Poème Brut. Chi sono i poeti designer?

Nelle sale storiche del Design Museum di Ghent una mostra fa il punto sul design ‘brut’, tra poesia e artigianato.

Al Design Museum Gent, “Poème Brut” riunisce molti dei nomi che hanno stravolto l’estetica del design iniettandola di impasti di terra, forme organiche, pigmenti naturali, capelli umani e lavorazioni estinte. Il nome, scelto dai curatori Siegrid Demyttenaere e Atelier Lachaert Dhanis, parla di oggetti con un sottofondo poetico e un linguaggio in gran parte grezzo e incompiuto, dietro i quale si cela un designer alchimista. I processi di lavorazione manuale e l’interesse per la materia si contrappongono a globalizzazione e dematerializzazione. Alcuni designer usano materiali dimenticati, altri tecniche sperimentali con materie sintetiche, creando combinazioni originali tra antico e nuovo. 

“Poème Brut”, vista dell’allestimento al Design Museum, Ghent, 2018. Da sinistra in senso orario, opere di Thomas Ballouhey, BELéN, Olivier van Herpt (entrambi i vasi parametrici), Sigve Knutson, Max Lamb, Studio Swine, Jólan van der Wiel
“Poème Brut”, vista dell’allestimento al Design Museum, Ghent, 2018. Da destra (in alto) in senso orario, opere di Matthias Kaiser, Bijoy Jain / Studio Mumbai, Jonathan MueckeLisa Ertel, BELéN, MdSt, Atelier NL
“Poème Brut”, vista dell’allestimento al Design Museum, Ghent, 2018. Da sinistra opere di Sigve Knutson, Tamara Orjola, Hans Henning Pedersen, Formafantasma
“Poème Brut”, vista dell’allestimento al Design Museum, Ghent, 2018. Da sinistra (in alto) in senso orario, opere di Sophie Rowley, Thomas Ballouhey, Dirk Vander Kooij (lampada e sedia), Ben Storms, Ferréol Babin, DWA
“Poème Brut”, vista dell’allestimento al Design Museum, Ghent, 2018. Da destra in senso orario, opere di Bijoy Jain / Studio Mumbai, David Huycke, Carlo Lorenzetti, Kwangho Lee
“Poème Brut”, vista dell’allestimento al Design Museum, Ghent, 2018. Da sinistra opere di Kwangho Lee, Anne Marie Laureys Ceramics, Rudolf Bott, Tom Price

La mostra si apre con una serie di film e documentari sui processi di creazione delle opere, mentre nelle otto delle sale storiche del museo si trovano gruppi di oggetti di 32 designer, in armonia con le tonalità di ciascuna stanza. Esposte ci sono le forme “infantili” di Sigve Knuston e Max Lamb, le sperimentazioni con capelli umani di Studio Swine e la fantasia di Thomas Ballouhey di una Amsterdam tropicale fatta di elastici di gomma e sabbia. BELéN usa il legno per creare tessuti morbidi, Bijoy Jain / Studio Mumbai studia le forme della Tazia, un oggetto cerimoniale indiano che viene portato in spalla, dando vita a composizioni luminose. La luce è elemento chiave dei cerchi di legno curvato di MdSt, mentre Tamara Orjola usa gli aghi di pino scartati per rivestire piccoli sgabelli di legno.

“Poème Brut”, vista dell’allestimento al Design Museum, Ghent, 2018. In primo piano, Bram Vanderbeke, Stackable Stools, 2017

Formafantasma ripensa agli oggetti per la tavola, con una collezione tutta naturale e “pre-industriale”. Nendo traspone la storia dei mobili di bambù taiwanesi in uno sgabello in acciaio inossidabile, accanto a Studio Furthermore con le loro tecniche di fusione miste che formano oggetti perforati di alluminio; David Huycke riporta in vita l’antico processo della granulazione metallica, creando nuove forme decorative. L’allestimento sembra cristallizzato nel tempo e si pone a debita distanza dallo spettatore che osserva in disparte. Di fronte a tanta “matericità” che non ci è dato toccare, possiamo però apprezzare l’accurato allestimento. I soggetti della mostra si allontanano deliberatamente da funzionalità e replicabilità, lasciando spazio a nuovi approcci e fantasie.

  • Poème Brut
  • Siegrid Demyttenaere e Atelier Lachaert Dhanis
  • Design Museum Gent
  • 30 marzo – 2 settembre 2018
  • Jan Breydelstraat 5, Ghent