Il numero di settembre 2025 di Domus si addentra nel cuore della domanda centrale delle nostre vite: che significa abitare il nostro tempo? Una riflessione profonda, che si concentra sul rapporto, talvolta fragile e talvolta glorioso, tra l’uomo, l’architettura e il mondo. Così, più che una semplice raccolta di imprese umane, questo numero di Domus appare come un tacito invito a ridiscutere l'accordo ancestrale con la natura, a tessere un nuovo arazzo di mutua dipendenza, praticare una verace coabitazione fra tutti gli esseri. Come sempre, ogni numero di Domus un viaggio che ci conduce dai territori della memoria a quelli dell’innovazione più audace, con la ferma convinzione che il futuro non si costruisce ma si coltiva iniziando, come sempre, dalla cultura, ovvero da quella stratificazione che ci definisce.
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Nel numero di Domus di settembre, il guest editor 2025 Bjarke Ingels invita a riflettere sul ruolo delle piante e della coabitazione interspecie nell'architettura del futuro.
Testo Bjarke Ingels
A cura di Filippo Cartapani, Shane Dalke
Testo Julia Watson
A cura di Filippo Cartapani, Shane Dalke
Testo Stefano Boeri
A cura di Filippo Cartapani, Shane Dalke
Testo Ben Lamm
Intervista Bjarke Ingels con Günther Vogt
Testo Piet Oudolf
Testo Richard Kennedy
Foto Caitlin Atkinson
Testo Vo Trong Nghia
Foto Hiroyuki Oki
Testo Sebastian Sas
Testo Du Yang
Testo Luca Antognoli, Gabriel Pontoizeau
Foto Giaime Meloni
Foto Andrew Zuckerman
Testo Thomas Takada
Testo Gang Xv, Yatu Tan, Lili Liang, Zixin He
Testo Antti Laitinen
Testo Azuma Makoto
Foto Shunsuke Shiinoki, AMKK
Testo Fabian Knecht
Testo Heather Ackroyd, Dan Harvey
Testo Mitchell Joachim
Testo Bjarke Ingels
Testo Alessandro Benetti
Testo Valentina Petrucci
Testo Simona Bordone
Testo Roberto Battiston
Testo Walter Mariotti
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- La redazione di Domus
- 03 settembre 2025
La sezione Diario, che apre il numero, si apre sui reperti fragili di un tesoro in esilio, il patrimonio di Gaza, raccontato da Alessandro Benetti. Una vera "crisi patrimoniale" che non è solo archeologica, ma intimamente umana, un monito sulla brutalità della storia e sulla resilienza della bellezza. E la bellezza, si sa, ha bisogno di cure. Proprio come è avvenito al restauro del Palazzo dell'Arte della Triennale di Milano, che per mano di Luca Cipelletti ridiventa piazza pubblica, un luogo poroso dove la città respira e si connette mirando a ripristinare la visione originaria di Giovanni Muzio, creando un flusso continuo tra interno ed esterno, un'opera di risanamento che è al tempo stesso un atto di generosità nei confronti della collettività. In questa narrazione della civiltà che si stratifica appare centrale la riflessione di Elsa Fornero, che nel testo di Valentina Petrucci parla di Torino e sul valore del "sovrappiù"—quel surplus di bellezza e di senso che non è mai spesa superflua—risuona come un monito per la nostra epoca, che tende a consumare il presente senza investire nel futuro. Un richiamo all'autenticità che rispecchia anche il progetto del magazine "Stüa" a cura di Francesco Franchi, che vuole raccontare l'identità di un luogo, e il testo di Simona Bordone, che rievoca il valore storico del ricamo come mezzo di comunicazione segreta, un'arte femminile che trascende il tempo.
Il numero di settembre 2025 di Domus si addentra nel cuore della domanda centrale delle nostre vite: che significa abitare il nostro tempo?
Ma il vero cuore pulsante di questo numero è l’esplorazione di un’architettura che si fa organismo, che respira e vive. Al di là di qualunque polemica politica, Stefano Boeri invita a guardare al Bosco Verticale non come a un edificio, ma a una foresta piantata verticalmente, un ecosistema che genera biodiversità. Le sue evoluzioni, come il progetto di social housing a Eindhoven, dimostrano che l'integrazione della natura non è un lusso, ma una necessità per tutti. In un'eco di questa visione, Richard Kennedy ci mostra il Presidio Tunnel Tops a San Francisco, dove la natura riprende ciò che la tecnica le aveva sottratto, trasformando un'infrastruttura in un parco vivente. E ancora, Sebastian Sas con il Nômade Temple in Messico e VTN Architects in Vietnam ci svelano un’architettura del fare, che si fonde con la vegetazione, cancellando il confine tra il costruito e il vivente. Il paesaggio, nell’intervista a Günther Vogt, non è più un mero scenario, ma l'infrastruttura fondamentale su cui si fonda la nostra esistenza, un “vicinato interspecie” che va progettato e curato.
Domus si spinge poi oltre, interrogando il ruolo della scienza e della tecnologia. Julia Watson, con il suo concetto di "Urbanistica TEKnologica", ci ricorda che il vero sapere è già insito nelle pratiche ancestrali, in quelle soluzioni indigene che da sempre si muovono con la natura e non contro di essa. E mentre Ben Lamm in "C'è spazio per l'ottimismo" evoca una scienza capace di riparare gli errori umani, riportando in vita specie estinte e degradando la plastica, Mitchell Joachim in "Biologia tecnologica" spinge questo concetto al limite, immaginando un futuro in cui gli edifici sono veri e propri esseri viventi. Le recensioni di Loredana Mascheroni su Massimo Rigaglia e di Elena Sommariva su Issey Miyake e Atelier Oï presentano design che utilizzano materiali organici e riciclati, mentre Silvana Annicchiarico celebra la sedia di Aida Rasmussen come manifesto di un design etico e sostenibile. Antonio Armano, nel suo testo su FerreroLegno, sottolinea l'importanza di un'azienda che unisce tradizione, innovazione e rispetto per l'ambiente. In questo contesto, anche l'umile maniglia, come spiega Valeria Casali nel suo testo, può diventare un'opera architettonica, un punto di contatto tra l'uomo e lo spazio.
Infine, l'arte, con la sua potente capacità di svelare l’invisibile, ci offre uno sguardo sulla crisi climatica che è al tempo stesso sublime e doloroso. Le sculture botaniche di Azuma Makoto, che sfidano la gravità lanciando fiori nello spazio o intrappolandoli nel ghiaccio, ci costringono a una riflessione sul limite e sulla bellezza effimera. Le foto di Ackroyd & Harvey, realizzate attraverso la fotosintesi dell’erba, trasformano la natura in un medium artistico, mentre Fabian Knecht, con i suoi “white cube” nella natura selvaggia, ci interroga su ciò che è artificio e ciò che è autentico. Le riflessioni di Roberto Battiston in "Sapiens contro Insipiens" e di Alberto Mingardi in "Elogio del lusso" offrono un quadro concettuale per comprendere le sfide che ci attendono, mentre l'articolo di Marco Pierini sul museo di domani e quello di Valentina Sumini sulle infrastrutture extraplanetarie ci proiettano in un futuro che è già presente. Attraverso questi fili, come attraverso la riflessione finale di Walter Mariotti che racconta un tempo in cui le auto erano divinità e avewvano i loro templi architettonici, il numero di settembre di Domus ci offre un ritratto complesso e sfaccettato del nostro tempo, rivelando che il progetto è, in ultima analisi, un atto di profondo amore e rispetto per il mondo che abitiamo. Buona lettura!
Mano a mano che i confini tra architettura e natura si dissolvono, nasce un nuovo linguaggio dei materiali, creato da sistemi viventi, ritmi stagionali e processi di crescita. Oggi, il paesaggio non è più solamente una scenografia pittoresca, ma è attore del progetto.
In un’epoca segnata dal collasso del clima, il gesto di piantare non è più passivo: è un atto radicale di progettazione, resistenza e memoria. Le città annegano, bruciano e soffocano sotto il peso della loro materialità. Il futuro, quindi, non dovrà più essere dominato da acciaio e calcestruzzo, ma crescere secondo la logica della foresta e la lezione dei fiumi. Sepolte sotto le strade asfaltate e gli archivi dell’impero, giacciono innovazioni ancestrali: sistemi radicati nella natura, coltivati dalla cultura e mantenuti da generazioni di sapere locale. In questo futuro, le piante non si propongono come materiali, ma come tecnologie senzienti: infrastrutture viventi che incarna - no la reciprocità al posto dell’estrazione; semi di resilienza, rigenerazione e rispetto
La biomassa indica la massa complessiva di organismi viventi in un dato sistema in uno specifico momento. Benché gli umani si considerino al centro della storia del pianeta, rappresentano solo una minuscola frazione terrestre. Le piante – silenziose, mobili e spesso trascurate – ne rappresentano più dell’80 per cento, costituendo praticamente il fondamento di ogni ecosistema.
Come si può creare l’habitat migliore per alberi che crescono nel cielo di una città? Come fare sì che le radici di una quercia o di un tiglio si sviluppino di lato, invece che in verticale? Quali sono la composizione chimica ideale e il peso adeguato di un terriccio progettato per un vaso collocato a 100 metri sopra il livello del suolo? Quante coccinelle ci vanno messe per combattere i parassiti che infestano le piante collocate sulla facciata di un grattacielo? Come reagiscono gli alberi alla spinta del vento?
La nuova frontiera dell’architettura comprende materiali sostenibili e viventi, che respirano. Anziché basarsi unicamente su mattoni e acciaio, i progettisti di oggi possono contare su risorse a base biologica. Queste vanno da piante e funghi ai compositi di fibre vegetali e comprendono anche erbe, foglie, residui agricoli, sostanze di origine arborea e biomasse marine. Questi materiali possiedono una spiccata capacità di rinnovarsi: crescono, si adattano e si autoriparano. Offrono anche risposte dinamiche all’umidità, alla temperatura e alle sollecitazioni ambientali. In genere, coltivarli e trattarli richiede basse quantità di energia e nel loro sviluppo sequestrano carbonio, offrendo percorsi circolari a fine vita tramite processi di compostaggio o la reintegrazione in altri ecosistemi.
Nel suo manifesto per Domus 2025, Bjarke Ingles ha affer - mato che, nel processo di svi - luppo umano, “la vita si è adat - tata al nostro ambiente mate - riale. Fino al momento in cui abbiamo scoperto gli utensili, la tecnologia e l’architettura. Poi abbiamo acquisito il po - tere di adattare il nostro am - biente materiale alla vita”. Tuttavia, credo che ora stia - mo entrando in un’epoca che si spinge ancora oltre: la no - stra tecnologia si è affinata a tal punto che abbiamo svi - luppato la capacità non solo di adattare il nostro ambien - te materiale alla vita, ma an - che di compensare i danni che quest’ultima le ha inflitto.
Il progetto paesaggistico come prodotto della cultura del luogo, che prescinde da mere questioni legate a geologia, biologia e idrologia. La pratica dello studio svizzero si fonda su questi assunti e bandisce il termine habitat per parlare di vicinato.
Nella seconda fase del master plan, il cortile circolare del Vandalorum Museum of Art & Design è stato trasformato con 8.000 piante perenni. Nel progetto non conta però solo la loro combinazione: un giardino è un processo costante rivolto al futuro.
Foto Caitlin Atkinson
Costruito sopra le sette corsie dei tunnel di una vecchia highway, Presidio Tunnel Tops è uno spazio pubblico con una rete di sentieri, paesaggi rocciosi, prati, punti panoramici e spazi di ritrovo.
Foto Hiroyuki Oki
La facciata di Urban Farming Office riporta lo spazio verde in città e promuove una produzione alimentare sicura, creando un microclima confortevole in tutto l’edificio.
Nômade Temple è un hotel progettato come un giardino: il corridoio è un sentiero di sabbia attraverso la foresta, le camere – in parte sospese – sembrano più ampie grzie agli spazi aperti che le circondano, mentre i pilastri si fondono con la selva dei tronchi di palma.
Nella Healing Mountain due quadrati di canne intrecciati creano una gradevole zona al centro della natura. Vento, pioggia e luce entrano nell’interstizio tra le superfici curve.
Foto Giaime Meloni
Fatto di giunco, pianta tipica delle aree umide, il Rausa pavilion affronta in modo poetico le questioni ecologiche e, in particolare, pone l’accento sulla distruzione delle zone acquitrinose.
United Nature è una ricerca tut - tora in corso sugli invisibili fili che collegano la vita del piane ta. Raccoglie ritratti di soggetti di varie specie e regni. Lavorando con insetti vivi, non come campioni di laboratorio ma come collaboratori la cui presenza è essenziale, appare chiaro come tutta la natura possieda una vita interiore. Quel che si svela è un senso di vitalità condivisa, uno sguardo sulla continuità della coscienza che scorre attraverso tutta ciò che abita il pianeta.
Semplici ed essenziali, gli elementi naturali della Grandpa’s Lamp non sono solo decorativi, ma strutturali.
Usando prodotti di plastica come stampi per il micelio, la serie Consumer sperimenta una coesistenza armonica tra prosperità economica e tutela dell’ecologia.
Praticando delle aperture tra i rami e formando dei cerchi o piegandone le fronde, la serie Broken Landscape crea paesaggi surreali che permettono di vedere dentro la foresta.
Foto Shunsuke Shiinoki, AMKK
Exobiotaníca – Botanical Space Flight e Frozen Flowers sono un’esplorazione sperimentale di ciò che accade quando fiori e piante vengono portati in ambienti estremi, come la stratosfera e le profondità marine.
Incorniciata dagli spazi espositivi della serie Isolation, la natura diventa un’opera d’arte che sfida la dicotomia tra reale e artificiale.
L’erba che, attraverso la produzione di clorofilla, ha una straordinaria capacità di registrare figure complesse, è usata per creare le immagini fotografiche.
A Brooklyn, in un angolo tranquillo, stiamo coltivando un nuovo genere d’architettura. Non è scintillante e non sfida la gravità. Al contrario, cresce, si decompone e si torce. A Terreform ONE non ci ispiriamo alla natura tramite un gesto stilistico, ma la invitiamo a entrare nel processo progettuale come collaboratrice.
Per la copertina del numero di settembre sapevamo di dover lavorare con Azuma Makoto, floricoltore-artista che ha incapsulato mazzi di fiori in blocchi di ghiaccio o li ha lanciati nello spazio. A casa ho le sue foto di un bonsai che si libra nell’atmosfera, fondendo la scala domestica e quella cosmica in un’unica inquadratura. Il suo lavoro trasforma l’antico artigianato artistico della composizione floreale in paesaggi espressivi alieni, che sfidano la gravità: uno scontro di composizioni cromatiche e formali. Non si potrebbe immaginare un artista migliore per esprimere la ricchezza e la diversità del respiro dei biomateriali viventi.