Londra. Gli stati emozionali del design

Alla London Design Biennale 2018, 40 Paesi indagano il design come risposta ai malanni del nostro tempo: dall’istruzione all’ambiente, al patrimonio culturale, ai conflitti.

“ΑΝΥΠΑΚΟΗ”, vista della mostra, Somerset House, Londra, Regno Unito, 2018

Dalla soddisfazione all’estasi, dall’irritazione alla rabbia. Ultimamente i sentimenti sono orientati all’impellenza e all’estremismo. Alimentata dalle piattaforme dei social media a base di emoji, l’intensificazione dei sentimenti ha investito ogni cosa: dai risultati elettorali alla reputazione sociale della competenza. Spesso trascurate nelle mostre di architettura e di design in favore d’interpretazioni (in apparenza) più obiettive, le emozioni fanno la loro comparsa con maggiore frequenza anche in queste occasioni, implicitamente nel taglio esperienziale della curatela ed esplicitamente in mostre comeFear and Love: Reactions to a Complex World”, la mostra che l’anno scorso ha inaugurato il nuovo Design Museum. Quello della “condizione emotiva” (“Emotional States”) è quindi un tema pertinente per la London Design Biennale di quest’anno, la seconda della serie, che fa seguito a “Utopia” del 2016, anch’essa argomento d’attualità nel nostro mondo sconvolto.

Come l’edizione precedente,Emotional States” considera il design come una risposta ai nostri malanni ampiamente diffusi, affrontando temi che vanno dall’istruzione all’ambiente, al patrimonio culturale, ai conflitti. Nulla di nuovo nel contesto delle più generali motivazioni sociopolitiche del design e, tuttavia, la questione delle emozioni costituisce un’indicazione originale per i paesi partecipanti. In tutto sono più di 40, con una straordinaria varietà geografica che comprende Egitto, Germania, Israele e Turchia, Stati Uniti, Qatar, Mongolia, più alcune città britanniche. Le installazioni attraversano la Somerset House, gargantuesco edificio del Settecento sulla riva del Tamigi. Queste installazioni sul territorio sono fiancheggiate da alcuni progetti speciali commissionati da studi e marchi importanti, tra cui lo scenografo Es Devlin e Panasonic Design.

In prima fila, nel cortile centrale, c’è la greca Aνυπακοή (“Disobbedienza”), un’alta struttura lunga 17 metri progettata dallo studio INI. Lo scheletro di questo tunnel, fatto di plastica riciclata, si muove e si tende al passaggio dei visitatori al suo interno, in una reattività intesa come metafora di un’architettura più adattabile, cui i progettisti ambiscono. È tra le opere più popolari della mostra, e non sorprende vedere una gran coda di visitatori aspettare il proprio turno per provarla.

“Matter to Matter”, vista della mostra, Somerset House, Londra, Regno Unito, 2018
“Matter to Matter”, vista della mostra, Somerset House, Londra, Regno Unito, 2018

Anche in altre installazioni la caratteristica principale è la partecipazione. In Matter to Matter, il contributo lettone progettato da Arthur Analts del Variant Studio (premiato con la “Best Design Medal” della Biennale), i visitatori sono invitati a lasciare dei messaggi su una parete laccata di verde. Nello svizzero Body of Us, invece, la partecipazione è obbligatoria. L’installazione, a cura di Rebekka Kiesewetter, consiste in una bassa pedana al centro della sala, su cui una grande piastra di Petri rettangolare raccoglie batteri dai visitatori e dallo spazio circostante. Senza temere di analizzare emozioni più negative, nel senso del disagio suscitato dal contenuto, l’installazione tenta in definitiva di esprimere un messaggio positivo, sottolineando come i batteri uniscano e cancellino i confini tra noi in quanto esseri umani: soluzione originale al problema di superare una società sempre più divisiva.

“State of Indigo”, vista della mostra, Somerset House, Londra, Regno Unito, 2018
“State of Indigo”, vista della mostra, Somerset House, Londra, Regno Unito, 2018

Anche alcune altre installazioni combinano allo stesso modo lo spettacolo con la sostanza. L’indiana State of Indigo è una delle numerose installazioni che riguardano le tradizioni artigianali. In questo caso, il curatore Priya Khanchandani usa proiezioni di grandi dimensioni per immergere i visitatori nella filiera produttiva dell’indaco, pigmento strettamente connesso con il passato coloniale del paese. La guatemalteca Palopó, ottima per Instagram, è fatta di tessuti e forme geometriche progettate da Zyle e dall’Olivero Bland Studio. Come spiega un video rimpiattato in un angolo, quest’ultimo ha di recente curato l’operazione Pintando Santa Catarina Palopó, depauperata città in riva al lago Atitlán. I progettisti hanno lavorato insieme con la comunità locale per dipingerne le 800 abitazioni a colori vivaci con motivi decorativi ispirati alla tradizione tessile locale, nell’intento di trasformare la città in un’attrazione turistica in grado di farne rinascere l’economia e suscitare un senso di orgoglio.

Una delle installazioni che fanno più riflettere è la britannica Maps of Defiance, a cura del Victoria and Albert Museum in collaborazione con lo studio inglese interdisciplinare Forensic Architecture. L’installazione, attraverso grandi schermi video e tavole coperte di documenti, attrezzature e modelli d’architettura, rivela la distruzione del patrimonio culturale dell’area di Sinjar, in Iraq, provocata dall’ISIL, lo Stato Islamico del Levante. Lo studio è il tentativo di formare dei ricercatori per mettere in evidenza questo orribile gesto. La carica emotiva dello schermo silenzioso e cupo è una testimonianza di come fatti e sentimenti, nell’èra della politica della post-verità, non siano incompatibili.

Alcune delle installazioni cercano intenzionalmente di suscitare una risposta emotiva, ma mostrano anche il rischio che ciò comporta per visitatori spesso frettolosi o poco attenti. I contributi del Brasile e del Canada combinano fotografia e film con ambienti evocativi che cercano di creare una consapevolezza emotiva del valore dei loro preziosi e minacciati paesaggi, ma secondo me non arrivano a creare un impatto emotivo sufficiente. L’intervento della Germania, Pure Gold, presenta prodotti e arredi di design di riciclo creativo, opera di un gruppo internazionale di progettisti tra cui El Ultimo Grito, Dirk Van Der Kooij e Piet Van Eek. Pur essendo i progetti interessanti, il tema dell’importanza della carica emotiva degli oggetti è in circolazione da un po’, e una prospettiva più critica dell’efficacia di questa impostazione sostenibile del design sarebbe stata la benvenuta.

Due dei contributi più validi sono stati meritatamente premiati con la medaglia della Biennale. Gli Stati Uniti contribuiscono con una delle installazioni più raffinate e avvincenti, Face Values. Presentata dal Cooper Hewitt, mette efficacemente in gioco il tema dell’emozione per illustrare la crescente invasività della tecnologia del riconoscimento facciale e la trasformazione in dati di ogni frammento di noi stessi, invitando i visitatori a mettere in scena una varietà di espressioni del viso a uso degli schermi digitali. All’estremità meno tecnologica, l’installazione polacca A Matter of Things presenta 10 oggetti d’uso quotidiano e mostra quanto siano carichi di risonanze emotive, politiche e sociali nella storia polacca. Gli oggetti, scelti da Małgorzata Wesołowska, sono disparati quanto umili, da una collana di carta igienica che rappresenta le privazioni degli anni Ottanta al coperchio di un chiusino che rappresenta le fognature che servivano da sistema di comunicazione e di distribuzione dei rifornimenti durante la rivolta di Varsavia del 1944. La semplicità del progetto dell’installazione ben si adatta all’osservazione di come il quotidiano sia spesso protagonista delle grandi narrazioni storiche e di come la nostra cultura materiale sia colma di carica emotiva.

“Emotional States”, vista della mostra, Somerset House, Londra, Regno Unito, 2018
“Emotional States”, vista della mostra, Somerset House, Londra, Regno Unito, 2018

Come in ogni mostra collettiva, non tutte le installazioni rispondono al tema altrettanto direttamente o con altrettanta forza di altre, ma “Emotional States” riesce a essere una mostra nuova e piena d’intuizioni. Tutte insieme le installazioni sono anche l’istantanea di una ricca cultura progettuale internazionale e la Biennale è un gradito appuntamento che si aggiunge al calendario del design di livello mondiale. In più, per la Biennale, la Somerset House è anche una curiosa ambientazione. Da un lato, ha le caratteristiche ideali con grandi aree all’aperto e sequenze di stanze che creano spazi per singole installazioni facilmente identificabili. Dall’altro, le proporzioni, la natura dell’edificio, il suo carattere di vastità e la sua destinazione multifunzionale rendono difficile alla Biennale dare corpo pienamente alla sua presenza e, nonostante la puntuale segnaletica e l’identità visiva dello studio Pentagram, è facile trascurare certe aree espositive. Nell’insieme, tuttavia, “Emotional States” è una piacevole seconda edizione della serie, e sarà interessante vedere come si evolverà questa Biennale.

Evento:
London Design Biennale 2018
Titolo della mostra:
Emotional States
Date di apertura:
4–23 settembre 2018
Sede:
Somerset House
Indirizzo:
Strand, Londra WC2R 1LA, Regno Unito

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