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Peacock Chair: come una sedia coloniale ha conquistato Hollywood, le Black Panther e il design scandinavo

Dalla Manila coloniale al cinema erotico, dalla rivoluzione afroamericana al design scandinavo: come una semplice sedia in vimini è diventata specchio delle estetiche, dei desideri e delle contraddizioni del Novecento.

Ci sono oggetti che attraversano epoche, stili e significati come se fossero organismi viventi, capaci di mutare pelle e destino. La Peacock Chair, o sedia pavone, è uno di questi. Nata nelle Filippine all’inizio del Novecento, in un carcere, e assurta a trono delle dive di Hollywood, emblema dei movimenti afroamericani e infine icona da copertina, questa sedia in vimini è molto più di un semplice arredo: è una figura mitica, un segno.

Funkadelic, Uncle Jam Wants You, 1979

Origini coloniali: dalla prigione al salotto borghese

La prima immagine nota della Peacock Chair è datata 1914: una donna detenuta nella prigione di Bilibid, a Manila, siede su una sedia dalla struttura esuberante, con uno schienale ampio che richiama le piume di un pavone. La foto si intitola “Jailbird in a peacock chair” e condensa già in sé le diverse anime della sedia: quella esotica e decorativa, ma anche quella più specificamente sociale. Le Peacock venivano infatti realizzate dai carcerati per essere vendute ai turisti americani, in un’epoca in cui le Filippine erano sotto amministrazione coloniale degli Stati Uniti. Da lì, la poltrona iniziò a circolare negli spazi pubblici e privati della borghesia americana: verande, hotel, studi fotografici.

Marilyn Monroe fotografata da Cecil Beaton sulla Peacock Chair

L’intreccio in vimini, la struttura leggera, la freschezza del materiale rispetto al legno massello la rendevano perfetta per gli ambienti ariosi e assolati del primo Novecento, quando portici e patii si diffondevano come segno di benessere e modernità. Il vimini divenne lo sfondo ideale per la posa: pratico, scenografico, sempre decorativo. Non a caso queste sedie vennero chiamate anche posing chairs o photographer’s chairs.

Hollywood, glamour e colonial revival

Con l’arrivo del cinema e della fotografia pubblicitaria, la Peacock Chair assurge a simbolo del glamour esotico. L’alta spalliera a ventaglio in vimini, spesso finemente decorata, incornicia il volto dell’attrice come un’aureola. Dai ritratti di Loretta Young a quelli di Marilyn Monroe e Brigitte Bardot, la sedia diventa un oggetto totemico, un “trono della bellezza”, strumento di seduzione e decorazione. Il film Emmanuelle (1974), con Sylvia Kristel seminuda su una Peacock Chair, ne segna la consacrazione come icona erotica e bohemienne.

Black Panther Party leader Huey P. Newton on a peacock chair, in a 1967 portrait photograph by Blair Stapp. Courtesy Wikimedia Commons

Ma c’è anche un’altra narrazione: nel 1967 Huey Newton, leader delle Black Panther, si fa ritrarre sulla Peacock con un fucile in una mano e una lancia nell’altra. È un’immagine potentissima, che trasforma la poltrona in simbolo di orgoglio nero e di rivolta anticoloniale. Da oggetto decorativo a trono di resistenza, la Peacock ridiventa un segno identitario: una contro-narrazione visiva che sarà replicata nelle copertine di dischi (come Uncle Jam Wants You dei Funkadelic, 1979) e in numerose estetiche afrofuturiste. Lo stesso trono di T’Challa nel film Black Panther (2018) richiama esplicitamente questa eredità visiva.

Design modernista: la Margherita di Franco Albini

Negli anni Cinquanta, mentre la Peacock continua il suo viaggio nei set fotografici, il design italiano ne recupera lo spirito strutturale. Franco Albini, con Bonacina, realizza nel 1950 la poltrona Margherita, una reinterpretazione modernista della Peacock: le forme si fanno più fluide, il disegno più essenziale, ma restano l’uso del giunco d’India, la base a clessidra e lo schienale avvolgente. In piena ricostruzione postbellica, Albini trasforma l’eredità coloniale in una forma borghese ed elegante, capace di coniugare artigianato e produzione seriale. La Margherita è anche una risposta “alta” alla diffusione di arredi economici in vimini: una sedia leggera, ariosa, ma con una precisa volontà progettuale.

Franco Albini e Franca Helg, Margherita, Bonacina 1889, 1951

Declinazioni contemporanee: Dror Benshetrit e l’arte del piegare

Nel 2009, il designer israeliano Dror Benshetrit firma per Cappellini una nuova Peacock Chair: non più in vimini, ma in feltro piegato, come un origami scultoreo. La forma ricorda la coda del pavone, ma diventa un pattern astratto, tra moda e architettura, tradizione e innovazione. È una sedia che, anche in questo caso, porta nel nome la propria genealogia, ma la trasforma in segno grafico, in gesto poetico. Realizzata con un solo pannello di feltro, cucito e arricciato su una struttura di metallo, questa Peacock postmoderna celebra la metamorfosi della sedia come oggetto simbolico, estetico, narrativo.

Just Jaeckin, Emmanuelle, 1974

Hans J. Wegner e la sedia danese

Nel panorama del design del Novecento esiste anche un’altra sedia chiamata Peacock Chair, profondamente diversa eppure degna di nota. Disegnata nel 1947 dal maestro danese Hans J. Wegner, questa seduta rappresenta una rilettura sofisticata delle classiche sedie Windsor. Le sue stecche in legno curvato si allargano a ventaglio nello schienale, culminando in un elemento centrale più ampio che accoglie le scapole: proprio questo dettaglio, che ricorda l’apertura della coda di un pavone, spinse il designer Finn Juhl a battezzarla Peacock Chair.

Al Green, I'm Still in Love with You, 1972

Se quella filippina in vimini è decorativa, esotica, teatrale, la Peacock danese è razionale, sobria, ergonomica. La prima è nata in un contesto coloniale ed è stata assorbita dalla cultura pop; la seconda incarna il modernismo nordico, con il suo culto per la semplicità, il comfort e la bellezza organica. Due sedie profondamente diverse, ma entrambe capaci di trasformare l’atto del sedersi in una dichiarazione di stile.

Una sedia, mille vite

Hans Wegner, The Peacock Chair, 1947. Foto Wicker Paradise da Wikimedia Commons

Dalla prigione filippina al salotto modernista, dalla rivoluzione afroamericana alla copertina dei Bee Gees, la Peacock Chair è sopravvissuta a un secolo di storia, attraversando stili, classi sociali, ideologie. È stata coloniale e decolonizzata, borghese e rivoluzionaria, erotica e spirituale. Forse è proprio questa sua ambiguità formale e semantica a renderla eterna: perché ogni epoca può riscriverla, reinterpretarla, farla propria.

Oggi la troviamo in ambienti completamente diversi, ma resta, nel suo intreccio di fibre e storie, una delle più complesse e affascinanti sedute del Novecento.

Immagine di apertura: Foto Mitch da Flickr

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