci di serie B, più che altro horror, perché era molto bravo (e si divertiva parecchio) con gli effetti analogici. Ha inventato molte più soluzioni per realizzare effetti speciali di quante se ne possano contare, ma soprattutto ha inventato un’intera estetica. Che è il lavoro degli artisti. È quella del gotico italiano e poi del giallo italiano, da cui è nato Argento, fatta di una versione espressiva e operistica delle caratteristiche più note ed evidenti del gotico classico. La maschera del demonio è uno dei suoi film più perfetti, in cui il ritmo, le scenografie e il lavoro sulla fotografia in bianco e nero raggiungono livelli di artigianato così alti da sconfinare nell’arte naïf.