Il numero di settembre 2025 di Domus si addentra nel cuore della domanda centrale delle nostre vite: che significa abitare il nostro tempo? Una riflessione profonda, che si concentra sul rapporto, talvolta fragile e talvolta glorioso, tra l’uomo, l’architettura e il mondo. Così, più che una semplice raccolta di imprese umane, questo numero di Domus appare come un tacito invito a ridiscutere l'accordo ancestrale con la natura, a tessere un nuovo arazzo di mutua dipendenza, praticare una verace coabitazione fra tutti gli esseri.
Come sempre, ogni numero di Domus un viaggio che ci conduce dai territori della memoria a quelli dell’innovazione più audace, con la ferma convinzione che il futuro non si costruisce ma si coltiva iniziando, come sempre, dalla cultura, ovvero da quella stratificazione che ci definisce.
La sezione Diario, che apre il numero, si apre sui reperti fragili di un tesoro in esilio, il patrimonio di Gaza, raccontato da Alessandro Benetti. Una vera "crisi patrimoniale" che non è solo archeologica, ma intimamente umana, un monito sulla brutalità della storia e sulla resilienza della bellezza. E la bellezza, si sa, ha bisogno di cure. Proprio come è avvenito al restauro del Palazzo dell'Arte della Triennale di Milano, che per mano di Luca Cipelletti ridiventa piazza pubblica, un luogo poroso dove la città respira e si connette mirando a ripristinare la visione originaria di Giovanni Muzio, creando un flusso continuo tra interno ed esterno, un'opera di risanamento che è al tempo stesso un atto di generosità nei confronti della collettività. In questa narrazione della civiltà che si stratifica appare centrale la riflessione di Elsa Fornero, che nel testo di Valentina Petrucci parla di Torino e sul valore del "sovrappiù"—quel surplus di bellezza e di senso che non è mai spesa superflua—risuona come un monito per la nostra epoca, che tende a consumare il presente senza investire nel futuro. Un richiamo all'autenticità che rispecchia anche il progetto del magazine "Stüa" a cura di Francesco Franchi, che vuole raccontare l'identità di un luogo, e il testo di Simona Bordone, che rievoca il valore storico del ricamo come mezzo di comunicazione segreta, un'arte femminile che trascende il tempo.
Il numero di settembre 2025 di Domus si addentra nel cuore della domanda centrale delle nostre vite: che significa abitare il nostro tempo?
Ma il vero cuore pulsante di questo numero è l’esplorazione di un’architettura che si fa organismo, che respira e vive. Al di là di qualunque polemica politica, Stefano Boeri invita a guardare al Bosco Verticale non come a un edificio, ma a una foresta piantata verticalmente, un ecosistema che genera biodiversità. Le sue evoluzioni, come il progetto di social housing a Eindhoven, dimostrano che l'integrazione della natura non è un lusso, ma una necessità per tutti. In un'eco di questa visione, Richard Kennedy ci mostra il Presidio Tunnel Tops a San Francisco, dove la natura riprende ciò che la tecnica le aveva sottratto, trasformando un'infrastruttura in un parco vivente. E ancora, Sebastian Sas con il Nômade Temple in Messico e VTN Architects in Vietnam ci svelano un’architettura del fare, che si fonde con la vegetazione, cancellando il confine tra il costruito e il vivente. Il paesaggio, nell’intervista a Günther Vogt, non è più un mero scenario, ma l'infrastruttura fondamentale su cui si fonda la nostra esistenza, un “vicinato interspecie” che va progettato e curato.
Domus si spinge poi oltre, interrogando il ruolo della scienza e della tecnologia. Julia Watson, con il suo concetto di "Urbanistica TEKnologica", ci ricorda che il vero sapere è già insito nelle pratiche ancestrali, in quelle soluzioni indigene che da sempre si muovono con la natura e non contro di essa. E mentre Ben Lamm in "C'è spazio per l'ottimismo" evoca una scienza capace di riparare gli errori umani, riportando in vita specie estinte e degradando la plastica, Mitchell Joachim in "Biologia tecnologica" spinge questo concetto al limite, immaginando un futuro in cui gli edifici sono veri e propri esseri viventi.
Le recensioni di Loredana Mascheroni su Massimo Rigaglia e di Elena Sommariva su Issey Miyake e Atelier Oï presentano design che utilizzano materiali organici e riciclati, mentre Silvana Annicchiarico celebra la sedia di Aida Rasmussen come manifesto di un design etico e sostenibile. Antonio Armano, nel suo testo su FerreroLegno, sottolinea l'importanza di un'azienda che unisce tradizione, innovazione e rispetto per l'ambiente. In questo contesto, anche l'umile maniglia, come spiega Valeria Casali nel suo testo, può diventare un'opera architettonica, un punto di contatto tra l'uomo e lo spazio.
Infine, l'arte, con la sua potente capacità di svelare l’invisibile, ci offre uno sguardo sulla crisi climatica che è al tempo stesso sublime e doloroso. Le sculture botaniche di Azuma Makoto, che sfidano la gravità lanciando fiori nello spazio o intrappolandoli nel ghiaccio, ci costringono a una riflessione sul limite e sulla bellezza effimera. Le foto di Ackroyd & Harvey, realizzate attraverso la fotosintesi dell’erba, trasformano la natura in un medium artistico, mentre Fabian Knecht, con i suoi “white cube” nella natura selvaggia, ci interroga su ciò che è artificio e ciò che è autentico. Le riflessioni di Roberto Battiston in "Sapiens contro Insipiens" e di Alberto Mingardi in "Elogio del lusso" offrono un quadro concettuale per comprendere le sfide che ci attendono, mentre l'articolo di Marco Pierini sul museo di domani e quello di Valentina Sumini sulle infrastrutture extraplanetarie ci proiettano in un futuro che è già presente. Attraverso questi fili, come attraverso la riflessione finale di Walter Mariotti che racconta un tempo in cui le auto erano divinità e avewvano i loro templi architettonici, il numero di settembre di Domus ci offre un ritratto complesso e sfaccettato del nostro tempo, rivelando che il progetto è, in ultima analisi, un atto di profondo amore e rispetto per il mondo che abitiamo.
Buona lettura!
